Populismo/Magatti

Mauro Magatti – Cambio di paradigma. Uscire dalla crisi pensando il futuro – Feltrinelli (2017)

Cio’ che accomuna Le Pen, Trump o Wilders e’ il richiamo a un’appartenenza politica di matrice nazionalistica, con venature etniche, a cui ci si appella per porre un limite alle istanze della globalizzazione che ha predicato un cosmopolitismo astratto.
Istanze che non si limitano alla sola dimensione economica, ma investono anche altri aspetti basilari della vita – come i rapporti tra culture e religioni diverse, l’identita’ di genere, le forme della riproduzione della vita – spesso affrontati con una superficialita’ disarmante.
Di fronte a cambiamenti tanto profondi quanto incerti, la risposta viene cercata nell’appello all’identita’ o alla tradizione. E per cercare di trovare un punto di appoggio per fondare un limite di fronte a cio’ che sembra perdersi nell’illimitato – e cosi’ tentare di immaginare una nuova sintesi per tornare a sentirsi uniti – risulta piu’ facile richiamarsi alla nazione, cioe’ a un mito originario che alla fine si basa sulla classica contrapposizione amico-nemico, che non sforzarsi di chiarire come fare per ricostruire lo stato e le forme della convivenza civile.
E’ questo stato d’animo che spiega come mai gran parte dell’opinione pubblica sia cosi’ fatalmente attratta dalle sirene della democrazia illiberale.
La cosa non dovrebbe sorprenderci. Nei momenti di caos e di anomia, la trappola della “servitu’ volontaria” – descritta gia’ nel 1576 da Etienne de La Boetie come quella condizione 
nella quale alla liberta’ si preferisce la sottomissione a un potere che, nel nome dell’unita’ e dell’ordine, diventa col tempo tirannico – e’ sempre pronta a scattare, catturando ampi strati di elettorato stanchi e sfiduciati.
E’ perche’ spira questo vento che, come gia’ in altri momenti storici del passato, la sicurezza tende a diventare il tema che detta l’agenda politica.

Info:
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/cambio-di-paradigma/
http://www.culturaesviluppo.it/wordpress/wp-content/uploads/2018/01/Magatti.pdf
https://www.corriere.it/cultura/17_ottobre_13/magatti-mauro-sociologo-insicurezza-risentimento-nuovo-paradigma-societa-feltrinelli-23fb8884-b044-11e7-9acf-3e6278e701f3.shtml?refresh_ce-cp

Geoeconomia/Mason

Paul Mason – Il futuro migliore. In difesa dell’essere umano – il Saggiatore (2019)

C’erano 2,4 miliardi di persone sul pianeta quando venne firmata la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nel 1949: un quarto di loro viveva in paesi sviluppati e democratici, con elite sociali plasmate dalle tradizioni dell’Illuminismo.
Oggi ci sono 7,5 miliardi di persone nel mondo e la maggioranza di loro vive al di fuori di sistemi democratici stabili, in societa’ dove i diritti umani sono negati.
Peggio ancora, le ideologie ufficiali di questi Stati sono totalmente antiumanistiche, per esempio la miscela di confucianesimo e scienza contabile che viene spacciata per «marxismo» in Cina, lo sciovinismo indu’ del regime di Modi in India e il nazionalismo da Grande Russia che anima Putin […]
Non meno importante, c’e’ l’attacco all’umanesimo portato avanti negli ultimi quattro decenni in nome delle teorie economiche del libero mercato.
Imponendoci nuove routine, costringendoci ad adottare nuovi comportamenti e valori unicamente per sopravvivere, riducendoci a entità economiche bidimensionali, il modello economico noto come neoliberismo ha spazzato via le nostre difese comportamentali e intellettuali contro le varie forme di antiumanesimo da cui siamo bersagliati in questo inizio di XXI secolo.
Il punto di svolta, che ha materializzato tutti questi pericoli e li ha accelerati, e’ stata la vittoria di Trump, e l’ondata mondiale di populismo di destra che ha contribuito a scatenare.

Info:
https://www.ilsaggiatore.com/libro/il-futuro-migliore/

Populismo/Crouch

Colin Crouch – Identita’ perdute. Globalizzazione e nazionalismo – Laterza (2019)

Il venir meno della certezza di una prosperita’ sempre crescente, l’incertezza della globalizzazione, l’immigrazione di massa e lo scontro con l’Islam radicale hanno messo a nudo i nervi scoperti della diffidenza verso gli stranieri, che siano alle porte della nazione o si tratti di paesi stranieri.
Evidentemente, la nazione fornisce a molte persone una fonte politicamente potente e storicamente radicata d’identita’ «solo qui».
Di recente e’ emerso qualcosa che somiglia a un movimento internazionale che collega i vari gruppi nazionalisti e conservatori, una sorta di «internazionale xenofoba» […]
C’e’ tuttavia qualcosa di distintamente ossessivo nell’idea di un’internazionale xenofoba. Questi gruppi sono preoccupati di porre l’accento sull’autonomia e la sovranita’ nazionale e non sulla cooperazione.
Nonostante la personale vicinanza di Trump e Putin, il primo ha dichiarato che le relazioni tra i loro paesi sono dopo molti anni ai loro minimi; e, nonostante il suo sostegno alla Brexit, Trump non esonera il Regno Unito dalle sanzioni commerciali che ha imposto ai paesi europei.
Anche se Orban e la Lega si considerano in qualche modo alleati, Orban catalizza il sostegno in Ungheria rifiutando le richieste dell’UE di aiutare l’Italia nell’affrontare la questione dei rifugiati, mentre la Lega critica l’UE per non aver fatto in modo che l’Ungheria e i suoi vicini offrissero quell’aiuto.
Entrambe le parti sfuggono all’evidente contraddizione implicita nel rivolgere le loro ire contro l’Unione Europea […]
L’internazionale xenofoba e’ il prodotto dei tentativi da parte di vari imprenditori politici di plasmare, politicizzare e brandire le identita’ sociali per riempire il vuoto lasciato dal declino di quelle che hanno forgiato la democrazia del XX secolo.
Cio’ puo’ essere fatto sia persuadendo gruppi di persone a ritenere la loro identita’ assolutamente prioritaria, sia imponendo la propria identita’ sugli altri, che vanno trattati come estranei, nemici dell’identita’ protetta. Nazione ed etnia sono le armi piu’ potenti dal punto di vista emotivo per questo scopo, e sono usate sia dai gruppi conservatori predominanti sia dagli aspiranti leader delle stesse minoranze etniche radicali.

Info:
https://www.sinistrainrete.info/politica/14268-alessandro-visalli-colin-crouch-identita-perdute-globalizzazione-e-nazionalismo.html
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858134061

Geoeconomia/Magatti

Mauro Magatti – Cambio di paradigma. Uscire dalla crisi pensando il futuro – Feltrinelli (2017)

Forse l’evento piu’ emblematico e’ stato l’incontro avvenuto a Londra nel gennaio 2017 tra Donald Trump e Theresa May, incontro che ha ufficializzato l’inizio di una nuova stagione storica.
Come quasi quarant’anni fa con Thatcher e Reagan, i paesi anglosassoni risposero alla lunga crisi degli anni settanta aprendo le loro economie e le loro societa’ al mondo – avviando l’epoca che, dopo il 1989, e’ stata chiamata “globalizzazione” –, cosi’ oggi quegli stessi paesi, a quasi dieci anni di distanza dall’infarto finanziario che ha posto termine alla crescita espansiva associata alla globalizzazione, con Trump e May compiono una radicale inversione di marcia: America/Britain first, stretta sui confini, rilancio della sovranita’ nazionale, centralita’ degli accordi bilaterali.
Le democrazie anglosassoni si confermano cosi’ quelle piu’ capaci di registrare gli umori popolari.
Non si dimentichi che il cambiamento in atto non e’ stato sospinto dalle elite ma dagli elettori.
In Inghilterra e’ stato il referendum a imporre la Brexit e negli Usa Trump ha vinto non solo contro la Clinton, ma anche contro il Partito repubblicano.

Info:
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/cambio-di-paradigma/
http://www.culturaesviluppo.it/wordpress/wp-content/uploads/2018/01/Magatti.pdf
https://www.corriere.it/cultura/17_ottobre_13/magatti-mauro-sociologo-insicurezza-risentimento-nuovo-paradigma-societa-feltrinelli-23fb8884-b044-11e7-9acf-3e6278e701f3.shtml?refresh_ce-cp

Stato/Barberis

Mauro Barberis – Come internet sta uccidendo la democrazia. Populismo digitale – Chiarelettere (2020)

Il 2016, prima circostanza, «non e’ stato un buon anno per la democrazia», anzi, e’ stato il suo annus horribilis.
Quell’anno gli inglesi hanno votato per uscire dalla Ue (la Brexit), gli americani hanno eletto Trump presidente degli Usa.
Di li’ ha avuto inizio il «momento populista», dove «momento» puo’ indicare un attimo, ma anche un’epoca.
Seconda circostanza: nel 2016 ci si e’ improvvisamente accorti che ai margini dell’Occidente – in Polonia, Ungheria, Turchia… – fioriscono le democrazie illiberali, governate da populisti come il russo Putin e l’ungherese Orban.
Terza circostanza: nel 2016 si e’ cominciato a sospettare che la democrazia non sia pianta adatta a tutti i terreni.
Nata nelle poleis greche, a Roma, nei comuni italiani, non cresce facilmente fuori dall’Occidente.
Potra’ mai attecchire nelle megalopoli dove vive piu’ della meta’ del genere umano?

Info:
https://www.illibraio.it/libri/mauro-barberis-come-internet-sta-uccidendo-la-democrazia-9788832962741/
https://www.lankenauta.it/?p=18988

Geoeconomia/Fagan

Pierluigi Fagan – Verso un mondo multipolare. Il gioco di tutti i giochi nell’era Trump – Fazi (2017)

Un punto che non e’ chiaro e’ se una politica keynesiana di spesa in deficit potrebbe far ripartire la macchina o se la macchina, per ragioni strutturali (demografia, innovazione tecnologica, erosione del lavoro quindi dei redditi, globalizzazione, livelli gia’ raggiunti e non ulteriormente incrementabili di ultra-consumo) e’ giunta a un plateau e li’ si fermera’, a meno di non organizzare una bella distruzione generalizzata che chiami nuova costruzione, e quindi nuova dinamica […]
Sperando vivamente che a nessuno venga davvero in mente per il bene del “capitalismo” di organizzare una distruzione creatrice, cioe’ una bella guerra mondiale, ogni Stato si agita per competere meglio e di piu’ in questa nuova, problematica, geografia della scarsa crescita.
Ma questa pressione alla competizione in un ambiente molto denso e al limite delle capacita’ di carico ambientale planetario assume le forme di una “rissa in ascensore”[…]
Si tratta della lotta per l’egemonia tra il modello anglo-americano del libero mercato, animato dall’imprenditoria e della finanza privata, e il suo storico rivale, non piu’ il mercato chiuso a conduzione statale, ma un ibrido tra il primo e il secondo.
Il modello cinese e’ di questo tipo, perlopiu’ in linea con una tendenza generale asiatica, visto che e’ piu’ o meno lo stesso di Singapore, Taiwan, e per molti versi, anche della Corea del Sud e del Giappone.
Recentemente, pare che anche la Russia si sia convertita a questo modello sviluppista e che, addirittura, Trump l’abbia riproposto come modello di politica economica per gli USA.

Info:
https://pierluigifagan.wordpress.com/verso-un-mondo-multipolare-il-libro/
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/mondo-multipolare/28857-verso-un-mondo-multipolare-il-gioco-di-tutti-i-giochi-nellera-trump

Geoeconomia/Castagnoli

Adriana Castagnoli – Il lungo addio. La fine dell’alleanza tra Europa e Stati Uniti – Laterza (2019)

Un’Europa superpotenza economica presentava diverse insidie e poteva essere di ostacolo per gli Stati Uniti. Bruxelles, infatti, aveva continuato a sviluppare un proprio ruolo di controllore della concorrenza che finiva per colpire innanzitutto le grandi multinazionali statunitensi.
In pratica, sarebbe riaffiorata nella tecnocrazia di Bruxelles la cultura dirigistica che aveva le sue radici nelle idee di Jean-Baptiste Colbert: e cioe’ la tradizione della scuola di politica economica francese che si basava sull’intervento statale e sulla pianificazione centrale contrapposta al modello angloamericano di capitalismo di libero mercato.
Inoltre l’Europa veniva accusata di procedere come se fosse stata un regolatore economico a livello mondiale.
Per Washington la partita cruciale si giocava fra un’Europa atlantista, influenzata da Londra, e una piu’ europeista di ispirazione francotedesca, come stavano a dimostrare gli interventi di Bruxelles nei confronti delle big companies americane […]
Con la presidenza Trump sono emerse prepotentemente le perdute sintonie fra l’America e l’Europa rispetto ai cambiamenti climatici, al libero scambio, al multilateralismo e all’immigrazione.
Lo strappo piu’ profondo e’ stato compiuto con il rifiuto da parte del presidente americano di riconfermare l’impegno – fulcro delle relazioni transatlantiche dal secondo dopoguerra – alla mutua difesa in caso di aggressione di uno dei membri della NATO.
C’e’ da chiedersi, pertanto, quanto sia profonda la linea di discontinuita’ tracciata da Trump rispetto ai suoi predecessori, se si tratti unicamente di una deviazione temporanea dalla tradizionale politica estera transatlantica oppure se sia la manifestazione estrema di un isolazionismo e di un nazionalismo divisivi che allontanano sempre piu’ le due sponde dell’Atlantico.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858135204
https://www.letture.org/il-lungo-addio-la-fine-dell-alleanza-tra-europa-e-stati-uniti-adriana-castagnoli

Geoeconomia/Castagnoli

Adriana Castagnoli – Il lungo addio. La fine dell’alleanza tra Europa e Stati Uniti – Laterza (2019)

Il 2018 sara’ ricordato nei libri di storia per una lacerazione difficilmente sanabile fra Washington e i suoi alleati malgrado alcuni tentativi di ricucirla.
La guerra dei dazi voluta da Trump dapprima contro la Cina ma ben presto allargata a colpire l’UE (con tariffe al 25% sull’import di acciaio, al 15% sull’alluminio e quelli – al momento – annunciati al 25% sull’auto), nonche’ le sanzioni contro le imprese e le banche europee che continuano a fare affari con l’Iran dopo l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare sono decisioni che rivelano un esercizio unilaterale e arrogante del potere, innanzitutto nei confronti degli alleati. Sia nella decisione di trasferire l’ambasciata americana in Israele a Gerusalemme sia nel ritiro dall’accordo sul nucleare con Teheran, l’America ha agito senza i partner europei […]
L’aggressivo unilateralismo di Trump, a meno di improvvisi ripensamenti, sta scavando un solco incolmabile fra Washington e l’Europa, sospinta cosi’ anche a rafforzare i rapporti d’interesse con la Russia di Putin che, giocando sul tavolo occidentale e su quello asiatico, cerca di non farsi schiacciare dalla potenza cinese.
I costi di questa divisione, seppure non nell’immediato, saranno altresi’ elevati per gli USA perche’ l’allentamento dei legami con gli alleati, accelerando la frammentazione dell’Occidente, finira’ con indebolire le stesse basi del potere americano.
La riproposizione del progetto di un esercito europeo, che langue da decenni, rilanciata con forza da Macron e sostenuta da Merkel in novembre, e’ anche una presa d’atto della distanza che ormai separa Washington da Bruxelles.

Info:
https://www.letture.org/il-lungo-addio-la-fine-dell-alleanza-tra europa-e-stati-uniti-adriana-castagnoli
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858135204

Geoeconomia/Fagan

Pierluigi Fagan – Verso un mondo multipolare. Il gioco di tutti i giochi nell’era Trump – Fazi (2017)

Sono in media solo cinquant’anni che gli africani hanno a che fare con l’autogoverno e pur con le strambe forme di Stati non esattamente frutto di processi geostorici spontanei. Autogoverno e’ una parola impegnativa; ancora oggi molti sono sotto supervisione francese, hanno amicizie britanniche, americane, cinesi, arabe che non si limitano certo a rendersi di conforto quando servono gli amici […]
Accanto a perduranti conflitti prettamente tribali o interstatali (ad esempio Etiopia ed Eritrea) e la lotta per l’egemonia del radicalismo islamico targato Isis e affiliati (Somalia, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana,  Nigeria, Mali, Niger, Mauritania, Libia, Algeria, Tunisia, i
due Sudan), e’ assai diffuso lo stile politico centrato su nepotismo, familismo, corruzione, mancanza dei requisiti minimi infrastrutturali, concessioni di favore al capitalismo multinazionale estrattivo, i cui proventi non vanno certo al popolo o all’economia locale.
Molte elite africane, cooptate da giovani appartenenti al giro che conta dei college e delle universita’ franco-anglosassoni, riportano poi negli offshore o nei santuari della finanza o nei poderosi e continui acquisti dei prodotti della nostra industria bellica, i proventi delle loro rapine organizzate: cosi’ fanno ministri, concessionari, intermediari.
Gli investimenti esteri sono perlopiu’ estrattivi, non produttivi o infrastrutturali (a parte quelli cinesi); l’Africa rimane terra di rapina e saccheggio […]
L’Africa e’ una miniera di materie prime nonche’ il campo da coltivare per l’intero pianeta. Ha petrolio (forse anche ben di piu’ di quanto si pensi) e sta realizzando imponenti dighe (Etiopia, Congo) che possono trarre enormi quantita’ di energia elettrica dall’impeto dei suoi poderosi fiumi. Ha evidente abbondanza di popolazione giovane da impiegare e, tolte le nuove assurde megalopoli (Lagos, Kinshasa, Cairo, Luanda), e’ forse l’ultimo posto del pianeta dove la natura e’ ancora vastamente padrona.
Se gli europei non stessero vivendo il loro triste autunno, si potrebbe pensare di investire nello sviluppo africano, creando il piu’ poderoso sistema di crescita mondiale con benefici per tutti, non ultimo ridurre sensibilmente il fenomeno migratorio.

Info:
https://pierluigifagan.wordpress.com/verso-un-mondo-multipolare-il-libro/
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/mondo-multipolare/28857-verso-un-mondo-multipolare-il-gioco-di-tutti-i-giochi-nellera-trump

Europa/Fagan

Pierluigi Fagan- Verso un mondo multipolare. Il gioco di tutti i giochi nell’era Trump – Fazi (2017)

I problemi connessi alla realizzazione di una qualche forma di unione europea sono numerosi, vasti e profondi.
L’unione degli europei, e ancora di più il dibattito pubblico a essa collegato, sembra un caso tipico di durevole sbornia ideologica idealista che stenta ad atterrare sul piano della concreta realta’ delle cose.
Vediamo velocemente l’elenco dei punti critici.
Il primo problema e’ l’eterogeneita’ dei candidati. Paesi grandi, piccoli, piccolissimi, che parlano ognuno la propria lingua, che hanno ognuno la propria storia, spesso secolare, che hanno numerosi attriti con un vicino da cui si sono emancipati con la guerra e il rancore. […]
Secondo problema e’ che l’Europa ha una sua omogeneita’ relativa se vista in contrapposizione all’Asia o all’Africa o al Medio Oriente, ma al suo interno ha linee di faglia non secondarie: quella tra i paesi del Sud e quelli del Nord, i paesi “latini” e quelli “germano-scandinavi” (per non parlare di quelli “balto-slavi”), quelli cattolici e quelli protestanti, quelli di primo e quelli di secondo e terzo capitalismo; quella tra i pesi massimi (con una popolazione oltre i 50 milioni) e i pesi mosca (sotto i dieci milioni); quelli tra chi ha un forte e atavico senso nazionale (la Francia) e quelli magari più aperti all’integrazione subregionale (ad esempio la Germania) […]
Il terzo problema e’ la mancanza di spirito. Intendiamo il fatto che oggi siamo privi di figure di statisti pari a quelle che animarono il processo nel dopoguerra, periodo di speranze e di costante crescita.
La politica e’ impaurita, ripiegata,autosubordinata alla tecnocrazia, la quale di sua natura certo non ha “visioni”.
Le popolazioni e le istituzioni nazionali non condividono nessuna seria analisi di strategia geopolitica visto che il dibattito pubblico e’ egemonizzato da economisti (alcuni addirittura monetari), ognuno e’ alle prese con il proprio disordine nazionale e con le tormentate paure di perdita di vigore, ricchezza, possibilita’, financo di identita’ […]
Il quarto problema e’ che, dopo i fallimenti sui migranti, gli ondeggiamenti sulle relazioni coi turchi, la poca chiarezza d’intenti con la Libia, sono arrivati prima la Brexit e poi Trump. A fronte della minaccia dell’era complessa, Gran Bretagna e Stati Uniti si sono posti in modalita’ d’immediata reazione semplificante. Autonome, con le mani libere, piu’ egoiste, concrete, le nazioni anglosassoni hanno fatto capire che non e’ piu’ tempo di solidarieta’ occidentale e soprattutto che e’ arrivato il momento di decidere, fare, agire: chi c’e’ c’e’ […]
Concludendo, unirsi sembra impossibile ma al contempo doveroso, il mondo va verso partizioni macroregionali, e per sedersi al tavolo dove si discutono le regole e si gioca ci vuole massa e chiara intenzionalita’.
In contraddizione al proprio principio politico democratico, un’Europa sempre meno voluminosa (per PIL e per demografia) cerca di compattarsi in sistema, seguendo progetti vaghi condotti da elite incerte con volonta’ contraddittorie. Cosa fare del modello euro-neolib-mercantilista, su quale segmento dell’economia mondiale attestarsi, quale ricerca finanziare, che tipo di strategia elaborare per le grandi istituzioni mondiali (FMI, WB, AIIB, WTO, politica monetaria della banca centrale) sono i temi dell’agenda economica.
Ma l’agenda sociale ha anche altri temi: la questione ecologica, quella dell’energia, le diseguaglianze sempre piu’ pronunciate, il welfare con una popolazione sempre piu’ anziana, il tempo del lavoro che e’ ancora piu’ o meno quello di un secolo fa, disoccupazione e sottoccupazione endemica, una certa diffusa depressione culturale e identitaria.
Tutto viene poi trascritto nell’agenda politica.

Info:
https://pierluigifagan.wordpress.com/verso-un-mondo-multipolare-il-libro/
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/mondo-multipolare/28857-verso-un-mondo-multipolare-il-gioco-di-tutti-i-giochi-nellera-trump