Stato/Deneault

Alain Deneault – Governance. Il management totalitario – Neri Pozza (2018)

“GOVERNANCE”… termine apparentemente inoffensivo, ma  con conseguenze  nefaste. La governance cancella il nostro patrimonio di riferimenti politici per sostituirli con i termini tendenziosi del management. […]
Introdotta nell’ambito della vita pubblica da Margaret Thatcher all’inizio degli anni Ottanta, la governance dara’ cosi’ giustificazione a un mutamento del ruolo dello Stato […]
Col pretesto di riaffermare la necessita’ di una sana gestione delle istituzioni pubbliche, il termine designera’ non solo la messa in opera di meccanismi di sorveglianza e di controllo, ma anche la volonta’ di gestire lo Stato secondo modalita’ di efficienza aziendale.
I tecnocrati della prima ministra «affibbiarono percio’ il grazioso nome di governance alla gestione neoliberale dello Stato, che si tradusse in una deregulation e in una privatizzazione dei servizi pubblici, oltre che in un richiamo all’ordine delle organizzazioni sindacali» […]
Contrariamente ai termini “democrazia” o “politica” che essa tende a occultare, “governance” non definisce niente in modo netto e rigoroso. L’estrema malleabilita’ della parola elude il senso, e questo sembra precisamente il suo scopo. Tutto avviene come se si sapesse cio’ che si vuol dire proprio nel bel mezzo di una totale vanita’ semantica. Ci si convince.
A causa della sua indeterminatezza, l’espressione offre scarsi appigli alla discussione o alla disputa, pur rilasciando un messaggio fondamentale: si tratta di una politica “senza governo”, promossa a livello mondiale, che membri sociali isolati in rappresentanza di interessi diversi praticano secondo una modalita’ gestionale o commerciale I fattori che stanno alla base del miracolo economico dell’Asia orientale formano un modello cui sono stati dati vari nomi, il più diffuso tra i quali e’ quello di «developmental state». Questo modello e’ stato creato nel Giappone del dopoguerra ed e’ stato poi seguito nei decenni successivi, con diverse varianti ma senza modifiche sostanziali, dagli altri paesi della regione fino all’entrata in scena della Cina negli anni Novanta.
Il modello si fonda sulla centralita’ dello Stato come regista a tutto campo dello sviluppo, come attore di prima grandezza dell’economia e come responsabile del mutevole negoziato tra le forze della produzione e le varie componenti sociali.
Il developmental state ha un centro propulsore nei ministeri economici del governo centrale e in alcune agenzie specializzate dello sviluppo settoriale – come il celebre Miti giapponese – rette da una tecnocrazia indipendente e altamente qualificata che elabora i piani di crescita e ne controlla l’esecuzione. […]
Il developmental state non e’ uno Stato keynesiano che interviene a colmare le deficienze intrinseche dei mercati dal lato della creazione di domanda e del potere d’acquisto, ma un’istituzione che guida direttamente i mercati e si sostituisce a essi nell’offerta di lavoro, beni e capitali.
Non deve sfuggire l’anomalia di questa situazione rispetto alle condizioni operative del capitalismo occidentale, dove il rialzo delle retribuzioni e dei redditi finisce – come nell’eta’ d’oro del keynesismo – col deprimere i profitti, interrompere il ciclo di crescita e scatenare una controffensiva che ripristina la subordinazione della manodopera e la disuguaglianza sociale preesistente.

Info:
https://www.doppiozero.com/materiali/dopo-la-democrazia-la-governance
https://ilmanifesto.it/il-prezzo-senza-volto-di-un-ingranaggio/

Geoeconomia/Zizek

Slavoi Zizek – Virus – Ponte alle Grazie (2020)

Ci stiamo ridestando ora dal sogno che l’epidemia possa svanire col caldo estivo, e non e’ stata elaborata una strategia nel lungo periodo – l’unico dibattito che si e’ avviato verte sui sistemi per allentare progressivamente le misure di contenimento. Quando infine l’epidemia si sara’ ridotta, saremo troppo stanchi ed esausti per goderne…
Che scenario implica tutto cio’?
Apparso all’inizio di aprile su un grande quotidiano britannico, il testo che segue delinea uno sviluppo possibile:
Riforme radicali – di segno opposto rispetto all’orientamento che ha informato gran parte delle politiche attuate negli ultimi quarant’anni – dovranno essere discusse. I governi dovranno accettare di svolgere un ruolo piu’ energico nell’economia. Devono considerare i servizi pubblici un investimento piuttosto che un passivo, e trovare modi per contenere la precarieta’ del mercato del lavoro. La ridistribuzione figurera’ di nuovo nei programmi; i privilegi degli anziani e dei benestanti saranno discussi. Le politiche finora ritenute eccentriche, come il reddito minimo e l’imposta patrimoniale, dovranno essere vagliate.
Non sara’ una riedizione del manifesto del Partito laburista britannico?
No, e’ un brano tratto dal Financial Times.
Procedendo in maniera analoga, Bill Gates fa appello a un «approccio globale» per contrastare la malattia e avvisa che, se si lascia che il virus si diffonda liberamente nei paesi in via di sviluppo, si avra’ un effetto di rimbalzo e il virus si ripercuotera’ in ondate successive sulle nazioni piu’ ricche.

Info:
https://www.internazionale.it/opinione/slavoj-zizek/2020/07/11/virus-capitalismo
https://www.illibraio.it/news/dautore/libri-virus-zizek-1372415/

Stato/Crouch

Colin Crouch – Combattere la postdemocrazia – Laterza (2020)

L’esternalizzazione di servizi pubblici viene generalmente presentata come trasferimento di quel servizio dal monopolio statale al mondo della scelta del consumatore.
Ma la realta’ e’ che gli appalti vengono aggiudicati da istituzioni pubbliche: semmai, quindi, i clienti sono quelle istituzioni, non il pubblico degli utenti, che di fatto sono pseudoclienti e hanno interessi spesso non coincidenti con quelli dell’istituzione pubblica cui devono invece rispondere i concessionari […]
Le istituzioni pubbliche che subappaltano i propri servizi perdono le professionalita’ lentamente maturate al proprio interno attraverso la gestione di quei servizi, e ben presto si ritrovano del tutto incapaci di valutare le competenze e le prestazioni delle aziende cui li hanno affidati.
Cio’, oltre a ridurre quasi certamente la qualita’ del servizio offerto, aumenta la dipendenza dell’amministrazione da un ristretto numero di imprese private, che finiscono per diventare le uniche depositarie delle necessarie conoscenze professionali.
Queste attivita’ sono troppo politiche, e troppo oligopolistiche, per far parte di una vera economia di mercato; e si fondano su reti che appaiono del tutto impenetrabili per la democrazia. Ormai e’ chiaro da anni che, per quanto carenti possano essere a volte i servizi pubblici, affidarne la fornitura a privati non garantisce, in linea di principio, alcun vantaggio.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139882
https://www.arci.it/il-libro-combattere-la-postdemocrazia-di-colin-crouch/
https://www.ilfoglio.it/cultura/2020/02/09/news/postdemocrazia-no-300300/

Stato/Crouch

Colin Crouch – Combattere la postdemocrazia – Laterza (2020)

Spesso viene fatto notare che in tedesco la parola Schuld significa sia “debito” che “colpa”.
Ma anche il termine Glaubiger vuol dire sia “creditore” che “credulone” (del resto, “creditore” deriva dal latino credo).
Di solito chi decide di credere viene ritenuto corresponsabile al pari della persona alla quale da’ credito.
Il prestito e’ un rischio condiviso tra chi presta e chi riceve: e la teoria contabile ritiene responsabili entrambi i soggetti, incentivandoli cosi’ ad agire con prudenza […].
Ma nel lessico dei protagonisti dei mercati monetari contemporanei non c’e’ posto per la prudenza: si direbbe anzi che essi, con la crisi greca, abbiano voluto dimostrare che non soltanto sono “troppo grandi per fallire”, ma che lo sono anche per essere chiamati a rispondere dei propri comportamenti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139882
https://www.arci.it/il-libro-combattere-la-postdemocrazia-di-colin-crouch/
https://www.ilfoglio.it/cultura/2020/02/09/news/postdemocrazia-no-300300/

Stato/Salmon

Christian Salmon – Fake. Come la politica mondiale ha divorato se stessa – Laterza (2020)

Che cosa ne e’ dell’esercizio del potere statale ad opera dei governanti quando lo Stato viene messo “sotto vuoto” dalla globalizzazione dei mercati finanziari, dal carattere sovranazionale dei “rischi” – dall’ecologia al terrorismo – e dalla governance delle organizzazioni internazionali e delle reti transgovernative?
Tutti questi livelli – infrastatali e sovrastatali – prendono decisioni politiche, giuridiche, strategiche, economiche fuori dal quadro dello Stato, e queste entita’ si infischiano assolutamente delle sue competenze e prerogative.
Deregolamentando la finanza e facendo sparire lo Stato dall’attenzione generale, la rivoluzione neoliberale degli anni Ottanta ha precipitato il mondo in un universo di avvenimenti automatici; ha contribuito a far si’ che lo spazio della politica fosse assorbito da una grande varieta’ di istanze, e in primo luogo dalle maggiori imprese, dalle istituzioni e autorita’ indipendenti, condannando l’uomo politico, senza piu’ terra sotto i piedi, a simulare cio’ che avrebbe dovuto essere e fare,
a riprogrammarsi continuamente […]
A partire dagli anni Novanta la congiunzione fra un nuovo idealtipo politico ispirato ai valori manageriali del neoliberalismo e la telepresenza permanente esplicitata nell’offerta mediatica h24 spiega la comparsa di una nuova generazione di uomini politici portatori di un’identita’ partitica vaga e di parole d’ordine ormai centrate, piu’ che su un programma, su un’identita’ di marchio: gli slogan “Forza Italia” di Silvio Berlusconi, “Cool Britannia” di Tony Blair o “A better Spain”di Zapatero, quando non ci si limita a una semplice lettera, a delle iniziali, a un logo, come la O di Obama, la “Z con Zapatero”, oppure l’EM (En Marche!) di Macron.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2371:christian-salmon-fake-come-la-politica-mondiale-ha-divorato-se-stessa&catid=40:primopiano
https://www.pandorarivista.it/pandora-piu/fake-di-christian-salmon/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139653

Geoeconomia/Giacche’

Vladimiro Giacche’ – Titanic Europa. La crisi che non ci hanno raccontato – Aliberti (2012)

Oggi la sfida consiste nell’individuazione del giusto mix tra Stato e Mercato, tra pianificazione economica e determinazione dei prezzi in base alla concorrenza dei produttori individuali.
Il modo migliore per valutare l’esperimento cinese e’ proprio quello di intenderlo come un tentativo di sviluppare una “economia mista”, che sappia evitare gli opposti estremismi dello “Stato senza mercato” e del “Mercato senza stato”:
il primo modello e’ fallito con il crollo del Muro di Berlino nel 1989, il secondo con il crollo di Wall Street meno di venti anni dopo.
Quanto alla Cina, probabilmente ha ragione chi ritiene che «si debba proprio a questo “sistema misto” la straordinaria crescita del continente cinese negli ultimi trent’anni e soprattutto la sua capacità di evitare rovesci economici e finanziari»

Info:
https://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/2034-vladimiro-giacche-titanic-europa.html
https://www.uninfonews.it/il-titanic-europa-affonda-e-lorchestra-suona-ancora/

Stato/Salmon

Christian Salmon – Fake. Come la politica mondiale ha divorato se stessa – Laterza (2020)

E’ questa la singolare maratona che l’homo politicus neoliberale e’ destinato a correre: la maratona delle promesse sospese.
Deve promettere il cambiamento ben sapendo che non puo’ cambiare granche’ a causa dei mercati finanziari, della globalizzazione neoliberale, della costruzione europea, delle agenzie di rating.
Deve essere e rimanere una promessa se vuole conservare il potere, malgrado che l’esercizio del potere lo condanni a non mantenere la promessa fatta agli elettori. […]
Come riuscire a rimanere una promessa? […]
Per conservare il proprio credito il piu’ a lungo possibile fra una tornata elettorale e l’altra, l’uomo politico che guida il paese deve quindi ritardare piu’ che puo’ la realizzazione della promessa moltiplicando gli ostacoli e le catene che giustificheranno il suo mancato adempimento […]
L’attore politico attraversa una serie di prove in cui deve affrontare degli ostacoli, spezzare catene perdendo punti vita o popolarita’ nei sondaggi. Dispone di un credito, cioe’ di un capitale iniziale di simpatia accumulato al momento della sua elezione e che diminuisce poi nell’esercizio del potere, ma che non deve mai esaurirsi completamente se vuole mantenersi “in partita”.
L’originalita’ di questo gioco del discredito sta nel fatto che e’ il giocatore, l’“attore politico”, a dover inventare gli ostacoli che si porranno sul suo cammino, a far spuntare le catene che dovra’ spezzare per aprire la porta delle sue promesse.
E’ un gioco in cui chi perde vince, perche’ non si tratta di mantenere le promesse ma proprio di rimandarle.
Dalla crisi del 2008 in poi, tutti i governi subiscono il discredito.
Una situazione che va gestita da chi esercita il potere.
Per catturare l’attenzione non basta piu’ raccontare una buona storia. Bisogna creare e mantenere una forma di suspense, sincronizzare tempo politico e tempo mediatico […]
Qual e’ l’obiettivo di questa performance?
Conservare il proprio credito, o almeno mantenere il proprio discredito entro limiti accettabili.
A chi spetta la decisione?
Alle agenzie di rating da una parte, ai sondaggi di opinione dall’altra, e alle elezioni in ultima istanza.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_content&view=article&id=2371:christian-salmon-fake-come-la-politica-mondiale-ha-divorato-se-stessa&catid=40:primopiano
https://www.pandorarivista.it/pandora-piu/fake-di-christian-salmon/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139653

Economia di mercato/Judt

Tony Judt – Quando i fatti (ci) cambiano. Saggi 1995-2010 – Laterza (2020)

L’esempio più significativo del tipo di problema con cui ci confrontiamo oggi si presenta in una forma che molti potrebbero considerare un semplice tecnicismo: il processo di privatizzazione.
Negli ultimi trent’anni, il culto della privatizzazione ha estasiato i governi occidentali (e molti governi non occidentali).
Perché? La risposta piu’ breve e’ che, in un periodo di vincoli di bilancio, la privatizzazione apparentemente permette di risparmiare denaro.
Se lo Stato possiede e gestisce un programma pubblico inefficiente o un servizio pubblico costoso (un acquedotto, una fabbrica automobilistica o una ferrovia), cerca di scaricarlo su acquirenti privati. La cessione permette allo Stato di incassare denaro e, al contempo, il servizio o l’attività in questione, entrando a far parte del settore privato, diventa piu’ efficiente grazie all’incentivo del profitto. Tutti ci guadagnano: il servizio migliora,lo Stato si libera di una responsabilita’ inopportuna e mal gestita, gli investitori realizzano profitti e il settore pubblico ricava un guadagno una tantum dalla vendita.
Questa e’ la teoria.
La pratica e’ ben diversa […] Quasi tutte le cose che i governi hanno ritenuto opportuno trasferire al settore privato operavano in perdita: che siano compagnie ferroviarie, miniere di carbone, servizi postali o societa’ elettriche, i costi di esercizio e di manutenzione sono superiori agli introiti che possano mai sperare di ottenere.
Proprio per questo motivo, tali beni pubblici risultavano poco interessanti per gli acquirenti privati, a meno di offrirli a prezzi fortemente scontati. Ma quando lo Stato svende i propri beni, e’ la collettivita’ a subire una perdita […]
In secondo luogo, si presenta il problema dell’azzardo morale. L’unico motivo per cui gli investitori privati sono disposti ad acquistare beni pubblici chiaramente inefficienti e’ che lo Stato riduce o elimina la loro esposizione al rischio […] facendo cosi’ venire meno la giustificazione economica classica della privatizzazione, cioe’ che l’incentivo del profitto favorisce l’efficienza.
L’«azzardo» in questione e’ che il settore privato, in queste condizioni privilegiate, si dimostri almeno altrettanto inefficiente della sua controparte pubblica e intanto intaschi gli eventuali profitti realizzati e addebiti le perdite allo Stato.
Il terzo argomento, e forse il piu’ efficace, contro la privatizzazione e’ il seguente.
Non ci sono dubbi sul fatto che molti beni e servizi che lo Stato cerca di dismettere siano stati gestiti male: in maniera incompetente, senza investimenti adeguati e cosi’ via. Ciononostante, per quanto mal gestiti, i servizi postali, le reti ferroviarie, le case di riposo, le carceri e altre attivita’ destinate alla privatizzazione restano sotto la responsabilita’ delle autorità pubbliche. Anche dopo essere state cedute, non possono essere totalmente abbandonate ai capricci del mercato. Sono, per loro stessa natura, un tipo di attivita’ che qualcuno deve regolamentare. […] Con ogni probabilita’ la verifica vera e propria sara’ eseguita da una societa’ privata, che ha vinto l’appalto per svolgere il servizio per conto dello Stato […]
I governi, in breve, affidano le loro responsabilita’ ad aziende private che promettono di amministrarle meglio dello Stato e a costi inferiori […]
Svuotando lo Stato delle sue responsabilita’ e capacita’, ne abbiamo indebolito l’immagine pubblica […]
Se operiamo esclusivamente o in misura preponderante con organismi privati, nel corso del tempo allentiamo i nostri rapporti con un settore pubblico del quale apparentemente non sappiamo cosa farcene.
Non e’ molto importante che il settore privato faccia le stesse cose meglio o peggio, a un costo maggiore o minore. In ogni caso, la nostra lealta’ verso lo Stato si attenua e perdiamo qualcosa di vitale che dovremmo condividere – e che in molti casi un tempo condividevamo – con i nostri concittadini.
Questo processo e’ stato ben descritto da una grande esperta moderna in materia: Margaret Thatcher, la quale, stando a quel che si dice, avrebbe affermato che «non esiste una cosa chiamata societa’. Esistono solo singoli uomini e donne e le famiglie». Ma se non esiste una cosa chiamata societa’, soltanto gli individui e lo Stato in veste di «custode notturno», che controlla a distanza attivita’ nelle quali non svolge alcun ruolo, che cosa ci legherà gli uni agli altri?

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858126479
https://ilmanifesto.it/tony-judt-e-la-responsabilita-della-storia/

Stato/Barberis

Mauro Barberis – Come internet sta uccidendo la democrazia. Populismo digitale – Chiarelettere (2020)

La democrazia, il governo di tutto il popolo, non solo di quella parte che e’ il popolino populista, e’ un governo nel quale, certo, tutti decidono a maggioranza chi governera’, ma sapendo gia’ che a governare saranno poi politici professionali e non dilettanti allo sbaraglio.
E, soprattutto, e’ il governo continuamente controllato da istituzioni contromaggioritarie […]
Sono contromaggioritari, in questo senso, non solo il potere giudiziario, corti costituzionali comprese, ma tutte le istituzioni oggetto del livore populista: presidente della Repubblica, agenzie indipendenti, organi sovranazionali…
Bisognerebbe spiegare al popolo che sono proprio gli organi contromaggioritari a fare i suoi interessi, non i governi populisti che, come tutti i governi, fanno i propri interessi.
Le istituzioni contromaggioritarie sono contro i governi, non contro il popolo.
Il primo rimedio alla politica populista, di tipo istituzionale o costituzionale, e’ appunto difendere le istituzioni contromaggioritarie distintive della liberaldemocrazia. […]
Nella storia dello Stato moderno si sono accumulate tre progressive limitazioni del potere.
Prima la sovranita’ dei monarchi e la stessa sovranita’ popolare sono state limitate imponendo loro di rispettare la legge (Stato legislativo). Poi, alla stessa legislazione democratica e’ stato imposto di rispettare la Costituzione (Stato costituzionale).
Oggi si tratta di limitare un ulteriore potere, piu’ pervasivo
e sfuggente dei precedenti, che taluno chiama sovranità della rete.
La rete e’ sovrana, oggi, perche’ conferisce legittimita’ e potere, togliendoli agli Stati nazionali.
Gli Stati avevano i monopoli di tre beni: forza, moneta e comunicazioni. Ma le comunicazioni sono ormai passate alla rete, almeno da quando il governo americano ha regalato quest’ultima ai giganti del web. La moneta potrebbe farlo a sua volta se andasse in porto il progetto Libra, la valuta digitale di Facebook.
Manca solo il monopolio della forza, ma il populismo digitale sta provvedendo anche a questo.

Info:
https://www.illibraio.it/libri/mauro-barberis-come-internet-sta-uccidendo-la-democrazia-9788832962741/
https://www.lankenauta.it/?p=18988

Stato/Barberis

Mauro Barberis – Come internet sta uccidendo la democrazia. Populismo digitale – Chiarelettere (2020)

Il XX secolo forse non ha cambiato il concetto di democrazia […]
Ma le istituzioni democratiche – non solo il Parlamento, la tutela dei diritti fondamentali e la separazione dei poteri, ma anche i partiti, la stampa, i media… –, quelle si’ sono profondamente cambiate e funzionano in modo del tutto diverso da quelle sette-ottocentesche.
Ci si e’ accorti del mutamento solo dopo che il populismo era ormai esploso, attribuendo il fenomeno a cause contingenti come globalizzazione, crisi economiche, migrazioni, risentimento, rivoluzione digitale. In realtà c’e’ una causa politico-istituzionale del populismo che viene da molto piu’ lontano e coincide appunto con i mutamenti che hanno interessato la democrazia parlamentare […]
Il primo mutamento, tanto consolidato da passare ormai inavvertito, e’ la concentrazione dei poteri nell’esecutivo. E si badi che non si parla delle democrazie illiberali, ma proprio delle democrazie liberali.
Intanto, gli studiosi si occupano prevalentemente dei due poteri normativi, legislativo e giudiziario, e ignorano non tanto l’esecutivo quanto l’amministrazione: l’unico potere statale che dura anche quando cambiano maggioranze e governi, e senza il quale gli altri poteri non potrebbero funzionare.
Poi, e di conseguenza, non si riflette mai abbastanza sulle conseguenze prodotte, sulle istituzioni democratiche stesse, da due guerre mondiali, una guerra fredda, apparentemente chiusa dalla caduta del Muro di Berlino (1989), e un numero imprecisato di guerre asimmetriche, dalla Corea al Vietnam, dall’Afghanistan all’Iraq, spesso mascherate da interventi umanitari, esportazioni della democrazia o guerra al terrore. Tutti conflitti non dichiarati dai parlamenti, e gestiti direttamente dagli esecutivi.
Tutte queste guerre, scatenate nonostante il, o forse addirittura grazie al, principio del rifiuto della guerra come soluzione dei conflitti internazionali, hanno comportato uno spostamento enorme di poteri dal legislativo all’esecutivo, e da questo all’amministrazione […]
Si governa per decreti governativi, e l’ultima parola non tocca affatto ai giudici, come qualcuno crede, ma all’amministrazione […]
Il secondo mutamento che ha interessato le istituzioni democratiche e’ chiamato costituzionalizzazione ma dovrebbe chiamarsi anche internazionalizzazione della democrazia […]
Si tratta della democrazia, detta appunto costituzionale, in cui il potere statale incontra limiti sia interni (costituzioni rigide, corti costituzionali, interpretazione costituzionale) sia esterni (trattati internazionali, corti internazionali).
La democrazia costituzionale, impostasi in Occidente con la giurisprudenza delle grandi corti costituzionali e internazionali, si era estesa ai paesi dell’Est dopo la caduta del Muro di Berlino […]
Infine, c’è un terzo mutamento istituzionale da registrare, molto differente dai precedenti: lo svuotamento neoliberista della democrazia.
Si comincia a parlare di crisi della democrazia nel 1975: gli Stati nazionali, si dice, non sono piu’ in grado di assicurare la «governabilita’», ossia di adempiere le promesse fatte negli anni del boom economico.
«Governabilita’», governance (governo pubblico- privato) e sovranita’ del consumatore (decide chi compra) sono poi divenuti i mantra del neoliberismo, di destra e di sinistra.

Info:
https://www.illibraio.it/libri/mauro-barberis-come-internet-sta-uccidendo-la-democrazia-9788832962741/
https://www.lankenauta.it/?p=18988