Europa/Judt

Tony Judt – Quando i fatti (ci) cambiano – Laterza (2020)

L’Europa di oggi presenta un’altra caratteristica curiosa. E’ piu’ facile descrivere i vincitori, le persone e i luoghi che hanno compiuto progressi nell’Unione e associano la loro prosperita’ a un’identita’ marcatamente europea, facendo riferimento alle regioni, non agli Stati nazionali.
Gli esempi di grande successo nell’Europa contemporanea sono il Baden-Wurttemberg, nel sud- ovest della Germania, il Rodano-Alpi in Francia, la Lombardia e la Catalogna […]
Il livello di prosperita’ e di potere economico di queste regioni e’ sbalorditivo.
Il Rodano-Alpi, assieme all’area metropolitana di Parigi, rappresenta circa un terzo del prodotto interno lordo francese.
Nel 1993 la Catalogna rappresentava il 19 per cento del Pil della Spagna, il 23 per cento delle esportazioni e attirava un quarto degli investimenti esteri; il reddito pro capite superava del 20 per cento la media nazionale […]
Se l’«Europa» sta dalla parte dei vincitori, chi parlera’ a nome dei perdenti: il «Sud», i poveri, gli europei svantaggiati in termini di lingua, cultura e istruzione, disagiati, disprezzati, che non vivono in triangoli d’oro lungo frontiere svanite?
Il rischio e’ che a questi europei resti soltanto «la nazione» o, piu’ precisamente, il nazionalismo: non il separatismo nazionale dei catalani ne’ l’arrivismo regionale dei lombardi, ma la conservazione dello Stato del diciannovesimo secolo come baluardo contro il cambiamento.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858126479
https://ilmanifesto.it/tony-judt-e-la-responsabilita-della-storia/

Europa/Fazi

Thomas Fazi, Guido Iodice – La battaglia contro l’Europa – Fazi (2016)

Nelle attuali circostanze, l’uscita unilaterale dell’Italia o di un altro paese dall’euro potrebbe avere effetti controproducenti sia sul paese che dovesse recedere dalla moneta unica che sul resto dell’eurozona (e di riflesso sull’economia globale) […]
C’e’ pero’ un’altra posizione – diametralmente opposta a quella dei no-euro – che ci preoccuperemo di contestare: quella di chi ritiene che per risolvere la crisi dell’euro occorra fare gli “Stati Uniti d’Europa”.
Non perche’ chi scrive sia contrario in linea di principio a una prospettiva simile. Tutt’altro!
Ma perche’, nelle attuali circostanze, dovrebbe essere evidente a tutti che quando si parla di “cessione di sovranita’”, di “unione fiscale”, di “Tesoro europeo”, di “unione politica”, non si sta parlando di creare uno Stato federale, ma di sottoporre in modo ancor piu’ stringente gli Stati alla disciplina fiscale tedesca.
Al contrario, cio’ che ci pare necessario, nelle attuali circostanze, e’ ricominciare daccapo il processo costituente europeo dando maggiore spazio di manovra agli Stati  […]
Non ci vuole “più Europa” per salvare l’Europa e neppure per salvare l’euro. Ce ne vuole di meno […]
[Il problema] non è “Come uscire dall’euro” ma “Ripensare l’unione monetaria europea”.

Info:
https://fazieditore.it/catalogo-libri/la-battaglia-contro-leuropa/
https://keynesblog.com/2016/07/08/michele-salvati-recensisce-la-battaglia-contro-leuropa-di-thomas-fazi-e-guido-iodice/

Geoeconomia/Fagan

Pierluigi Fagan – Verso un mondo multipolare. Il gioco di tutti i giochi nell’era Trump – Fazi (2017)

Le civilta’ storiche, a grana grossa e bordi sfocati, sono quella asiatica, che e’ indosinica (indo e sinico sono due poli distinti solo in parte sovrapponibili), quella centro-eurasiatica, quella
arabo-islamica (l’islam non e’ solo arabo ma anche asiatico e africano), quella europea-anglosassone (eurocontinentale e anglosassone sono due poli distinti piu’ sovrapponibili di quelli indo e sinico ma non completamente), quella andino-centro americana, la tradizione africana.[…]
Ai margini si trovano Stati di cui cresce la rilevanza per demografia, per l’incremento della sua ricchezza, per posizione strategica, per possesso di materie prime, come accade per la Corea del Sud, il sistema Australia-Nuova Zelanda, l’Indonesia, il Vietnam, il Pakistan, l’Iran, la Turchia, il sistema del Golfo arabico, l’Egitto, la Nigeria, il Sudafrica, il Brasile, il Venezuela, il Messico.
Taiwan, Israele e Corea del Nord sono Stati in posizioni delicate e il loro comportamento ha effetti ben maggiori della loro semplice consistenza.
Oltre alle civilta’ e agli Stati, ci sono soggetti economici e finanziari che per dimensione, raggio di interessi e capacita’ operativa equivalgono a nazioni. Poi ci sono i sistemi religiosi, quello cristiano e quello musulmano in primis che assieme coprono circa meta’ dell’umanita’, i soggetti non governativi, i soggetti sistemici transnazionali come le Nazioni Unite, la Banca Mondiale (WB), il Fondo Monetario Internazionale (FMI), l’OCSE e molti altri. Infine, molti Stati fanno parte di alleanze militari o commerciali.

Info:
https://pierluigifagan.wordpress.com/verso-un-mondo-multipolare-il-libro/
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/mondo-multipolare/28857-verso-un-mondo-multipolare-il-gioco-di-tutti-i-giochi-nellera-trump

Europa/Balibar

Etienne Balibar – Crisi e fine dell’Europa? – Bollati Boringhieri (2016)

L’Europa ha creduto di costruire delle frontiere europee, ma in realta’ non ha frontiere, e’ essa stessa, in quanto tale, una frontiera complessa: contemporaneamente una e molteplice, fissa e mobile, rivolta verso l’esterno e l’interno.
Per usare un termine inglese, in questo caso piu’ pregnante, e’ una Borderland, una «terra di frontiera».
Cio’ significa, a mio parere, due cose di portata fondamentale e paradossale, le cui conseguenze continueranno a sfuggirci se continueremo a ragionare in termini di sovranita’ nazionale e di controlli in senso tradizionale: in primo luogo, che l’Europa non e’ uno spazio dove le frontiere si giustappongono, ma dove si sovrappongono senza riuscire veramente a fondersi; in secondo luogo, che l’Europa e’ uno spazio dove le frontiere si moltiplicano e si spostano costantemente […]
Riguardo al primo punto […] l’Europa non ha un’unica identificazione in termini di «territorio».
Siamo portati a credere che i confini esterni dell’Europa siano le frontiere reali dell’Europa, ma non e’ vero. Perche’ questi confini non coincidono né con quelli del Consiglio d’Europa (che include la Russia, l’Ucraina, la Turchia e tutti gli Stati balcanici e rientra nelle competenze della Corte europea dei diritti dell’uomo), né con quelli della NATO (che include gli Stati Uniti, la Norvegia, la Turchia ecc. ed e’ responsabile della protezione del territorio europeo, in particolare contro gli avversari dell’Est, e di una parte delle operazioni militari sulla sponda meridionale del Mediterraneo), né con la spazio Schengen (che include la Svizzera ma non il Regno Unito), né con l’eurozona, dove regnano la moneta unica e l’unione bancaria sotto il controllo della Banca centrale europea (e che include ancora la Grecia ma non il Regno Unito, la Svezia, e la Polonia).
Visti gli avvenimenti recenti, credo sia d’obbligo ammettere che queste diverse aree non arriveranno mai a fondersi. E che, di conseguenza, l’Europa non sia definibile come un territorio se non in modo riduttivo e di fatto contraddittorio. […]
Ritorniamo comunque al triste spettacolo che ci offre in questo momento l’Europa di fronte alla sfida migratoria e tentiamo di definire più precisamente il senso delle moltiplicazioni, degli spostamenti delle frontiere.
E’ il nostro secondo punto […]
L’appartenenza formale all’Unione europea e’ diventata un criterio secondario: i Balcani sono in Europa, come vogliono d’altronde la geografia e la storia, di modo che, ad esempio, il «muro» ungherese taglia l’Europa e riproduce il tipo di segregazione che pretende di escludere (come ha fatto osservare a mezza voce il portavoce della Commissione). D’altra parte, alcuni Paesi europei da altri Paesi sono considerati non europei, ma piuttosto delle zone tampone.
Ma questa definizione non è assoluta, funziona in senso relativo, secondo un gradiente, come direbbero i fisici, che acquista un significato politico, sociologico, ideologico e anche antropologico.
Il Sud, l’altra Europa che non e’ del tutto europea ma mantiene un piede nel Terzo Mondo o gli serve da porta di accesso, per la Francia e’ l’Italia, ma per l’Inghilterra e’ la Francia; per la Germania e’ l’Ungheria e tutto quello che si trova al di la’, ma per l’Ungheria e’ la Serbia, la Macedonia, la Grecia e la Turchia…
Quindi ci chiediamo: chi ferma chi? Chi e’ la guardia di frontiera dell’altro? Risposta: l’altro Stato, quello che sta piu’ a sud (o a sud- est) […]
Possiamo dunque arrivare alla doppia conclusione che si impone: nei fatti la frontiera esterna dell’Europa passa dovunque al suo interno, la taglia in parti sovrapposte; e di conseguenza l’Europa stessa – pur facendo parte del Nord – non e’ altro che una delle zone dove si gioca la grande e impossibile demarcazione del mondo attuale tra Nord e Sud. Una demarcazione che in realta’ non e’ piu’ localizzabile.
Se a questo si aggiungono le demarcazioni economiche (a volte percepite come culturali) che si stanno scavando tra il Nord e il
Sud del continente, all’interno dell’Unione europea stessa, per effetto del liberismo economico e dei rapporti tra Paesi creditori e debitori, si capisce come alcuni Paesi membri siano tentati di amputarne altri per proteggersi meglio contro quello che rappresentano o che portano in Europa.
Salvo che un atteggiamento del genere pragmaticamente
non ha senso, perche’ dove si fara’ passare la superfrontiera? Come la si definirà sotto il profilo giuridico?

Info:
https://www.lindiceonline.com/osservatorio/economia-e-politica/balibar-crisi-europa-ordoliberale/
https://www.illibraio.it/libri/etienne-balibar-crisi-e-fine-delleuropa-9788833928449/
https://left.it/2019/04/13/balibar-leuropa-va-rifondata-aprendo-i-confini/

Populismo/De Benoist

Alain De Benoist – Populismo.Lafine della destra e della sinistra – Arianna (2017)

Da diversi decenni il popolo constata che la sua vita quotidiana e’ stata sconvolta in profondita’ da evoluzioni sulle quali non e’ mai stato consultato e che la classe politica, di tutte le tendenze, non ha mai cercato di modificare o frenare […]
In primo luogo, l’immigrazione.
Nello spazio di due generazioni, tramite il meccanismo del ricongiungimento familiare e dell’afflusso migratorio, la vecchia immigrazione temporanea ha assunto il carattere di un’immigrazione di popolamento.
Massiccia, rapida, malaccolta e mal controllata, essa ha generato in tutti i campi (scuola, vita quotidiana, mondo del lavoro, sicurezza, delinquenza) una serie di patologie sociali, creato o esacerbato fratture culturali o confessionali, minato i costumi e trasformato in profondita’ la composizione della popolazione […]
In secondo luogo, l’Unione europea.
Dall’inizio degli anni Ottanta la costruzione europea si e’ saldata con la scomparsa di interi pezzi di sovranita’ degli Stati, senza che quest’ultima fosse riportata a un livello superiore. L’aumento vertiginoso del debito pubblico, causato inizialmente dalla volonta’ di salvare le banche minacciate
dalla crisi finanziaria del 2008, ha posto gli Stati in una posizione di dipendenza dai mercati finanziari nel momento stesso in cui la creazione dell’euro li privava della possibilita’ di decidere sovranamente sulla loro politica monetaria.
Gia’ dipendenti dalla NATO sul piano militare, sottomessi ai vincoli di bilancio decretati dall’Unione europea, gli Stati sono titolari di una sovranita’ di pura facciata.
Le istituzioni europee, inoltre, sono state realizzate procedendo dall’alto verso il basso.
I popoli non sono stati associati alla costruzione europea, e le poche volte in cui sono stati consultati la loro opinione non e’ stata tenuta in alcuna considerazione […]
Infine, la globalizzazione.
Resa possibile dal crollo del sistema sovietico, che simboleggiava la divisione del mondo in due sistemi, ha rappresentato una rivoluzione simbolica fondamentale che ha cambiato il nostro rapporto con il mondo ponendo fine alla lenta ascesa delle classi medie e rendendo insostenibili le conquiste sociali concesse al mondo del lavoro, all’epoca del
“trentennio glorioso” di crescita economica successivo al secondo dopoguerra (1945-1975).
Attraverso il gioco delle delocalizzazioni e della messa in
concorrenza, in condizioni di dumping, con il monte salari sottopagato del Terzo Mondo, ha distrutto il potere di contrattazione collettiva dei lavoratori e contemporaneamente ha attentato alla sovranita’ degli Stati, cui si e’ ingiunto di non fare piu’ uso della loro volonta’ politica.
E’ stato cosi’ costruito un mondo senza esterno, senza alternativa, ordinato alla sola legge del profitto.

Info:
https://www.anobii.com/books/Populismo/9788865881897/01e2818c0646349dc7
http://www.opinione.it/cultura/2017/09/13/teodoro-klitsche-de-la-grande_de-benoist-populismo/

Economia di mercato/Fazi

Thomas Fazi, Guido Iodice – La battaglia contro l’Euripa. Come un’elite ha preso in ostaggio un continente. E come possiamo riprendercelo – Fazi (2016)

Impazzimento collettivo o guerra di classe? […]
Il quadro si semplifica, almeno in parte, se, rinunciando alla chiave degli “errori” e dell’“impazzimento collettivo”, si suppone che quella che stiamo vivendo sia una transizione, e che le politiche adottate dai sovrani della troika e dai governi nazionali piu’ forti, Germania in testa, rientrino in un processo governato di ristrutturazione delle nostre societa’: in una distruzione creatrice, finalizzata alla sostituzione del modello sociale postbellico (il capitalismo democratico incentrato sul welfare pubblico e sulla riduzione delle sperequazioni in un’ottica inclusiva) con un modello oligarchico (postdemocratico) affidato alla «giustizia dei mercati globali» e caratterizzato dal binomio poverta’ pubblica-ricchezza privata. […]
La scelta, per esempio, di costringere gli Stati membri ad accumulare enormi avanzi primari per assicurare che questi siano in grado di garantire il servizio degli interessi sul debito pregresso – esemplificata dal fiscal compact – e’ molto piu’ di una semplice “stupidita’”. Secondo alcuni, si tratterebbe addirittura del «piu’ grande trasferimento di risorse dalle classi medio-basse a quelle alte nella storia».
Lo stesso vale per le misure di privatizzazione o di compressione salariale, che vanno tutte a beneficio dei grandi gruppi industriali, europei e non, che infatti hanno visto il loro margine di profitto tornare ai livelli pre-crisi.
L’austerita’, pero’, non produce solo un trasferimento di risorse da alcune classi sociali verso altre; produce anche un trasferimento di risorse da alcuni paesi verso altri, come vedremo piu’ avanti. E’ difatti sotto gli occhi di tutti come la scelta di ridurre gli squilibri commerciali intereuropei costringendo i paesi in deficit a tagliare i salari e a ridurre la domanda, senza perO’ chiedere ai paesi in surplus di fare la loro parte stimolando la domanda interna, abbia determinato enormi benefici per i secondi (Germania in primis) a scapito dei primi.
In definitiva, possiamo ragionevolmente ipotizzare che quello a cui stiamo assistendo non sia un incidente di percorso o il semplice prodotto di politiche “sbagliate”, ma piuttosto il risultato di un disegno preciso. Di una vera e propria “guerra di classe”.

Info:
https://fazieditore.it/catalogo-libri/la-battaglia-contro-leuropa/
https://keynesblog.com/2016/07/08/michele-salvati-recensisce-la-battaglia-contro-leuropa-di-thomas-fazi-e-guido-iodice/

Economia di mercato/Fazi

Thomas Fazi, Guido Iodice – La battaglia contro l’Europa. Come un’eilite ha preso in ostaggio un continente. E come possiamo riprendercelo – Fazi (2016)

E’ altrettanto vero che in molti paesi europei, tra cui l’Italia (e in generale in tutti i paesi avanzati), negli ultimi trent’anni il debito pubblico e’ effettivamente aumentato in maniera molto significativa. Ma questo non e’ dovuto a un aumento della spesa pubblica in questo periodo – come sostengono i fautori dell’austerita’ – quanto all’erosione delle entrate pubbliche, dovuta a una debole crescita economica, alla stagnazione dei salari e soprattutto alla controrivoluzione fiscale degli ultimi trent’anni.
In base alla convinzione – del tutto smentita dai fatti – che tasse piu’ basse stimolino la crescita e finiscano per aumentare le entrate dello Stato, secondo la dottrina della trickle-down economics [teoria del gocciolamento dall’alto], gli Stati europei come del resto tutti i paesi avanzati, hanno iniziato dal 1980 a imitare la politica fiscale americana. Sono cosi’ proliferati i tagli alle tasse e ai contributi sui profitti delle societa’, sui redditi dei piu’ ricchi, sui grandi patrimoni, sui contributi degli imprenditori ecc. […]
Tali politiche fiscali hanno costretto i governi a prendere a prestito denaro dalle famiglie piu’ ricche e dai mercati per finanziare i deficit cosi’ creati. Si potrebbe a questo proposito parlare di effetto “jack-pot”: con i soldi risparmiati sulle tasse, i ricchi hanno potuto acquistare i titoli del debito pubblico emessi per finanziare il deficit causato dalla riduzione delle tasse.
E’ sorprendente come i leader politici siano riusciti a convincere i cittadini che i lavoratori, i pensionati e i malati siano i responsabili del debito pubblico.
L’incremento del debito pubblico in Europa o negli USA non e’ dunque il risultato di politiche keynesiane espansive o di costose politiche sociali, ma e’ piuttosto il risultato di politiche in favore di pochi fortunati: tasse e contributi piu’ bassi hanno aumentato il reddito disponibile di coloro che ne hanno meno bisogno.

Info:
https://fazieditore.it/catalogo-libri/la-battaglia-contro-leuropa/
https://keynesblog.com/2016/07/08/michele-salvati-recensisce-la-battaglia-contro-leuropa-di-thomas-fazi-e-guido-iodice/

Europa/Zielonka

Jan Zielonka – Contro-rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale – Lasterza (2018)

I contro-rivoluzionari sono probabilmente ingenui a pensare che un ritorno agli Stati-nazione possa risolvere tutti i principali problemi, ma io mi chiedo se le liberta’ liberali possano ancora essere mantenute nell’Europa che noi abbiamo creato.
E mi chiedo anche se il liberalismo potra’ essere efficacemente difeso in assenza di una volonta’, una solidarieta’ e una speranza collettive che confinano con il mito.
Non siamo riusciti a creare una societa’ civile europea e un’autorita’ pubblica europea capace di spingere in avanti il progetto liberale. Non sorprende, dunque, che sempre piu’ cittadini europei ci stiano abbandonando e stiano invece avallando politiche superate ma familiari di gloria nazionale, comunita’ morale, e muri che separano un gruppo da un altro.

Info:
https://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/440518/chi-ha-lasciato-senza-difese-la-democrazia/
https://www.pandorarivista.it/articoli/contro-rivoluzione-jan-zielonka/3/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858129937
http://www.atlanticoquotidiano.it/recensioni/rivoluzione-la-disfatta-delleuropa-liberale-jan-zielonka/
https://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/440518/chi-ha-lasciato-senza-difese-la-democrazia/

Capitalismo/Crouch

Colin Crouch – Il potere dei giganti. Perche’ la crisi non ha sconfitto il neoliberismo – Laterza (2014)

Perche’ le banche si sono rivolte ai governi chiedendo di salvarle con somme di denaro ingenti, se gli stessi governi asseriscono di essere molto meno efficienti delle imprese sul mercato, e di dover ridurre al minimo i propri interventi sul mercato?
E perche’ i governi hanno accettato le richieste delle banche?
E’ vero o no che le grandi banche sono “troppo grandi per fallire”, e che quando hanno problemi i governi e i contribuenti devono correre in loro aiuto?
Se e’ vero, non significa forse ammettere che il funzionamento del mercato va incontro a limiti molto seri, e che il neoliberismo vacilla nei suoi presupposti di fondo?

Info:
http://tempofertile.blogspot.com/2013/09/colin-crouch-il-potere-dei-giganti.html
https://tramedoro.eu/?p=2447
https:/www.pandorarivista.it/articoli/disuguaglianze-intervista-colin-crouch/

Capitalismo/De Grossouvre

Henri Grossouvre – Parigi, Berlino, Mosca. Geopolitica dell’indipendenza europea – Fazi (2004)

La globalizzazione liberista mira a distruggere tutte le strutture intermedie dell’esercizio del potere tra il cittadino, divenuto tragicamente individuo, oggetto, consumatore, e il mercato mondiale […]
Questa volonta’ di eliminare i popoli, le nazioni e gli Stati sovrani e’ l’attributo principale del soggetto mondializzatore e/o globalista, quello che incarna o rappresenta il nuovo potere polimorfo emergente su scala planetaria.
E questo significa privare la democrazia del suo campo istituzionale di esercizio, vuol dire piu’ in generale abolire lo spazio politico.

Info:
http://www.archiviostorico.info/Rubriche/Librieriviste/recensioni/parigiberlinomosca.htm
http://www.caffeeuropa.it/pensareeuropa/259gollismo.html