Societa’/Schiavone

Aldo Schiavone – Sinistra! Un manifesto – Einaudi (2023)

Dobbiamo aver la pazienza di tornare indietro, almeno sino all’ultimo decennio del secolo scorso. Quando due eventi, entrambi di enorme portata, cambiarono la forma del mondo in cui eravamo fino ad allora vissuti.
Da un lato, il pieno esplodere della terza rivoluzione tecnologica nella storia umana, dopo quella agricola e quella industriale, e il connesso mutamento nella forma capitalistica che avvolge da allora il pianeta.
Dall’altro, il crollo inaspettato dell’Unione Sovietica, con la fine mondiale del comunismo […]
La connessione fra i due episodi non e’ solo temporale. Fra loro c’e’ un legame molto stretto […]
L’effetto congiunto dei due fatti, ciascuno per suo conto grandioso, e’ stato devastante per la cultura e per le politiche della sinistra: di tutte le sinistre nelle loro varie forme storiche, e nell’intero Occidente.
Ogni sconfitta subita in questi anni, dagli Stati Uniti alla Francia, alla Gran Bretagna, alla Svezia, e’ legata in modo piu’ o meno stretto a questo passaggio d’epoca.
E tanto piu’ […] e’ stato cosi’ per la sinistra italiana, che da allora ha smesso non solo di pensare, ma anche semplicemente di guardarsi intorno, a cominciare dal proprio Paese e dai suoi mutamenti […]
L’intera storia della sinistra – non solo italiana – in tutte le sue varianti si e’ sempre costruita intorno a una connessione primaria. Essa infatti si e’ collocata sin dalla sua nascita a ridosso di una specie di coincidenza di opposti – di contraddizione originaria – che aveva preso corpo nell’Europa immediatamente successiva alla Rivoluzione francese e a quella industriale, e che aveva dato una nuova forma alla politica nell’intero continente […]
Mi riferisco alla cooperazione antagonistica tra capitale e lavoro; tra borghesia delle imprese (e delle professioni, sia tecniche, sia umanistiche, piu’ o meno collegate a quel modo di produrre) e masse operaie concentrate nel sistema delle grandi fabbriche e dei loro recenti macchinari: una combinazione e insieme una polarita’ subito diventate determinanti in tutto l’Occidente […]
La voce del nuovo soggetto politico era quella di una delle due parti in causa: del lavoro materiale produttore di ricchezza, che proclamava la sua assoluta centralita’ nel mondo moderno, in lotta di fronte alla potenza storicamente schiacciante del capitale, che pretendeva invece di sottometterlo completamente alle uniche ragioni del profitto e delle merci […]
Il codice genetico della sinistra veniva a identificarsi cosi’ – e lo sarebbe stato per sempre fino a ieri – con la lotta di classe: un fenomeno, quest’ultimo, tipico della modernita’ occidentale – e soprattutto europea –, ma solo di questa.

Info:
https://www.genteeterritorio.it/una-sinistra-nuova-riflessioni-sul-libro-di-aldo-schiavone/
https://www.infinitimondi.eu/2023/03/08/tre-libri-recenti-3-sinistra-un-manifesto-di-aldo-schiavone-einaudi-2023-una-bolognina-trentanni-dopo-recensione-di-gianfranco-nappi/
https://www.huffingtonpost.it/blog/2023/02/14/news/schiavone_la_sinistra_il_passato_e_il_presente-11341021/
https://www.repubblica.it/cultura/2023/02/07/news/aldo_schiavone_politologo_nuovo_libro_sinistra_ordine_mondiale_progressisti-386900578/

 

Lavoro/Srniceck

Nick Srniceck, Alex Williams – Inventare il futuro. Per un mondo senza lavoro – Nick Srniceck, Alex Williams – Produzioni Nero (2018)

L’ostacolo piu’ grande al reddito base – e in generale alla realizzazione di una societa’ post-lavoro – non e’ in realta’ di tipo economico, ma politico e culturale: politico perché le forze che si oppongono a questa idea sono estremamente potenti; culturale, perche’ il lavoro e’ profondamente integrato nelle nostre vite come parte della nostra stessa identita’ […]
Uno dei problemi piu’ grandi per l’attuazione di un reddito base e la costruzione di una societa’ post-lavoro, e’ quello di superare la pressione sociale che porta a interiorizzare l’etica del lavoro […]
Lasciarsi alle spalle l’etica del lavoro sara’ dunque un obiettivo ineludibile per qualsiasi futuro tentativo di costruire un mondo post-lavoro […]
Le nostre vite sono sempre piu’ strutturate attorno a un ideale fortemente competitivo, che nel lavorare duro individua il principale strumento di autorealizzazione, e per quanto degradante, sottopagato o scomodo esso sia, il lavoro viene comunque considerato come un bene in se’.
Questo e’ il mantra dei principali partiti politici come della maggior parte dei sindacati: e’ un’idea che spesso deriva dalla retorica del lavoro per tutti […]
La stessa ideologia e’ parallela alla demonizzazione dei disoccupati: i giornali pubblicano titoli che mettono in dubbio la caratura morale di coloro che ricevono i sussidi, i programmi televisivi ridicolizzano i poveri, e lo stereotipo del parassita dello Stato assistenziale e’ ormai un classico.
Il lavoro e’ diventato centrale per la nostra concezione di noi stessi, ed e’ cosi’ profondamente radicato in noi che, di fronte all’idea di lavorare meno, molti rispondono: «E allora cosa farei?».
Il fatto che cosi’ tante persone non riescano neppure a immaginare una vita che abbia significato al di fuori del proprio impiego dimostra quanto in profondita’ l’etica del lavoro abbia plasmato la nostra psiche […]
Questa forma di pensiero lascia intendere un ovvio residuo teologico, giacche’ la sofferenza e’ considerata non solo intrinsecamente significativa, ma come la vera e propria condizione base per una vita che valga la pena vivere: in parole povere, una vita senza sofferenza viene considerata come frivola e vacua.
Questa concezione va rigettata e considerata il residuo di un’epoca storica trascesa da tempo.
La spinta a dare un significato profondo alla sofferenza puo’ magari avere avuto senso in quelle epoche passate in cui poverta’, malattia e fame erano elementi ricorrenti dell’esistenza umana; ma oggi e’ doveroso rifiutarne la logica, e riconoscere che abbiamo superato la necessita’ di fondare il senso delle nostre esistenze sulla quantita’ di sofferenza provata: il lavoro e il dolore che lo accompagna non meritano celebrazione alcuna […]
La pressione che ci spinge ad accettare l’etica del lavoro e’ controbilanciata dal disprezzo che proviamo per i nostri impieghi: oggi, in tutto il mondo, solo il tredici percento delle persone sostiene di ritenere il proprio lavoro interessante.
Spossati e svuotati dal punto di vista fisico, mentale e sociale, i lavoratori vivono le loro occupazioni come fonte di continuo stress. Per la stragrande maggioranza delle persone il lavoro non ha alcun significato, non offre alcun tipo di gratificazione ne’ di redenzione: e’ solo un male necessario che serve a pagare le bollette a fine mese.

Info:
https://www.terrelibere.org/inventare-il-futuro/
https://lacaduta.it/riappropriarsi-del-futuro-secondo-srnicek-e-williams-bb0f904b2d0e
https://www.quadernidaltritempi.eu/liberi-dal-lavoro-il-domani-quasi-possibile/
https://www.anobii.com/books/Inventare_il_futuro/9788880560098/01b82e055beaceae9c
http://www.exasilofilangieri.it/presentazione-del-libro-inventare-futuro-un-mondo-senza-lavoro-n-srnicek-williams/

Stato/Mason

Paul Mason – Il futuro migliore. In difesa dell’essere umano. Manifesto per un ottimismo radicale – il Saggiatore (2019)

Alcune domande inquietanti.
Primo: se una democrazia liberista di successo come gli Stati Uniti e’ in grado di produrre un Trump, non e’ il segnale che oggi siamo messi peggio che negli anni trenta?
Hitler e Stalin erano i prodotti di economie controllate dallo Stato e colpite dalla crisi; governavano popolazioni sottomesse e scarsamente istruite, che erano state addestrate a obbedire ai loro superiori da generazioni di lavoro in fabbrica e leva militare […]
Al contrario, l’America di inizio xxi secolo e’ una societa’ piena di gente istruita e con una tradizione democratica ininterrotta che risale fino al 1776 […]
Secondo: nel loro tentativo di offuscare la distinzione tra verita’ e menzogne, i dittatori degli anni trenta erano enormemente aiutati dal monopolio assoluto che detenevano sull’informazione, anzi, per meglio dire, sulla disinformazione: l’elite controllava la stampa e lo Stato controllava le stazioni radio. Perfino il possesso di una macchina da scrivere era soggetto a rigorosi controlli, sia nel Terzo Reich che nell’Unione Sovietica.
Oggi non esiste un simile monopolio sull’informazione: e allora come mai tantissime persone hanno abboccato alla strategia delle fake news?
Terzo: Hitler fu distrutto da Stalin. L’intero universo postbellico in cui la Arendt, Orwell, Koestler e Levi scrissero le loro analisi sul totalitarismo fu creato dalla vittoria di uno Stato totalitario su un altro.
Se oggi l’Occidente e’ minacciato da un rinnovato impulso totalitario, dov’e’ la forza esterna in grado di distruggerlo, come fecero gli eserciti alleati e sovietici nel 1944-1945? Ci siamo solo noi.

Info:
https://saggiatore.s3.eu-south-1.amazonaws.com/media/rassegne/2019/2019_05_30-manifesto-Mason-1.pdf
https://saggiatore.s3.eu-south-1.amazonaws.com/media/rassegne/2019/2019_10_01-Avvenire-Mason.pdf
https://saggiatore.s3.eu-south-1.amazonaws.com/media/rassegne/2019/2019_07_01-Fatto_Quotidiano-Mason-1.pdf

Societa’/Reich

Robert B. Reich – Supercapitalismo. Come cambia l’economia globale e i rischi per la democrazia – Fazi (2008)

Il reciproco corteggiamento tra il supercapitalismo e i nostri istinti piu’ bassi potrebbe essere alla base anche dell’ondata di obesita’ che affligge le nostre societa’.
Gli americani e molte altre popolazioni in giro per il mondo hanno oggi facile accesso a una valanga senza precedenti di prodotti ipercalorici e di cibo spazzatura.
La forte concorrenza tra le aziende di fast food ha liberato un torrente di cereali zuccherati, grassi spuntini, porzioni enormi di carni fritte, bevande super-zuccherate e un orrendo pane fatto di carboidrati raffinati […]
Il numero di calorie che assumiamo e’ passato da una media di 3.300 al giorno nel 1970 a 3.800 alla fine degli anni Novanta: il doppio della quantita’ richiesta per soddisfare il fabbisogno energetico di gran parte delle donne adulte, e un terzo in piu’ del fabbisogno della maggior parte degli uomini, e molto piu’ di quanto abbiano bisogno i bambini e gli anziani.

Info:
https://www.lastampa.it/economia/2008/07/05/news/il-supercapitalismo-1.37093927/
https://www.astrid-online.it/static/upload/protected/Reic/Reich_Gaggi_Corriere_22_6_08.pdf
https://espresso.repubblica.it/affari/2008/05/28/news/fra-supercapitalisti-e-nuovi-poveri-1.8591/
https://www.ilsecoloxix.it/mondo/2008/08/21/news/cosi-il-supercapitalismo-sta-uccidendo-la-democrazia-1.33385408

Green New Deal/Fraser

Nancy Fraser – Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunita’ e il pianeta – Laterza (2023)

Per definizione, le societa’ capitaliste demandano al capitale, o meglio a coloro che si dedicano alla sua accumulazione, il compito di organizzare la produzione.
Questo sistema autorizza la classe dei capitalisti a estrarre materie prime, a generare energia, a determinare l’uso del suolo, a progettare sistemi alimentari, a esplorare la biodiversita’ in cerca di nuovi medicinali e a smaltire i rifiuti, di fatto concedendo loro la parte del leone nel controllo su aria e acqua, suolo e minerali, flora e fauna, foreste e oceani, atmosfera e clima, vale a dire su tutte le condizioni di base della vita sulla Terra.
Le societa’ capitaliste conferiscono cosi’ il potere di gestire le nostre relazioni con la natura a una classe fortemente motivata a distruggerla.
Certo, a volte i governi intervengono a posteriori per mitigare i danni, ma in modo reattivo e senza mettere in questione le prerogative dei proprietari.
Sempre un passo indietro rispetto a chi emette gas serra, le norme ambientali vengono facilmente aggirate dagli espedienti messi in atto dalle aziende.
Lasciando intatte le condizioni strutturali che autorizzano le imprese private a organizzare la produzione, queste regolamentazioni non alterano il fatto fondamentale: il sistema conferisce ai capitalisti il movente, i mezzi e l’opportunita’ per sbranare il pianeta.
Sono loro, e non gli esseri umani in generale, ad averci regalato il riscaldamento globale. E non per caso o per semplice avidita’. Piuttosto, la dinamica che ha diretto le loro azioni e che ha portato a questo risultato e’ insita nella struttura stessa della societa’ capitalista.
Da qualunque punto di vista si osservi la questione, la conclusione a cui si arriva e’ sempre la stessa: le societa’ organizzate in modo capitalistico hanno nel proprio Dna una contraddizione ecologica che le predispone a scatenare «catastrofi naturali».
Tali disastri, nient’affatto accidentali, si verificano periodicamente nel corso della loro storia. Pertanto, queste societa’ presentano una tendenza intrinseca alla crisi ecologica.

Info:
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/fraser_rep.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/fraser_lalettura.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/fraser_corsera.pdf
https://jacobinitalia.it/il-capitalismo-cannibale/

Economia di mercato/Undiemi

Lidia Undiemi – La lotta di classe nel XXI secolo. La nuova offensiva del capitale contro i lavoratori: il quadro mondiale del conflitto e la possibile reazione democratica – Ponte alle Grazie (2021)

Le multinazionali operano mediante una sofisticata ingegneria istituzionale e finanziaria che affonda le sue radici nell’utilizzo di un particolare strumento giuridico: il «gruppo di societa’».
I gruppi di societa’ sono le istituzioni dominanti dell’economia mondiale, e rappresentano il modello organizzativo delle multinazionali.
Gruppi e multinazionali sono due facce della stessa medaglia.
Le statistiche mostrano come il commercio internazionale sia sempre piu’ caratterizzato dagli scambi che vengono realizzati tra consociate della stessa impresa multinazionale […]
Il nuovo sistema economico mondiale tende quindi a svilupparsi non sul commercio fra imprese indipendenti ma sulla concatenazione di societa’ – controllanti e controllate – che operano in uno spazio sovranazionale, tutte riferite a un’unica impresa «globale», il cui centro direttivo viene individuato nella capogruppo (societa’ «madre»).
Ciascuna singola relazione fra le societa’ legate da rapporti di controllo – o anche solamente partecipate – non esclude di per se’ i flussi commerciali di beni e servizi poiche’, in ogni caso, la relazione fra entita’ societarie anche solo formalmente distinte richiede comunque la stipulazione di accordi commerciali che ne giustifichino legalmente lo scambio, cosi’ come avviene tra imprese indipendenti […]
L’outsourcing e la proliferazione dei gruppi di societa’ sono quindi fenomeni fortemente interdipendenti, poiche’ alla frammentazione societaria deve quindi corrispondere una formale relazione commerciale – un contratto di fornitura – che possa giustificare lo scambio fra societa’ appartenenti alla medesima impresa multinazionale […]
L’uso su larga scala delle transazioni commerciali intra-gruppo e’ un fenomeno che ha delle implicazioni economiche enormi, in quanto significherebbe ammettere che una buona parte di scambi commerciali, nazionali e internazionali, viene realizzata nell’ambito della stessa impresa – ancorche’ formalmente distinta in piu’ societa’ – e non, come ci si aspetterebbe, fra imprese concorrenti.
Venditore e compratore verrebbero a coincidere, lo scambio in se’ diverrebbe una «finzione» economica e l’apparente concorrenza sarebbe in realta’ espressione di un mercato sostanzialmente oligopolistico, strutturato su un modello di «scambio a contraente unico»: le condizioni dello scambio commerciale – del prezzo ovvero di qualsiasi altra scelta rilevante inerente alla vita interna della societa’ eterodiretta – verrebbero dettate dalla societa’ controllante, sia essa formalmente acquirente o venditrice del bene o del servizio prodotto la cui controparte e’ la controllata.

Info:
https://www.lidiaundiemi.it/libri/la-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo
https://www.lacittafutura.it/recensioni/la-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo
https://www.sinistrainrete.info/politica/23735-lidia-undiemi-reagire-e-non-aspettare-il-manifesto-della-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo.html
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-lidia_undiemi__reagire_e_non_aspettare_il_manifesto_della_lotta_di_classe_nel_xxi_secolo/39130_47187/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/05/undiemi-la-pace-sociale-e-una-trappola-per-i-lavoratori-serve-una-ripresa-della-conflittualita-dal-governo-mi-attendo-nuova-riforma-lavoro/6120731/

Societa’/Mattei

Ugo Mattei – Beni comuni. Un manifesto – Laterza (2011)

[Il]dilemma dei beni comuni […]
L’essenza dei beni comuni non poteva essere colta dal paradigma della proprieta’ pubblica (demanio) ne’ da quello della proprieta’ privata (dominio), caratterizzanti il nostro diritto dei beni, poiche’ entrambi questi poli sono incardinati sull’esclusione e sulla concentrazione del potere di disporre nelle mani di un soggetto sovrano, sia esso pubblico o privato, da esercitarsi su un oggetto (bene: cosa che puo’ formare oggetto di diritti, art. 810 Codice civile).
Viceversa, le utilita’ di tutti i beni comuni tanto di natura fisica (acqua, aria, ghiacciai, lido del mare…) quanto di natura culturale (pinacoteche, conoscenza, piazze, monumenti…) non sono prodotte dall’esclusione bensi’ dall’inclusione […]
Quelli comuni intanto sono beni (cose che possono formare oggetto di diritti) in quanto siano accessibili a tutti, declinando quindi la logica dell’inclusione, totalmente antagonista a quella classica dell’esclusione, che conferisce valore alla proprieta’ sotto forma di rendita. I beni comuni, in altri termini, valgono per il loro valore d’uso e non per quello di scambio […]
Il bene comune non e’ a consumo rivale; al contrario, presenta una struttura di consumo relazionale che ne accresce il valore attraverso un uso qualitativamente responsabile (e pertanto ecologico) […]
Il governo dei beni comuni deve tener conto anche delle esigenze delle generazioni future, ossia deve essere ecologico. Infine, la loro tutela giurisdizionale preventiva deve essere diffusa, ossia tutti devono avere accesso alla giurisdizione per difenderli. Questo legame con la giurisdizione concretizza nel governo diffuso dei beni comuni la loro estraneita’ non solo all’idea di proprieta’ privata (e dunque di mercato), ma anche a quella di proprieta’ pubblica limitata dai confini geografici statuali (demanio), proprio perche’ l’accesso alle Corti e’ aperto a chiunque. Infatti, una foresta tropicale che produce ossigeno indispensabile per la sopravvivenza del pianeta, o un’opera d’arte attribuita ad un grande maestro, o una spiaggia incontaminata, sono beni comuni indipendentemente dalla loro collocazione all’interno dei confini dello Stato sovrano nell’ambito del quale si trovano.
In questo senso i beni comuni sono collegati (anche se non ridotti) all’idea (globale) di patrimonio comune dell’umanita’.

Info:
http://www.prodocs.org/wp-content/uploads/2016/12/1.7-Un-MANIFESTO-per-i-beni-comuni_Mattei.pdf
https://www.juragentium.org/books/it/mattei.htm
https://gognablog.sherpa-gate.com/beni-comuni-il-manifesto-di-ugo-mattei/
https://www.lavoroculturale.org/beni-comuni-un-manifesto/antonio-iannello/2011/

Economia di mercato/Undiemi

Lidia Undiemi – La lotta di classe nel XXI secolo. La nuova offensiva del capitale contro i lavoratori: il quadro mondiale del conflitto e la possibile reazione democratica – Ponte alle Grazie (2021)

Per comprendere gli effetti della globalizzazione sul conflitto di classe e sulle democrazie mondiali, occorre dare uno sguardo al modo in cui le multinazionali si sono espanse nel mondo, e all’influenza che queste sono capaci di esercitare sui sistemi politici nazionali.
Il termine «multinazionale» sta a indicare un’impresa che organizza e coordina attivita’ che travalicano i confini nazionali […]
In pratica, la multinazionale si espande nel mondo usando il modello di gruppo di societa’, in cui le societa’ che vi appartengono sono legate da rapporti di controllo societario.
Un importante indicatore economico del legame fra sviluppo delle multinazionali e utilizzo di societa’ controllate sono gli Investimenti Diretti Esteri (IDE), che un operatore di mercato effettua in un Paese diverso da quello in cui risiede il centro direttivo della sua attivita’ (la holding).
L’investimento viene realizzato mediante acquisizione di partecipazioni dell’impresa che si intende controllare all’estero (IDE Brownfield o M&A), oppure attraverso la creazione di una filiale nel Paese in cui ci si intende insediare (IDE Greenfield).
Cio’ al fine di consentire alla societa’ madre di esercitare i poteri di direzione e di gestione della societa’ partecipata o costituita.
L’integrazione dei mercati a livello mondiale e’ dipesa in misura sempre maggiore dagli IDE, con operazioni di fusione e acquisizioni societarie internazionali.
Gli IDE possono assumere la forma di investimenti orizzontali o verticali. I primi consistono nel trasferimento di capitali, tecnologia e piu’ in generale di quei fattori che consentono la produzione in loco, per soddisfare il mercato locale; tale strategia viene definita anti-trade, poiche’ elimina la pratica dell’esportazione. Gli investimenti verticali si hanno invece quando il processo di internazionalizzazione dell’impresa passa attraverso la delocalizzazione dei vari stadi della produzione, i cui beni, attenzione, non sono destinati a essere consumati esclusivamente laddove vengono prodotti, ma a soddisfare le esigenze di consumo di altri Paesi.
Per tale ragione questa forma di IDE viene considerata pro-trade, cioe’ che stimola il commercio internazionale. Quest’ultima tipologia di investimenti diretti si e’ notevolmente sviluppata a partire dalla seconda meta’ degli anni Novanta, dando luogo a ingenti piani di delocalizzazione produttiva.

Info:
https://www.lidiaundiemi.it/libri/la-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo
https://www.lacittafutura.it/recensioni/la-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo
https://www.sinistrainrete.info/politica/23735-lidia-undiemi-reagire-e-non-aspettare-il-manifesto-della-lotta-di-classe-nel-xxi-secolo.html
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-lidia_undiemi__reagire_e_non_aspettare_il_manifesto_della_lotta_di_classe_nel_xxi_secolo/39130_47187/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/03/05/undiemi-la-pace-sociale-e-una-trappola-per-i-lavoratori-serve-una-ripresa-della-conflittualita-dal-governo-mi-attendo-nuova-riforma-lavoro/6120731/

Societa’/Banti

Alberto Mario Banti – La democrazia dei followers. Neoliberismo e cultura di massa – Laterza (2020)

Quasi nessuno dei grandi eventi storici che hanno avuto luogo in questo periodo (dall’imperialismo alla Grande Guerra, al fascismo, al nazismo) puo’ essere davvero compreso senza osservare l’impatto comunicativo travolgente (e profondamente divisivo) del discorso nazionalista, che sul piano europeo si strutturava intorno a tre semplici ed efficaci figure profonde.
La prima e’ l’immagine della parentela.
Ed e’ proprio attraverso il riferimento a un’immagine cosi’ semplice e facilmente comprensibile che prende forma una delle fondamentali matrici del discorso nazionale. Descrivere la nazione come un sistema parentale, cioe’ come un reticolo di relazioni che si estende verso le generazioni passate, agisce nel presente per i membri della comunita’, e si proietta verso le generazioni future, significa essenzialmente due cose. Intanto vuol dire immaginare la nazione come una comunita’ genealogica dotata di un suo specifico passato storico. Inoltre vuol dire enfatizzare molto l’importanza dei legami biologici come cemento della comunita’ nazionale, il che spiega l’ampio ricorso a termini come «razza», «stirpe», «sangue», «ius sanguinis» per illustrare il tipo di relazioni che legano tra loro i membri della medesima comunita’ nazionale.
Cio’ detto, si capisce anche perche’ il discorso nazionale sia espresso attraverso l’utilizzazione sistematica di un lessico che rimanda all’universo della famiglia: la terra nazionale e’ la «madre-patria»; i leader del movimento sono i «padri della patria»; la comunita’ nazionale e’ composta da «fratelli» e da «sorelle» […]
Questa operazione acquista una forza ancora maggiore perche’ si collega a una seconda figura profonda, quella del sacrificio che, introducendo nell’universo simbolico della nazione i temi della sofferenza e della morte, trasforma l’ideologia nazionale in un sistema discorsivo «quasi-religioso». Il dovere morale di sacrificarsi per la patria, fino alla morte, acquista risonanze particolari attraverso l’ampio uso del termine «martirio», un concetto estratto di peso dalla tradizione simbolica cristiana […]
Il senso fondamentale del nesso sta nel significato della parola «martirio», che vuole dire «testimonianza della propria fede, attraverso il proprio sacrificio» […]
E’ proprio questo modo di affrontare il dolore e la morte che conferisce un tono para-religioso al discorso nazionalista. Ed e’ in questo modo che si spiega il frequentissimo ricorso che gli speaker nazionalisti fanno a termini di derivazione religiosa come «fede», «missione», «rigenerazione», «Risorgimento» (parola che in origine significa solo «resurrezione»), «guerra santa», «crociata».
I valori etici incorporati in questo sistema simbolico sono completati da una terza figura profonda costruita intorno al concetto di «onore». Nelle narrative nazionaliste otto-novecentesche si incontra una sorprendente quantita’ di storie di stupri che vengono tentati dai nemici (o dai traditori) a danno delle caste e pure eroine nazionali. Queste storie si risolvono essenzialmente in tre modi: se l’eroina nazionale viene violata, muore a causa di un irresistibile breakdown psicofisico; oppure si suicida prima di essere violata; o ancora, viene salvata prima di essere stuprata, grazie al tempestivo intervento degli eroi nazionali.
Al di la’ delle ossessioni maschili che evidentemente animano queste fantasie, cio’ che e’ importante, nel funzionamento del discorso nazionale, e’ l’evocazione della necessita’ di difendere l’onore collettivo attraverso la difesa dell’integrita’ delle donne della nazione. Cio’ che si deve proteggere, in questo caso, e’ l’incorruttibilita’ della linea genealogica, che e’ l’asse essenziale della nazione come comunita’ di discendenza. E che le storie di stupro si concludano o col salvataggio della donna o con la sua morte, e’ una soluzione narrativa che deve rassicurare la comunita’ nazionale, dicendo essenzialmente che nessun ceppo meticcio potra’ mai corrompere la purezza della discendenza genealogica.

Info:
https://www.editorialedomani.it/idee/commenti/la-fragile-democrazia-dei-follower-il-like-al-posto-del-voto-atxsrm5k
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/banti-5.pdf
https://www.letture.org/la-democrazia-dei-followers-neoliberismo-e-cultura-di-massa-alberto-mario-banti
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-democrazia-dei-followers-di-alberto-mario-banti/
https://www.lacittafutura.it/recensioni/la-democrazia-dei-followers

Capitalismo/Fraser

Nancy Fraser – Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunita’ e il pianeta – Laterza (2023)

Il termine «capitalismo» richiede di essere chiarito.
La parola e’ comunemente usata per indicare un sistema economico basato sulla proprieta’ privata, lo scambio di mercato, il lavoro salariato e la produzione a scopo di lucro.
Questa definizione e’ pero’ troppo riduttiva e nasconde la vera natura del sistema anziche’ svelarla.
Il termine «capitalismo», sosterro’ all’interno di quest’opera, designa qualcosa di piu’ ampio: un ordine sociale che consente a un’economia orientata al profitto di depredare i supporti extra-economici di cui ha bisogno per funzionare.
Rientrano in questa categoria la ricchezza espropriata alla natura e a popolazioni assoggettate; le molteplici forme di lavoro di cura cronicamente sottovalutate quando non del tutto disconosciute; i poteri e i beni pubblici, che il capitale richiede e al tempo stesso cerca di ridimensionare; l’energia e la creativita’ dei lavoratori.
Anche se non compaiono nei bilanci delle imprese, queste forme di ricchezza sono dei requisiti essenziali per i profitti che invece vi figurano. Fondamenta vitali dell’accumulazione, sono anch’esse componenti costitutive dell’ordine capitalistico. […]
Quindi, «capitalismo» non si riferisce a un tipo di economia, ma a un tipo di societa’: quella che autorizza un’economia ufficialmente designata ad accumulare valore monetizzato per investitori e proprietari, mentre divora la ricchezza non-economizzata di tutti gli altri.
Servendo tale ricchezza su un piatto d’argento alle classi imprenditoriali, questa societa’ le invita a pasteggiare con le nostre capacita’ creative e con la terra che ci sostiene, senza alcun obbligo di reintegrare cio’ che consumano o di riparare cio’ che danneggiano.
E questa e’ la ricetta perfetta per finire nei guai.

Info:
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/fraser_rep.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/fraser_lalettura.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/fraser_corsera.pdf
https://jacobinitalia.it/#facebook
https://jacobinitalia.it/il-capitalismo-cannibale/