Capitalismo/Pennacchi

Laura Pennacchi – Democrazia economica. Dalla pandemia a un nuovo umanesimo – Castelvecchi (2021)

L’interrogazione sul capitalismo e’ anche un’autointerrogazione che aveva gia’ preso vita nei mesi precedenti all’arrivo del coronavirus.
Nell’agosto 2019, l’America’s Business Roundtable (associazione dei Ceo delle piu’ grandi e potenti corporations americane) aveva lanciato sul «Washington Post» un manifesto proclamante l’abbandono della teoria della shareholders value (il primato della massimizzazione del valore per l’azionista, cardine del neoliberismo) e mercoledi’ 18 settembre 2019 il «Financial Times» aveva intitolato cosi’ a tutta pagina la sua copertina: Capitalism. Time for a Reset.
Nel gennaio del 2020, il Forum di Davos aveva inneggiato al «mai piu’ profitti senza etica» e celebrato una narrazione per cui i problemi ambientali e sociali, con in testa quello della diseguaglianza, li avrebbero affrontati e risolti i capitali privati.
A esplosione della pandemia acclarata, il «Financial Times», che gia’ di fronte alla crisi globale del 2007/2008 aveva dedicato una propria rubrica alla «crisi del capitalismo», intitola l’editoriale del 29 marzo 2020 “Virus puts responsible capitalism to the test” (il virus mette alla prova il capitalismo responsabile)

Info:
https://www.rivisteweb.it/doi/10.7384/101090
http://www.castelvecchieditore.com/2021/03/06/democrazia-economica-di-laura-pennacchi/

Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Da decenni l’Europa discute delle migliori prassi per il governo d’impresa.
Le aziende europee devono semplicemente massimizzare il valore dell’azienda per i loro azionisti o devono tenere conto degli interessi (spesso divergenti) di altri stakeholders?
Anche all’interno dello shareholder capitalism, il capitalismo dell’azionista (come viene spesso chiamato il primo approccio), c’e’ un dibattito: bisogna preoccuparsi del valore del mercato azionario odierno o del valore a piu’ lungo termine?
Nella pratica, il capitalismo dell’azionista negli Stati Uniti ha portato all’ossessione per il breve termine (short-termism). Ci si focalizza sul qui e ora, o per dirla in altri termini si cercano modi per far salire il prezzo delle azioni oggi senza curarsi della fattibilita’ a lungo termine dell’impresa.
Adottando questo approccio, le 
aziende spesso si caricano di debiti, tanto che finiscono per andare in bancarotta.
Gli stakeholders, invece, i portatori di interesse, sono un gruppo piu’ ampio che include i dipendenti, i clienti, le comunita’ locali e la societa’ in generale. Lo stakeholder capitalism, per sua stessa natura, deve tenere in considerazione il lungo termine.
Per buona parte degli ultimi due decenni, questi due gruppi hanno simboleggiato approcci opposti.
La Germania e’ il prototipo dello stakeholder capitalism, che caratterizza soprattutto le medie imprese tedesche (le Mittelstand), ma non solo.

Info:
https://www.linkiesta.it/2020/05/nobel-stigliz-come-riscrivere-economia-europea/
http://temi.repubblica.it/micromega-online/al-capezzale-dell-europa/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/riscrivere-leconomia-europea/

Stato/Marsili

Lorenzo Marsili, Yanis Varoufakis – Il terzo spazio. Oltre establishment e populismo – Laterza (2017)

Le privatizzazioni sono un simbolo chiave della perdita di sovranita’ popolare e della resa dello Stato a governare l’economia a favore di una maggioranza.
In alcuni casi, poi, diventano una forma di rendita garantita per azionisti: succede quando si tratta di aziende che operano in settori regolati e naturalmente monopolistici.
Privatizzazioni, queste, che hanno creato una nuova categoria di imprenditori rentier che estraggono valore da aziende ex pubbliche protette senza fare nessun investimento.
E’ ovvio che le privatizzazioni vadano immediatamente fermate e, dove possibile, invertite.
Ma si deve fare di piu’. Perche’ il punto non e’ nazionalizzare ma democratizzare il sistema economico.
Negli ultimi trent’anni si e’ esteso a dismisura quello shareholder capitalism, il capitalismo dell’azionista, che ha fatto dell’aumento dei dividendi l’unico fine aziendale, anche e soprattutto a scapito dei lavoratori, dell’impatto sociale e ambientale.
Molto spesso questo avviene attraverso un aumento fittizio del valore azionario con processi quali il buyback, l’utilizzo dei profitti aziendali per l’acquisto di azioni proprie invece che per investimenti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858128282
http://www.minimaetmoralia.it/wp/terzo-spazio-intervista-yanis-varoufakis/

Economia di mercato/Reich

Robert B. Reich – Come salvare il capitalismo – Fazi (2015)

Per esempio Patagonia, una grande azienda di abbigliamento e attrezzature per attivita’ all’aperto con sede a Ventura, in California, si e’ organizzata come “benefit corporation”, cioe’ una societa’ a scopo di lucro il cui statuto prevede la necessita’ di tenere in considerazione gli interessi dei lavoratori, della comunita’ e dell’ambiente, oltre a quelli degli azionisti.
Le benefit corporation sono certificate e il loro andamento viene regolarmente monitorato da terze parti nonprofit, come B. Lab.
Nel 2014 ventisette Stati avevano approvato leggi che permettono alle societa’ di registrarsi sotto questa forma, dando percio’ ai consiglieri d’amministrazione un’esplicita tutela legale affinche’ considerino gli interessi di tutti i partecipanti anziche’ soltanto quelli degli azionisti […]
Questo potrebbe essere l’inizio del ritorno a una forma di quello stakeholder capitalism o ‘capitalismo dei partecipanti’ che sessant’anni fa era la norma.
Ma per alcuni economisti lo shareholder capitalism o ‘capitalismo degli azionisti’ sarebbe più efficiente.
Sostengono che sotto la pressione degli azionisti le societa’ indirizzano le risorse economiche la’ dove sono piu’ produttive, consentendo percio’ all’intera economia di crescere piu’
rapidamente […]
Esaminando con attenzione le conseguenze dello shareholder capitalism che ha preso piede negli anni Ottanta – un’eredita’ che include il calo o l’appiattimento dei salari della maggioranza degli americani, insieme alla crescente insicurezza economica, i lavori esternalizzati, le comunita’ abbandonate, le retribuzioni stratosferiche degli amministratori delegati, la fissazione miope per i risultati trimestrali e un settore finanziario simile a un casino’ il cui quasi collasso nel 2008 ha imposto danni collaterali alla maggior parte dei cittadini – si potrebbero nutrire dei dubbi su quanto abbia davvero funzionato nella pratica.
Solo alcuni di noi sono azionisti di qualche societa’, e un’esigua minoranza di ricchi americani possiede la maggior parte delle azioni scambiate sulle borse valori degli Stati Uniti. Ma tutti quanti siamo partecipanti, abbiamo un interesse nell’economia americana, e la maggioranza di questi stakeholder non se la passa particolarmente bene.
Forse ci vorrebbe piu’ capitalismo dei partecipanti e meno degli azionisti.

Info:
https://www.artapartofculture.net/2015/09/24/come-salvare-il-capitalismo-robert-reich-racconta-le-difficili-dinamiche-delleconomia/
https://www.criticaletteraria.org/2015/12/reich-come-salvare-il-capitalismo-fazi.html

Finanziarizzazione/Jha

Prem Shankar Jha – Il caos prossimo venturo – Neri Pozza (2007)

La crescente attenzione per le plusvalenze ha mutato radicalmente il modo in cui vengono valutati i risultati aziendali.
I tradizionali indicatori di solidita’ di un’azienda, come il ritorno sul capitale investito, l’entita’ degli accantonamenti aziendali, il rapporto tra attivi e passivi, i piani di  espansione e modernizzazione e la quota di mercato sono stati sostituiti dal singolare concetto di shareholder value (valore per l’azionista), ossia la capitalizzazione di mercato.

Info:
https://www.anobii.com/books/Il_caos_prossimo_venturo/9788854501614/0116bf78de66ec23c1
http://tempofertile.blogspot.com/2017/06/prem-shankar-yha-il-caos-prossimo.html

Capitalismo/Crouch

Colin Crouch – Il potere dei giganti. Perche’ la crisi non ha sconfitto il neoliberismo – Laterza (2014)

Il capitalismo di Francia, Germania e Giappone […] aveva sviluppato la concezione di una varieta’ di soggetti partecipi degli interessi dell’azienda (stakeholders) come i clienti, i dipendenti, i possessori di obbligazioni e a volte le comunita’ locali o l’interesse nazionale, cui l’azienda doveva rispondere direttamente, e non attraverso la soddisfazione degli azionisti. Questi modelli furono generalmente accantonati negli anni Novanta, quando si affermo’ la superiorita’ del modello angloamericano come perfetta espressione degli ideali neoliberisti […]
Le economie imperniate sugli stakeholders dipendevano da idee locali ed esperienze condivise secondo cui l’impresa era parte integrante della societa’, consentendo ai membri di quest’ultima di confidare (a torto o a ragione) nelle acrobazie volte a bilanciare i vari interessi riconosciuti dal modello.
Il modello orientato agli azionisti [shareholders] era piu’ in linea con l’impersonalita’ dell’economia globale, in cui si puo’ (e si deve) avere a che fare con estranei, senza alcun coinvolgimento o fiducia personale. Il modello angloamericano richiede un solo tipo di fiducia: che il mercato sia puro. Rispetto ad esso, l’approccio orientato agli stakeholders si rivelo’ troppo locale, e poco adatto a essere esportato.
Fu il trionfo del modello basato sulla massimizzazione del valore per gli azionisti, e con esso dell’idea secondo cui la massimizzazione dei benefici per gli azionisti assicura la soddisfazione di ogni altro interesse rilevante.

Info:
http://tempofertile.blogspot.com/2013/09/colin-crouch-il-potere-dei-giganti.html
https://tramedoro.eu/?p=2447
https:/www.pandorarivista.it/articoli/disuguaglianze-intervista-colin-crouch/

Capitalismo/Dahrendorf

Ralf Dahrendorf -Dopo la crisi. Torniamo all’etica protestante? – Laterza (2015)

Si puo’ poi riportare al centro delle decisioni anche un concetto che negli anni del dominante capitalismo di debito e’ caduto nell’oblio, e cioe’ il concetto di stakeholders. Con questo termine si intendono tutti coloro che magari non posseggono quote di partecipazione in un’impresa, e cioè non ne sono «azionisti» (shareholders), ma che hanno un interesse esistenziale alla sopravvivenza florida dell’azienda: i fornitori e i clienti, ma soprattutto gli abitanti delle comunità in cui le imprese operano. Per loro non è importante tanto la cogestione quanto il riconoscimento dei loro interessi da parte del management, il che a sua volta presuppone che i dirigenti sappiano guardare oltre il proprio naso e non abbiano occhi solo per i profitti e i bonus del prossimo trimestre.

Info:
https://www.anobii.com/books/Dopo_la_crisi/9788858123102/01b45034acdec36bed