Green New Deal/Shafik

Minouche Shafik – Quello che ci unisce. Un nuovo contratto sociale per il XXI secolo – Mondadori (2021)

Allo stato attuale, in tutto il mondo gli Stati erogano sovvenzioni che incoraggiano attivamente lo sfruttamento dell’ambiente per l’agricoltura, l’uso dell’acqua, la pesca e i combustibili fossili, sovvenzioni che ammontano a 4000-6000 miliardi di dollari l’anno […]
L’attuale spesa pubblica e privata per la conservazione dell’ambiente si aggira sui 91 miliardi di dollari, meno dello 0,02 per cento di quanto viene speso in sovvenzioni per danneggiarlo.
Se aumentassimo 50 volte la spesa per la conservazione, resterebbe comunque a disposizione il 99 per cento dei risparmi realizzabili abolendo le sovvenzioni e potremmo destinarlo ad altri usi […]
Per valutare le cose correttamente, bisogna anche tenere conto di tutti i servizi forniti dalla natura. Consideriamo il contributo delle balene. Sono animali fantastici e chiaramente svolgono un ruolo importante nell’ecosistema marino, ma catturano anche un’enorme quantità di anidride carbonica. Esaminando la questione sotto questo profilo, il Fondo monetario internazionale stima che ogni balena vivente fornisca servizi ecosistemici per un valore di 2 milioni di dollari (e l’attivita’ di un elefante nella foresta vale 1,76 milioni di dollari). Il ripristino della popolazione globale di questi cetacei permetterebbe di assorbire lo stesso quantitativo di anidride carbonica catturato da 2 miliardi di alberi.
La natura e’ la migliore tecnologia di assorbimento di CO2 al mondo e, se includeremo nei nostri calcoli i servizi che fornisce, effettueremo investimenti migliori

Info:
https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/shafik-diseguaglianze-e-parita-di-genere
https://www.libreriavolare.it/recensioni-libri/saggistica/quello-che-ci-unisce-e-il-mercato-non-basta/

Societa’/Shafik

Minouche Shafik – Quello che ci unisce.Un nuovo contratto sociale per il XXI secolo- Mondadori (2021)

[L’]investimento globale nell’istruzione ha dato ottimi frutti.
In termini economici, possiamo calcolare il tasso di rendimento dell’istruzione dividendo i vantaggi che produce – misurati sotto forma di stipendi piu elevati, meno i costi di erogazione dell’istruzione – per il numero di anni di istruzione ricevuta, ottenendo un tasso percentuale annuo simile al rendimento di un conto di deposito bancario o di una partecipazione azionaria.
Sulla base di 1120 anni di dati relativi a 139 paesi, gli economisti hanno calcolato che ogni anno di istruzione supplementare ha generato in media un ritorno economico privato – cioe’ per l’individuo che ha ricevuto l’istruzione – di circa il 10 per cento.
Questa cifra e’ nettamente superiore al rendimento medio annuo dell’8 per cento che si registra sul mercato azionario statunitense dal 1957, quando fu creato l’indice S&P 500.
Questi rendimenti, inoltre, sono sottostimati, perche’ tengono conto soltanto dei redditi attesi piu’ elevati degli individui e non misurano i benefici sociali di piu’ vasta portata, che possono essere enormi. Per esempio, nel Regno Unito, ogni sterlina investita nell’istruzione universitaria genera 7 sterline per l’individuo (rendimento privato), ma 25 sterline per lo Stato (rendimento sociale) sotto forma di gettito fiscale piu’ elevato, spese previdenziali piu’ contenute e minore criminalita’.

Info:
https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/shafik-diseguaglianze-e-parita-di-genere
https://www.libreriavolare.it/recensioni-libri/saggistica/quello-che-ci-unisce-e-il-mercato-non-basta/

Societa’/Shafik

Minouche Shafik – Quello che ci unisce – Mondadori (2021)

Le obiezioni a un’imposta sulle emissioni di CO2 sono che va ad appesantire l’onere fiscale e che potrebbe ripercuotersi negativamente sulle persone povere.
I gilets jaunes hanno paralizzato la Francia per protestare contro l’introduzione di imposte piu’ elevate sul carburante diesel. Non erano infuriati per le misure volte a contrastare i cambiamenti climatici, ma per chi avrebbe pagato i costi dell’adeguamento a un futuro a basse emissioni.
Tuttavia e’ possibile istituire un’imposta sulle emissioni di CO2 che non appesantisca l’onere fiscale e non vada a scapito dei poveri.
Come funzionerebbe un regime di questo tipo?
Innanzitutto, l’aliquota sarebbe fissata a un livello basso e poi aumentata gradualmente in modo da consentire a tutti di adeguarsi. In secondo luogo, il gettito di tale imposta sarebbe restituito ai cittadini, in denaro contante oppure riducendo altre imposte. Se fosse restituito il 100 per cento del gettito, l’imposta lascerebbe le entrate dello Stato invariate, ma avrebbe comunque un grosso impatto in termini di riduzione delle emissioni; se fosse restituito meno del 100 per cento, l’imposta genererebbe introiti per lo Stato […]
Per i paesi che hanno bisogno di incrementare le entrate pubbliche e che, quindi, sceglierebbero di non rimborsare l’intero gettito, l’imposta potrebbe generare considerevoli risorse da destinare al finanziamento del contratto sociale. Per esempio, secondo una stima, un’imposta sulla CO2 di 115 dollari a tonnellata negli Stati Uniti genererebbe un gettito considerevole, pari al 3 per cento del reddito nazionale.

Info:
https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/shafik-diseguaglianze-e-parita-di-genere
https://www.libreriavolare.it/recensioni-libri/saggistica/quello-che-ci-unisce-e-il-mercato-non-basta/

Economia di mercato/Shafik

Minouche Shafik – Quello che ci unisce.Un nuovo contratto sociale per il XXI secolo – Mondadori (2021)

Il cosiddetto «grafico dell’elefante» […] mostra che cos’è successo alla distribuzione globale del reddito tra la caduta del Muro di Berlino nel 1990 e la Grande Recessione del 2008.
I maggiori beneficiari delle innovazioni tecnologiche e della globalizzazione nel corso di tale periodo sono stati gli appartenenti all’1 per cento piu’ ricco, all’estrema destra del grafico. Gli altri grandi avvantaggiati sono stati coloro che ricadono tra il decimo e il sessantesimo decile della distribuzione globale del reddito: i poveri e il ceto medio dei paesi in via di sviluppo. A subire le maggiori perdite di reddito e’ stata la classe medio-bassa di molte economie avanzate, che si colloca tra il settantesimo e il novantesimo decile del reddito globale.
Questa e’ una delle principali cause del malcontento politico nelle economie avanzate, dovuto al fatto che chi un tempo aveva un impiego ben retribuito in settori come quello manifatturiero e si aspettava di mantenere un tenore di vita da ceto medio ora si ritrova ad arrancare.
Alcuni imputano le loro difficolta’ alla globalizzazione, altri all’immigrazione. In realta’, la globalizzazione accelera il ritmo del cambiamento, ma i dati indicano che il principale fattore responsabile del calo dei salari dei lavoratori meno qualificati nelle economie avanzate e’ il progresso tecnologico, che aumenta la produttivita’ e privilegia i piu’ istruiti.
Va da se’ che il risentimento nei confronti dell’1 per cento piu’ ricco, che ha tratto giovamento da queste tendenze, si e’ acuito. […]
L’altra grande pressione sul contratto sociale deriva dalla forte espansione dell’istruzione femminile e dal numero di donne attive sul mercato del lavoro invece che in famiglia […]
Una conseguenza di questi progressi nel settore dell’istruzione e’ che circa la meta’ delle donne adesso ha un impiego nel mercato del lavoro formale e ha quindi maggiore difficolta’ a prestare i tradizionali servizi di cura a titolo gratuito.

Info:
https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/shafik-diseguaglianze-e-parita-di-genere
https://www.libreriavolare.it/recensioni-libri/saggistica/quello-che-ci-unisce-e-il-mercato-non-basta/

Societa’/Shafik

Minouche Shafik – Quello che ci unisce. Un nuovo contratto sociale per il XXI secolo – Mondadori (2021)

Il motivo della grande delusione presente in molte societa’ e’ che il nostro contratto sociale si e’ rotto sotto il peso dei mutamenti tecnologici e demografici.
Di conseguenza, un numero maggiore di rischi e incombenze – accudire i figli, mantenere aggiornate le competenze se si perde l’impiego, prendersi cura di se’ quando si diventa anziani – ricade sugli individui.
Viviamo in societa’ in cui sempre piu’ spesso dobbiamo «cavarcela da soli», una situazione che si traduce nella politica della rabbia, in un’epidemia di problemi di salute mentale e in giovani e anziani che temono per il loro futuro.
Eppure, in molti ambiti sopportare i rischi individualmente non e’ soltanto iniquo, e’ anche molto meno efficiente e produttivo che condividerli a livello di societa’.
Abbiamo bisogno di un contratto sociale che promuova una migliore architettura sia delle garanzie sia delle opportunita’, un contratto sociale meno incentrato su «me» e piu’ su «noi», che riconosca la nostra interdipendenza e la usi per il reciproco vantaggio. Abbiamo bisogno di un contratto sociale che ruoti intorno alla mutualizzazione e alla condivisione di un maggior numero di rischi per alleggerire le preoccupazioni che affliggono tutti noi, e che, al tempo stesso, ottimizzi l’uso dei talenti nelle nostre societa’ e consenta a ogni individuo di apportare il massimo contributo possibile.
Questo significa, inoltre, avere a cuore il benessere non solo dei nostri nipoti, ma anche di quelli altrui, perche’ in futuro abiteranno tutti lo stesso mondo.

Info:
https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/shafik-diseguaglianze-e-parita-di-genere
https://www.libreriavolare.it/recensioni-libri/saggistica/quello-che-ci-unisce-e-il-mercato-non-basta/

Societa’/Shafik

Minouche Shafik – Quello che ci unisce. Un nuovo contratto sociale per il XXI secolo – Mondadori (2021)

Ci sono tre modi di tassare la ricchezza: si puo’ tassare quando viene trasferita tra generazioni mediante l’imposta di successione, si puo’ tassare il reddito generato dalla ricchezza, come gli utili o i dividendi, o si puo’ tassare la ricchezza accumulata dalle persone ogni anno tramite imposte progressive sulla proprieta’ privata.
Molti paesi applicano imposte di successione e sul reddito generato dalla ricchezza, mentre sono pochi quelli che tassano la ricchezza accumulata in se’ (attualmente soltanto la Colombia, la Norvegia, la Spagna e la Svizzera).
In risposta alle pressioni politiche e/o a causa di difficolta’ di attuazione, Finlandia, Francia, Islanda, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svezia hanno di fatto abolito le imposte patrimoniali che esistevano in passato. Ciononostante, siccome la disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza e’ di gran lunga maggiore della disparita’ di reddito, molti economisti hanno sostenuto che tassare la ricchezza ereditata (che e’ considerata non guadagnata) e ridistribuirla e’ fondamentale per perequare le opportunita’ in una societa’.
Inoltre, poiche’ la crescente disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza desta preoccupazione e, parallelamente, in tutto il mondo i governi stanno cercando nuove fonti di entrate, si e’ risvegliato l’interesse per le imposte sul patrimonio […]
Secondo un filone promettente della ricerca, l’imposta patrimoniale puo’ migliorare l’efficienza economica penalizzando coloro che detengono asset in attivita’ a basso rendimento e incentivando quelle attivita’ che generano utili piu’ elevati. Questo vorrebbe dire che un’imposta patrimoniale del 2-3 per cento annuo consentirebbe ai governi di migliorare l’efficienza, promuovere la crescita economica e ridurre le disuguaglianze con una sola mossa.
Un altro modo di aumentare le risorse e’ tassare quelli che gli economisti chiamano i «mali» (in contrapposizione ai «beni»). Si tratta delle cose che vogliamo veder diminuire, come l’inquinamento, il fumo, il consumo eccessivo di bevande alcoliche e di cibo non salutare.

Info:
https://www.avvenire.it/economiacivile/pagine/shafik-diseguaglianze-e-parita-di-genere
https://www.libreriavolare.it/recensioni-libri/saggistica/quello-che-ci-unisce-e-il-mercato-non-basta/