Economia di mercato/Palermo

Il mito del mercato globale. Critica della teorie neoliberiste – Giulio Palermo – Manifestolibri (2004)

La “crescita senza inflazione” in presenza di salari stagnanti e’ solo un successo del capitale.
La ripresa dell’occupazione a condizioni di lavoro piu’ dure, piu’ precarie e meno protette (con produttività comunque in crescita) esprime solo un aumento del tasso di sfruttamento: se in famiglia prima lavorava solo il capofamiglia, ora lavorano in due, in tre e il tenore di vita e’ lo stesso perche’, oltre a diminuire i salari reali, con la riduzione della spesa pubblica, i servizi un tempo offerti dallo stato devono ora essere pagati in moneta sonante.
Il pareggio dei conti pubblici e’ poi quanto di piu’ assurdo. Come si puo’ pensare che la salute di una persona possa essere subordinata alla logica del profitto di un’azienda ospedaliera?
Il funzionamento dei servizi pubblici, sia di quelli privatizzati, sia di quelli ancora in mano alle amministrazioni dello stato, e’ diventato tutto di tipo aziendalistico: aziende sanitarie locali, ospedali, scuole, ferrovie, televisione tutto deve rispettare il principio del bilancio in pareggio (o, preferibilmente, in surplus), come in ogni azienda efficiente.
L’abbattimento dell’inflazione fa bene alle banche che ottengono tassi d’interesse reali piu’ elevati, non ai lavoratori i quali non riescono nemmeno a conservare il loro salario reale (visto che il contenimento dell’inflazione e’ ottenuto proprio tramite la cosiddetta “moderazione salariale”, vero perno della politica economica dell’ultimo decennio, e
vista l’impossibilita’ di legare la retribuzione agli aumenti dei prezzi per via dei danni che cio’ produrrebbe sull’efficienza complessiva del sistema); per non parlare poi del fatto che, con i rapporti di forza esistenti, i lavoratori hanno persino smesso di ambire alla spartizione dei proventi della crescente produttivita’ del loro stesso lavoro. 

Stato/Azzara’

Stefano Azzara’ – Il virus dell’occidente. Universalismo astratto e sovranismo particolarista di fronte allo stato di eccezione – Mimesis (2020)

Nelle societa’ di classe, la cosiddetta sovranita’ dello Stato […] indica in realta’ sin dalla sua genesi la superiorita’ dello Stato sui cittadini e cioe’ essa “e’ l’alibi che consente ai rappresentanti dello Stato di esonerarsi da qualsiasi obbligo che legittima un controllo da parte dei cittadini”.
In questo senso, proprio la sovranita’ statale – come sovranita’ di uno Stato egemonizzato dai poteri privati – e’ stata la prima garanzia del meccanismo neoliberale. Un meccanismo che, al contrario di quanto molti pigramente ritengono, non oblitera per nulla il ruolo dello Stato ma “lo richiede” e lo ridefinisce, cosi’ che Hayek – del quale Dardot e Laval hanno minuziosamente ricostruito le posizioni – lo ripresenta come il “guardiano” dell’“ideale di una societa’ basata sul diritto privato”.
“Pubblico” invece, “e’ assolutamente irriducibile a ‘statale’”, perche’ rinvia “non alla sola amministrazione statale, ma all’intera collettivita’ in quanto essa e’ costituita dall’insieme dei cittadini”.
In questo senso, per loro, “i servizi pubblici non sono i servizi dello Stato nel senso che lo Stato potrebbe disporne a suo piacimento” e “non sono neppure una proiezione dello Stato”, ma “sono pubblici in quanto sono ‘al servizio del pubblico’”.
Essi “non costituiscono una manifestazione della potenza dello Stato, ma un limite del potere governativo”; sono “cio’ per cui i governanti sono i servi dei governati”.
Come tali, questi servizi “rientrano nel principio della solidarieta’ sociale” e non certo “nel principio della sovranita’”, il quale rimane “incompatibile con quello della responsabilita’ pubblica”.
Nonostante le previsioni dei suoi fautori, non e’ affatto detto, percio’ – e questo e’ giusto anche a prescindere dal pregiudizio di Dardot e Laval verso lo Stato e dalla loro teoria del Comune –, che il ritorno dello Stato coincida necessariamente con il ritorno del welfare, visto che il suo ritrovato intervento potrebbe tranquillamente limitarsi, come abbiamo gia’ visto in abbondanza, a “sostenere l’attivita’ delle imprese private” e a “garantire il sistema finanziario”, funzionando nel suo potere pubblico come semplice prosecuzione del potere privato.
Cosi’ come non e’ vero, reciprocamente, che la richiesta di una ricostruzione dei servizi pubblici sia o debba essere di per se’ sinonimo di “ripiegamento identitario sulla nazione” o sulla comunita’ […] dato che questa esigenza che spaventa i biopolitici puo’ esprimere anche “un senso dell’universale che attraversa le frontiere e ci rende tanto sensibili alle prove vissute dai nostri ‘concittadini in pandemia’, siano essi italiani, spagnoli e, infine, europei e non”.
Queste considerazioni ci aiutano a capire che un eventuale ‘ritorno dello Stato’ e della politica non garantisce automaticamente nulla, perche’ il suo reale significato dipende alla fine anch’esso dai rapporti di forza tra i gruppi sociali che si muovono al suo interno e che cercano, ciascuno a proprio modo, di condizionarne le scelte e di definire il carattere concreto del potere istituzionalizzato.
Dipende da chi, cioe’, nello Stato ha conseguito o sta conseguendo l’egemonia e da come lo Stato, a partire da queste spinte e controspinte che lo investono, si posiziona effettivamente nel conflitto sociale tra gli interessi in gioco. Lo Stato, infatti, non si esaurisce per nulla in quella macchina autonoma e impersonale descritta da Agamben e Di Cesare ma, pur avendo un proprio sviluppo interno che si muove per linee endogene, e’ anzitutto un campo di battaglia tra interessi diversi e la sua natura e’ definita in primo luogo proprio dalla risultante dei loro conflitti […]
Lo Stato puo’ essere dunque potere e autorita’ che esercita una “garanzia” generale a tutela di tutti i propri membri; oppure puo’ essere semplice autoritarismo mediante il quale i garantiti si tutelano tra loro amplificando i propri poteri a discapito di chi garantito non e’.

Info:
https://www.mimesisedizioni.it/rassegna/il-manifesto-virus-occidentali-e-le-aspre-contese-delle-due-destre-su-il-virus-delloccidente-di-stefano-g.-azzara-.pdf
https://www.lacittafutura.it/recensioni/il-virus-dell%e2%80%99occidente
https://sinistrainrete.info/societa/18241-stefano-g-azzara-il-virus-dell-occidente.html

Economia di mercato/Kelton

Staphanie Kelton – Il mito del deficit. La Teoria Monetaria Moderna per un’economia al servizio del popolo – Fazi (2020)

Il mito del deficit ha privato le persone di migliori servizi pubblici dal momento che i governi sono convinti di non avere i soldi per sostenere i progetti che danno assistenza ai propri cittadini.
Questo non solo getta nella miseria le persone la cui vita sarebbe senz’altro migliorata grazie a questi programmi, ma ci danneggia tutti. Le nostre reti di sicurezza sociale rafforzano anche i nostri legami sociali reciproci e aiutano a supportare l’economia nel suo complesso […]
Il governo centrale non dovrebbe provare a gestire il bilancio “come una famiglia“. Non dobbiamo stringere la cinghia con sacrifici condivisi e strette fiscali […]
In che modo, allora, dovremmo parlare dei diritti sociali?
La cosa piu’ importante da ricordare e’ che vi sono tre questioni distinte che dobbiamo tenere separate ogni volta che discutiamo di programmi come Social Security e Medicare. Tali questioni sono: (1) la capacita’ del governo di far fronte alle spese, (2) l’autorita’ legale a effettuare i versamenti, (3) la capacita’ produttiva della nostra economia di fornire servizi assistenziali reali.

Info:
http://osservatorioglobalizzazione.it/recensioni/il-mito-del-deficit-kelton/
https://www.lafionda.org/2020/09/27/il-mito-del-deficit/
https://fazieditore.it/catalogo-libri/il-mito-del-deficit/
https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/19308-brian-cepparulo-il-mito-del-deficit-stephanie-kelton-e-la-nuova-frontiera-della-mmt.html

Finanziarizzazione/Formenti

Carlo Formenti – Utopie letali – Jaca Book (2013)

Analizzando le politiche economiche condotte da tutti i governi occidentali negli ultimi decenni, se ne ricava un’impressione di incredibile uniformita’, a partire dai continui sgravi fiscali per i ricchi, motivati dal fatto che, in questo modo, si sarebbero promossi gli investimenti e, di conseguenza, sarebbero aumentati i livelli di occupazione e i redditi […]
I capitali «liberati» dagli sgravi fiscali [pero’] non venivano reinvestiti in attivita’ produttive ma alimentavano solo le speculazioni finanziarie.
Passiamo a un secondo Leitmotiv delle politiche liberiste, vale a dire le massicce privatizzazioni di beni comuni e servizi pubblici: restituire la produzione di servizi sociali al mercato, si sostiene, significa sottoporli alle leggi della concorrenza, contribuendo a migliorarne la qualita’ e ridurne i costi, ma soprattutto significa ridurre la spesa pubblica combattendo sprechi e inefficienze.
La realta’ ha al contrario dimostrato che a migliorare sono solo i profitti privati, mentre i costi aumentano e la qualita’ dei servizi peggiora.

Info:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-prefazione-a-utopie-letali-di-carlo-formenti/
http://www.inchiestaonline.it/libri-e-librerie/valerio-romitelli-le-utopie-letali-che-si-aggirano-per-il-mondo-secondo-carlo-formenti/
http://www.inchiestaonline.it/libri-e-librerie/valerio-romitelli-le-utopie-letali-che-si-aggirano-per-il-mondo-secondo-carlo-formenti/

Stato/Crouch

Colin Crouch – Combattere la postdemocrazia – Laterza (2020)

L’esternalizzazione di servizi pubblici viene generalmente presentata come trasferimento di quel servizio dal monopolio statale al mondo della scelta del consumatore.
Ma la realta’ e’ che gli appalti vengono aggiudicati da istituzioni pubbliche: semmai, quindi, i clienti sono quelle istituzioni, non il pubblico degli utenti, che di fatto sono pseudoclienti e hanno interessi spesso non coincidenti con quelli dell’istituzione pubblica cui devono invece rispondere i concessionari […]
Le istituzioni pubbliche che subappaltano i propri servizi perdono le professionalita’ lentamente maturate al proprio interno attraverso la gestione di quei servizi, e ben presto si ritrovano del tutto incapaci di valutare le competenze e le prestazioni delle aziende cui li hanno affidati.
Cio’, oltre a ridurre quasi certamente la qualita’ del servizio offerto, aumenta la dipendenza dell’amministrazione da un ristretto numero di imprese private, che finiscono per diventare le uniche depositarie delle necessarie conoscenze professionali.
Queste attivita’ sono troppo politiche, e troppo oligopolistiche, per far parte di una vera economia di mercato; e si fondano su reti che appaiono del tutto impenetrabili per la democrazia. Ormai e’ chiaro da anni che, per quanto carenti possano essere a volte i servizi pubblici, affidarne la fornitura a privati non garantisce, in linea di principio, alcun vantaggio.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139882
https://www.arci.it/il-libro-combattere-la-postdemocrazia-di-colin-crouch/
https://www.ilfoglio.it/cultura/2020/02/09/news/postdemocrazia-no-300300/

Economia di mercato/Judt

Tony Judt – Quando i fatti (ci) cambiano. Saggi 1995-2010 – Laterza (2020)

L’esempio più significativo del tipo di problema con cui ci confrontiamo oggi si presenta in una forma che molti potrebbero considerare un semplice tecnicismo: il processo di privatizzazione.
Negli ultimi trent’anni, il culto della privatizzazione ha estasiato i governi occidentali (e molti governi non occidentali).
Perché? La risposta piu’ breve e’ che, in un periodo di vincoli di bilancio, la privatizzazione apparentemente permette di risparmiare denaro.
Se lo Stato possiede e gestisce un programma pubblico inefficiente o un servizio pubblico costoso (un acquedotto, una fabbrica automobilistica o una ferrovia), cerca di scaricarlo su acquirenti privati. La cessione permette allo Stato di incassare denaro e, al contempo, il servizio o l’attività in questione, entrando a far parte del settore privato, diventa piu’ efficiente grazie all’incentivo del profitto. Tutti ci guadagnano: il servizio migliora,lo Stato si libera di una responsabilita’ inopportuna e mal gestita, gli investitori realizzano profitti e il settore pubblico ricava un guadagno una tantum dalla vendita.
Questa e’ la teoria.
La pratica e’ ben diversa […] Quasi tutte le cose che i governi hanno ritenuto opportuno trasferire al settore privato operavano in perdita: che siano compagnie ferroviarie, miniere di carbone, servizi postali o societa’ elettriche, i costi di esercizio e di manutenzione sono superiori agli introiti che possano mai sperare di ottenere.
Proprio per questo motivo, tali beni pubblici risultavano poco interessanti per gli acquirenti privati, a meno di offrirli a prezzi fortemente scontati. Ma quando lo Stato svende i propri beni, e’ la collettivita’ a subire una perdita […]
In secondo luogo, si presenta il problema dell’azzardo morale. L’unico motivo per cui gli investitori privati sono disposti ad acquistare beni pubblici chiaramente inefficienti e’ che lo Stato riduce o elimina la loro esposizione al rischio […] facendo cosi’ venire meno la giustificazione economica classica della privatizzazione, cioe’ che l’incentivo del profitto favorisce l’efficienza.
L’«azzardo» in questione e’ che il settore privato, in queste condizioni privilegiate, si dimostri almeno altrettanto inefficiente della sua controparte pubblica e intanto intaschi gli eventuali profitti realizzati e addebiti le perdite allo Stato.
Il terzo argomento, e forse il piu’ efficace, contro la privatizzazione e’ il seguente.
Non ci sono dubbi sul fatto che molti beni e servizi che lo Stato cerca di dismettere siano stati gestiti male: in maniera incompetente, senza investimenti adeguati e cosi’ via. Ciononostante, per quanto mal gestiti, i servizi postali, le reti ferroviarie, le case di riposo, le carceri e altre attivita’ destinate alla privatizzazione restano sotto la responsabilita’ delle autorità pubbliche. Anche dopo essere state cedute, non possono essere totalmente abbandonate ai capricci del mercato. Sono, per loro stessa natura, un tipo di attivita’ che qualcuno deve regolamentare. […] Con ogni probabilita’ la verifica vera e propria sara’ eseguita da una societa’ privata, che ha vinto l’appalto per svolgere il servizio per conto dello Stato […]
I governi, in breve, affidano le loro responsabilita’ ad aziende private che promettono di amministrarle meglio dello Stato e a costi inferiori […]
Svuotando lo Stato delle sue responsabilita’ e capacita’, ne abbiamo indebolito l’immagine pubblica […]
Se operiamo esclusivamente o in misura preponderante con organismi privati, nel corso del tempo allentiamo i nostri rapporti con un settore pubblico del quale apparentemente non sappiamo cosa farcene.
Non e’ molto importante che il settore privato faccia le stesse cose meglio o peggio, a un costo maggiore o minore. In ogni caso, la nostra lealta’ verso lo Stato si attenua e perdiamo qualcosa di vitale che dovremmo condividere – e che in molti casi un tempo condividevamo – con i nostri concittadini.
Questo processo e’ stato ben descritto da una grande esperta moderna in materia: Margaret Thatcher, la quale, stando a quel che si dice, avrebbe affermato che «non esiste una cosa chiamata societa’. Esistono solo singoli uomini e donne e le famiglie». Ma se non esiste una cosa chiamata societa’, soltanto gli individui e lo Stato in veste di «custode notturno», che controlla a distanza attivita’ nelle quali non svolge alcun ruolo, che cosa ci legherà gli uni agli altri?

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858126479
https://ilmanifesto.it/tony-judt-e-la-responsabilita-della-storia/

Stato/Crouch

Colin Crouch – Postdemocrazia – Laterza (2009)

I governi rinunciano progressivamente a qualsiasi ruolo distintivo nel servizio pubblico (il che comporta il dovere di garantire ai cittadini un livello elevato di servizi piu’ o meno equi) e chiedono ai loro ministeri di comportarsi come aziende (il che comporta il dovere di fornire un servizio della qualità richiesta dall’aderenza agli obiettivi finanziari) […]
Come l’azienda fantasma, il governo cerca gradualmente di spogliarsi di ogni responsabilita’ diretta nella conduzione dei servizi pubblici […]
Ma nel fare cio’ rinuncia alla sua pretesa a esercitare funzioni speciali esclusive del servizio pubblico. Questo porta alla conclusione ulteriore che i servizi pubblici dovrebbero essere gestiti da persone che provengono dal settore privato perche’ ormai le loro capacita’ sono le uniche che contano.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/postdemocrazia/
https://www.anobii.com/books/Postdemocrazia/9788842076728/01fad7210efb1e685f
https://ilmanifesto.it/il-paradosso-democratico-di-colin-crouch/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788842076728