Geoeconomia/Arrighi

Giovanni Arrighi – Adam Smith a Pechino – Mimesis (2021)

Il vero vantaggio competitivo cinese non e’ tanto che l’operaio di produzione costi il 5% del suo corrispettivo americano, quanto che l’ingegnere o il direttore di reparto costino il 35% o anche meno.
Allo stesso modo, le statistiche che mostrano come i lavoratori americani impegnati in aziende ad alta intensita’ di capitale siano diverse volte piu’ produttivi dei colleghi cinesi, ignorano il fatto che questa maggiore produttivita’ deriva dall’impiego di macchinari complessi per l’automazione delle operazioni e della movimentazione allo scopo di sostituire altri lavoratori.
In questo modo i costi dovuti al lavoro si riducono, ma aumentano quelli dovuti all’impiego del capitale e alla sua gestione.
Le fabbriche cinesi invertono questa tendenza, cercando il risparmio sul capitale e accrescendo il ruolo giocato dal lavoro. Per esempio, progettando le parti in modo che siano prodotte, maneggiate e assemblate manualmente, i costi in conto capitale si riducono nel complesso di un terzo. Per di piu’, le fabbriche cinesi impiegano, come ci si aspetterebbe dalla tesi di Sugihara, lavoro di alto livello a buon mercato non solo al posto di macchinario costoso, ma anche al posto di dirigenti altrettanto costosi.

Info:
https://www.sinistrainrete.info/estero/22190-sandro-mezzadra-il-modello-cinese-e-lo-spazio-del-conflitto.html
http://effimera.org/il-modello-cinese-e-lo-spazio-del-conflitto-di-sandro-mezzadra/
https://www.mimesisedizioni.it/download/12739/e816dca0af4b/simone-pieranni-il-manifesto-4-febbraio-2022-sfide-e-quesiti-intorno-al-modello-cinese-su-adam-smith-a-pechino-di-arrighi.pdf
https://www.mimesisedizioni.it/download/12571/6eb5c7fab8b8/simone-pieranni-il-manifesto-29-dicembre-2021-lanno-della-tigre-nelle-mani-del-serpente-xi-su-adam-smith-a-pechino-di-arrighi.pdf
https://www.pandorarivista.it/articoli/adam-smith-a-pechino-giovanni-arrighi/
http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=747

Lavoro/Allievi

Stafano Allievi – La spirale del sottosviluppo. Perche’ (cosi’) l’Italia non ha futuro – Laterza (2020)

L’Italia, di fatto, e’ messa male.
Il PIL italiano e’ aumentato del 45,2% negli anni Settanta, del 26,9% negli Ottanta, del 17% negli anni Novanta, ma solo del 2,5% negli anni Duemila: una dinamica che non ha paragoni negli altri paesi sviluppati.
Peggio ancora: l’aumento della produttivita’ – un indicatore chiave – e’ precipitato dal 2,8% degli anni Settanta allo zero dei Duemila”.
Dati che dicono molto, anche se non tutto […]
La spesa in cura, assistenza e previdenza: oltre un quarto del PIL, 28,4%, [e’] in Italia, in linea con quella dell’Unione Europea, che e’ del 27,1%. Ma con una ripartizione interna drammaticamente diversa: in Italia il 16,4% va in pensioni,l’8,2% in sanita’ e il 3,8% in protezione sociale e supporto al reddito, nella UE si tratta rispettivamente del 12,3%, del 10% e del 4,7%. L’Italia spende l’1,6% del PIL in trasferimenti finanziari a bambini e famiglia, la media europea e’ del 2,4%; i nostri paesi di riferimento (Francia, Germania e Regno Unito) spendono il doppio di noi.
Siamo al diciassettesimo posto in Europa per spesa pubblica legata alla famiglia e al primo per pensioni di vecchiaia e reversibilita’: qualcosa vorra’ pur dire.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139868
http://www.avantionline.it/la-spirale-del-sottosviluppo-pesa-sul-futuro-dellitalia/

Europa/Fazi

Thomas Fazi, William Mitchell – Sovranita’ o barbarie. Il ritorno alla questione nazionale – Meltemi (2018)

Il fatto che da un punto di vista strettamente macroeconomico Maastricht e la moneta unica si siano rivelati un disastro per il nostro paese e’ ormai acclarato e sotto gli occhi di tutti.
Come detto, l’euro era visto dai dirigenti tedeschi anche come uno strumento per sbaragliare la concorrenza commerciale dei suoi principali competitors europei, a partire dall’Italia.
Questa strategia ha funzionato. Come abbiamo visto, fino alla fine degli anni Ottanta, l’Italia e’ stato il paese d’Europa con la piu’ elevata crescita media. Poi, tra l’inizio e la meta’ degli anni Novanta, quel trend non ha solo subito una brusca frenata, ma ha addirittura conosciuto una drammatica inversione di tendenza che dura fino ai giorni nostri, relativamente in particolare alla produzione industriale, alla produttivita’ e al PIL pro capite: tutte variabili che fino a quel momento avevano registrato un tasso di crescita superiore o pari a quello della Germania e degli altri partner europei […]
La crisi ha dato il volano al completamento del processo di privatizzazione iniziato negli anni Novanta, rendendo le imprese italiane facile preda delle multinazionali di altri paesi: in meno di tre anni – cioe’ sotto i governi Monti, Letta e Renzi – sono passate sotto il controllo di corporations straniere l’Alitalia (Etihad, Emirati Arabi Uniti), la Telecom (Telco, spagnola), la Indesit (Whirlpool, americana), l’Ansaldo Breda, quella che costruisce i Frecciarossa (Hitachi, giapponese), la Pirelli (ChemChina, cinese), oltre a centinaia di altre aziende (tanto per citarne alcune: Fastweb, Fiorucci, Parmalat, Edison, Wind, MandarinaDuck, Gucci, Bulgari, Eridania)

Info:
https://www.retemmt.it/sovranita-o-barbarie-intervista-a-thomas-fazi/
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/europa/29438-sovranita-o-barbarie-il-ritorno-della-questione-nazionale
http://temi.repubblica.it/micromega-online/quando-sovranismo-fa-rima-con-socialismo/

Lavoro/Allievi

Stefano Allievi – La spirale del sottosviluppo. Perche’ (cosi’) l’Italia non ha futuro – Laterza (2020)

Lavoriamo poco. Lavoriamo in pochi. La produttivita’ e’ bassa. I salari sono bassi. Siamo assenti da molti settori innovativi.
Non c’è una politica industriale, un orientamento generale, almeno, se non proprio una visione, cui riferirci (quand’anche c’e’, e non e’ il caso piu’ frequente, cambia a ogni cambio di governo).
Non abbiamo chiaro quali saranno in futuro i settori fondamentali in cui sara’ utile impegnarci. Il sistema dell’istruzione e quello della formazione sono sottofinanziati e scollegati dal mondo del lavoro. Non ci rendiamo nemmeno conto di chi lavora per noi (in certa misura consentendoci di fare altro) e quanto […]
La produttivita’ e’ bassissima. L’Italia e’ l’unico paese del mondo sviluppato in cui e’ ferma dagli anni Novanta: un quarto di secolo senza alcun progresso. L’innovazione c’e’, in alcuni ambiti, e lo prova l’andamento positivo dell’export in settori fortemente concorrenziali. Ma e’ largamente insufficiente al bisogno. Un mercato ingessato e poco esposto alla concorrenza e lo scarso rendimento del capitale umano […] sono parte del problema.
Come lo e’ la scarsa alfabetizzazione digitale e la lenta e difficile introduzione delle tecnologie ICT (information and communication technologies) nella vita quotidiana dei cittadini (Eurostat2019) e nell’impresa, a sua volta causata dalla dimensione familiare di troppe piccole aziende e dalla modesta capacita’ del management (Pellegrino e Zingales 2019) – o, detto altrimenti, dalla scarsita’ di meritocrazia nella selezione del management stesso e dalla sua eta’ elevata, dato che la gerontocrazia che caratterizza il paese impregna anche l’impresa […]
Il livello di istruzione degli occupati classificati come manager (imprenditori e alta dirigenza) nel nostro paese e’ aumentato negli ultimi anni, ma il differenziale rispetto agli altri paesi europei e’ ancora oggi enorme. Le classifiche Eurostat sono istruttive: nel 2018, il 26,5% dei manager italiani e’ in possesso di un titolo di istruzione terziario (nel 2006 era il 14,5%), mentre il 26,7% e’ in possesso di un titolo di scuola dell’obbligo (nel 2006 era il 39,2%). La media europea (UE 28) ci restituisce un quadro molto diverso: ben il 58,2% dei manager risulta laureato (piu’ del doppio che in Italia!) e solo l’8,9% ha un titolo di istruzione obbligatoria (un terzo rispetto all’Italia!). Differenze impressionanti, che il primo a non voler vedere e’ il mondo stesso dell’impresa, perche’ significherebbe mettere in discussione se’ stesso e le proprie capacita’. Sempre dimostrate dall’esistenza stessa delle imprese: se ci sono e producono utili, l’imprenditore tende comprensibilmente a considerarsi bravo. Piu’ raramente e’ capace di ammettere che potrebbe essere piu’ bravo, se migliorasse, tra le altre cose, la dotazione di capitale umano dell’impresa, a cominciare dal proprio, per continuare con quello dei propri dipendenti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139868
http://www.avantionline.it/la-spirale-del-sottosviluppo-pesa-sul-futuro-dellitalia/

Economia di mercato/Ardeni

Pier Giorgio Ardeni – Le radici del populismo. Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia – Laterza (2020)

Oggi, il reddito di un italiano e’ in media il
74,5% di quello tedesco (era stato il 94,6% nel
1996) e l’80,3% di quello francese (era stato il
97% nel 1996). E anche nei confronti della Spagna la distanza si e’ accorciata – sono loro che corrono mentre noi arranchiamo: il nostro reddito era del 47% superiore a quello spagnolo nel 1985 (la distanza maggiore di sempre), ma poi ha iniziato a calare e oggi il reddito pro capite italiano e’ appena maggiore del 6,8%.
Molto si e’ discusso in questi anni sulle ragioni di tale rallentamento dell’economia italiana, se esso sia dovuto ad una piu’ lenta dinamica della domanda aggregata – consumi privati, investimenti e spesa pubblica – e delle esportazioni o se, viceversa, non dipenda da fattori piu’ “strutturali”, che hanno a che fare con cio’ che produciamo e come: ovvero dalla produttivita’.
Nelle considerazioni di studiosi, commentatori e finanche rappresentanti delle istituzioni – come quelle del governatore
della Banca d’Italia, Ignazio Visco – il tema della
bassa crescita della produttivita’ appare ormai ricorrente: «l’Italia non cresce perche’ non cresce la produttivita’» […]
Quali sono le cause dello scarso aumento della produttivita’?
Se maggiore produttivita’ vuol dire maggiore efficienza e redditivita’ dei fattori impiegati e’ quindi una questione di tecnologia, di organizzazione e di competitivita’ sistemica, che vuol dire nuove idee, innovazioni nei prodotti, nei processi e nell’organizzazione.
Le imprese italiane e l’economia nel suo complesso hanno potuto sopravvivere negli ultimi anni grazie alla diminuzione dei salari – si e’ prodotto piu’ valore (poco) aumentando l’occupazione ma diminuendo i salari, invece di innovare, riorganizzare e rendere il sistema piu’ efficiente.
Cosa vuol dire tutto questo? Che si e’ investito poco.
Gli investimenti pubblici e privati sono calati e sono bassi da piu’ di due decenni. E soprattutto, sono calati gli investimenti in ricerca e sviluppo (dove nasce l’innovazione), sia quelli pubblici (ricerca e universita’) sia quelli privati.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858141779
https://www.letture.org/le-radici-del-populismo-disuguaglianze-e-consenso-elettorale-in-italia-pier-giorgio-ardeni

Lavoro/Fana

Marta Fana, Simine Fana – Basta salari da fame – Laterza (2019)

L’assunto incontrastato che domina il dibattito pubblico e’ che ogni provvedimento del governo deve fungere da stimolo alla produttivita’ del lavoro per rendere le imprese piu’ competitive.
Parlare solo di produttivita’ del lavoro, pero’, e non dell’intera struttura produttiva o dei costi totali per ciascuna impresa, e’ un atto deliberato.
Significa porre al centro della questione solo una sua parte, evitando di far accendere i riflettori sugli altri fattori produttivi che dipendono unilateralmente dalle scelte aziendali, come ad esempio il tipo di macchinari impiegati e quindi gli investimenti.
Puntano sempre il dito contro il costo del lavoro.
Tutti gli sforzi del governo, qualsiasi esso sia, devono necessariamente essere orientati alla compressione del costo del lavoro: salari, contributi sociali e previdenziali.
Come detto, in Italia questo ritornello va avanti da diversi decenni e la scarsa dinamica dei salari e’ fatta dipendere proprio dagli scarsi livelli di produttivita’ del nostro sistema economico […]
La cattiva fede dei sostenitori del taglio ai salari come volano della produttivita’ finisce per occultare la realta’ di un tessuto produttivo che nell’ultimo decennio ha vissuto un progressivo impoverimento, per cause non certo misteriose, ma tutte interne al processo di accumulazione capitalistico, sia in ambito nazionale che internazionale, Europa compresa.
Di nuovo: dalla crisi del 2008, infatti, l’industria manifatturiera italiana ha perso circa il 15% del suo apparato produttivo, mentre il volume in termini di valore aggiunto nel 2017 e’ di
10 miliardi in meno rispetto a quello registrato nel 2007, secondo quanto emerge dai dati del Rapporto annuale 2018 dell’Istat. Per non parlare dello slittamento dell’occupazione dai settori industriali a quelli dei servizi a basso valore aggiunto (alloggi, ristorazione, magazzinaggio).
Queste dinamiche dovrebbero spingere le forze di governo ad avviare una seria politica di investimenti, capaci di colmare nel medio periodo il gap tecnologico e di specializzazione che attanaglia l’economia italiana, unitamente a una politica salariale che sia almeno dignitosa […]
Un sistema produttivo che puo’ continuare ad accaparrarsi quote di profitto, aumentando il saggio di sfruttamento della forza lavoro, non ha alcuna urgenza a investire per migliorare la propria dotazione di capitale.
Quello che e’ avvenuto in Italia dagli anni Novanta sino al secondo decennio degli anni Duemila e’ esattamente questo: i profitti accumulati dalle imprese non sono stati reinvestiti nell’economia, generando un aumento della rendita tra il 1990 e il 2013 dell’84%, mentre la quota degli investimenti in rapporto ai profitti e’ caduta del 47%

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Economia di mercato/ Boitani

Andrea Boitani – Sette luoghi comuni sull’economia – Laterza (2017)

Per capire il «declino» dell’Italia bisogna dare almeno uno sguardo a come vanno le cose nei servizi, un settore complesso e variegato, che conta ormai per oltre il 70% del PIL.
A spiegare la relativa debolezza del sistema industriale italiano serve osservare come molti imprenditori abbiano colto l’occasione delle privatizzazioni degli anni Novanta e primi Duemila per spostare risorse e investimenti dai settori industriali piu’ esposti alla concorrenza ai piu’ protetti settori dei servizi pubblici (energia, telecomunicazioni, autostrade) e delle banche, dove una regolazione abbastanza accomodante consentiva di praticare prezzi (commissioni e margini di interesse per gli istituti di credito) elevati e ottenere, cosi’, alti profitti, senza doversi dannare troppo l’anima con l’innovazione e la produttivita’, oltre che con la concorrenza.
Il migliore di tutti i profitti di monopolio […] e’ la vita tranquilla. Ma la vita tranquilla delle imprese (e dei loro lavoratori) non fa crescere la produttivita’ e quindi l’economia e il reddito di tutti.

Info:
https://www.anobii.com/books/Sette_luoghi_comuni_sull%27economia/9788858124581/012e4b7607f103e80f
https://www.lavoce.info/archives/tag/i-sette-luoghi-comuni-sulleconomia/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858124581

Lavoro/Fazi

Thomas Fazi, Guido Iodice – La battaglia contro l’Europa – Fazi (2016)

Recentemente e’ stato il Fondo Monetario Internazionale, nel World Economic Outlook dell’aprile 2015, a sostenere che non vi e’ alcuna evidenza circa un effetto positivo della flessibilita’ sul potenziale produttivo […]
L’analisi dell’FMI identifica nell’invecchiamento della popolazione e nella carenza di investimenti i principali fattori che spiegano il rallentamento della crescita, tanto nelle economie emergenti che in quelle avanzate.
Secondo l’FMI gli effetti delle riforme strutturali sulla produttivita’ totale dei fattori sono importanti nei casi di deregolamentazione del mercato dei beni e dei servizi, di utilizzo di nuove tecnologie e di forza lavoro piu’ qualificata, di maggiore spesa per le attivita’ di ricerca e sviluppo. Al contrario la deregolamentazione del mercato del lavoro non sembra avere effetti statisticamente significativi sulla produttivita’.
Per questo il Fondo suggerisce che nelle economie avanzate, vi e’ la necessita’ di un costante sostegno alla domanda per incoraggiare gli investimenti e la crescita del capitale e quindi l’adozione di politiche e di riforme che possono aumentare in modo permanente il livello del prodotto potenziale […].
Queste politiche dovrebbero coinvolgere le riforme del mercato dei prodotti, maggiore sostegno alla ricerca e sviluppo […] e un uso piu’ intensivo di manodopera altamente qualificata e di beni capitali derivanti dalle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni […], più investimenti in infrastrutture per aumentare il capitale fisico e politiche fiscali e di spesa progettate per aumentare la partecipazione della forza lavoro. Insomma, l’idea che la deregolamentazione del mercato del lavoro abbia effetti espansivi non e’ meglio fondata dell’ipotesi – dimostratasi ampiamente fallimentare – che il consolidamento fiscale produca maggiore crescita del PIL.

Info:
https://fazieditore.it/catalogo-libri/la-battaglia-contro-leuropa/
https://keynesblog.com/2016/07/08/michele-salvati-recensisce-la-battaglia-contro-leuropa-di-thomas-fazi-e-guido-iodice/