Capitalismo/Mason

Paul Mason – Postcapitalismo. Una guida al nostro futuro – il Saggiatore (2016)

Il neoliberismo e’ stato progettato e messo in pratica da politici visionari: Pinochet in Cile, Margaret Thatcher e la sua cerchia ultraconservatrice in Gran Bretagna, Reagan e i «cold warriors» che lo portarono al potere negli Stati Uniti.
Avevano affrontato la massiccia opposizione delle organizzazioni sindacali e non intendevano piu’ tollerarla.
Questi pionieri del neoliberismo giunsero a una conclusione che ha condizionato fortemente la nostra epoca: un’economia moderna non puo’ coesistere con una classe operaia organizzata. Decisero quindi di distruggere completamente la forza contrattuale, le tradizioni e la coesione sociale dei lavoratori […]
La generazione odierna vede solo gli esiti del neoliberismo, e dunque spesso non si accorge che questo obiettivo – la distruzione del potere contrattuale dei lavoratori – era l’essenza dell’intero progetto, il mezzo per perseguire tutti gli altri fini.
Il principio guida del neoliberismo non era il libero mercato, e nemmeno la disciplina di bilancio, la moneta solida, le privatizzazioni e le delocalizzazioni; non era neanche la globalizzazione.
Tutte queste cose si sono rivelate sottoprodotti o strumenti della sua sfida principale: espungere il lavoro organizzato dall’equazione.

Info:
https://www.eunews.it/2017/05/13/il-postcapitalismo-secondo-paul-mason/85281
https://ilmanifesto.it/paul-mason-nelle-spire-del-postcapitalismo/
https://24ilmagazine.ilsole24ore.com/2015/09/postcapitalismo/
https://www.pandorarivista.it/pandora-piu/postcapitalismo-di-paul-mason/

Lavoro/Harvey

David Harvey – L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza – Feltrinelli (2011)

Bisogna riconoscere che i capitalisti impiegano abilmente un’ampia gamma di tattiche nel processo lavorativo; e’ in questo ambito, in modo particolare, che fanno leva sul potere delle differenze sociali a proprio esclusivo vantaggio.
Le questioni di genere spesso assumono un ruolo di primo piano nei luoghi di produzione, al pari di quelle di etnia, religione, colore della pelle e persino di orientamento sessuale.
Negli sweatshop dei cosiddetti paesi in via di sviluppo l’onere dello sfruttamento capitalistico ricade sulle spalle delle donne; i loro talenti e le loro capacita’ vengono utilizzati fino allo stremo, in condizioni spesso assimilabili a una dominazione patriarcale.
Se cio’ accade e’ perche’, nel tentativo disperato di esercitare e mantenere il controllo sul processo lavorativo, il capitalista deve approfittare di ogni relazione di differenza sociale, di ogni distinzione all’interno della divisione sociale del lavoro, di
ogni consuetudine o preferenza culturale particolare, sia per impedire che i lavoratori, trovandosi inevitabilmente in una posizione comune nel luogo di lavoro, si aggreghino in un movimento di solidarieta’ sociale, sia per mantenere una forza-lavoro frammentata e divisa […]
Recatevi in un qualsiasi luogo di lavoro – come un ospedale o un ristorante – e osservate il genere, il colore e l’etnia di coloro che svolgono le diverse mansioni; vedrete cosi’ come le relazioni di potere nel processo lavorativo collettivo sono
distribuite tra i diversi gruppi sociali. La resistenza al cambiamento di questi rapporti sociali e’ ascrivibile tanto alle tattiche del capitale quanto al carattere conservatore dei rapporti sociali stessi e al desiderio dei diversi gruppi di difendere i loro piccoli privilegi (incluso persino l’accesso ai lavori mal pagati.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2012/05/recensione-david-harvey-l%E2%80%99enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-feltrinelli/
http://contropiano.org/contropianoorg/aerosol/vetrina-pubblicazioni/2011/07/05/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-02315
http://www.millepiani.org/recensioni/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza

Lavoro/Fagan

Pierluigi Fagan – Verso un mondo multipolare. Il gioco di tutti i giochi nell’era Trump – Fazi (2017)

Il primo modo di rivedere l’allineamento tra ben-avere e ben-essere sara’ l’orario di lavoro.
L’attuale convenzione sulle otto ore di lavoro al giorno risale ai primi del XX secolo; aggiornarla sara’ il primo segno di revisione del nostro adattamento a nuove condizioni generali.  Due forze, tra le altre, concorrono all’urgenza di questa revisione.
La prima e’ la scarsita’ di lavoro in Occidente, dettata da molti fattori, tra cui i costanti incrementi di produttivita’ e la sostituzione del lavoro umano con quello meccanico-informatico, oltreche’ dalla necessita’ di liberare ore lavoro da trasferire alle giovani generazioni per dotarle di reddito e considerando il fattore dell’allungamento delle stime di vita generali che impone un’eta’ pensionistica sempre piu’ avanzata.
La seconda spinta consiste nella stima che entro il 2030 l’Africa e l’Asia meridionale perderanno fino al 30 per cento dell’orario di lavoro per via delle proibitive condizioni climatiche che l’innalzamento delle temperature e’ destinato a provocare […]
Nei prossimi quindici anni, almeno due ore al giorno debbono essere tolte dallo standard internazionale, il lavoro va redistribuito […]
Il tempo guadagnato andra’ reinvestito anche in partecipazione politica e sociale per convenire a una redistribuzione della ricchezza piu’ proporzionata.

Info:
https://pierluigifagan.wordpress.com/verso-un-mondo-multipolare-il-libro/
http://www.marx21.it/index.php/internazionale/mondo-multipolare/28857-verso-un-mondo-multipolare-il-gioco-di-tutti-i-giochi-nellera-trump

Lavoro/Fana

MartaFana, Simone Fana – Basta salari da fame – Laterza (2019)

Le innovazioni possono essere “di processo” quando tendono a modificare i processi produttivi e la loro organizzazione attraverso l’adozione di nuove tecniche o di nuove macchine prodotte in altri settori.
Si tratta di un tipo d’innovazione che riguarda principalmente la possibilita’ di competere abbattendo i costi del lavoro e non a caso gli effetti principali comportano non soltanto l’emergere di disoccupazione, ma anche salari piu’ bassi attraverso le riorganizzazioni interne e il processo di svalutazione della professionalita’ dei lavoratori.
Si parla invece di “innovazione di prodotto” quando nuovi prodotti (beni o servizi) vengono introdotti nel mercato.
Puo’ anche essere il caso che i nuovi prodotti generino un mercato fino ad allora inesistente: l’introduzione dei cellulari portatili, ad esempio.
Non significa che le innovazioni di prodotto non estraggano conoscenze umane a netto vantaggio dei profitti, ma esiste qualcosa oltre questo aspetto.
Generalmente le due strategie si intersecano e non necessariamente si escludono: molto spesso convivono nelle politiche aziendali […]
In generale, le innovazioni di processo sono quelle piu’ largamente diffuse e la loro gestione politica non ha nulla di realmente innovativo. Essa infatti risponde a un principio sviluppato e diventato egemonico agli inizi del Novecento: l’organizzazione scientifica del lavoro, detta “taylorismo”
dal nome del suo storico esponente, Frederick W. Taylor. Secondo questo principio il lavoro deve essere organizzato nel modo piu’ efficiente possibile e questo, nella visione di Taylor, significa esplicitamente controllarlo e dirigerlo, sostenendo laddove necessario anche i costi relativi all’introduzione di tecniche e metodi produttivi nuovi.
Le sue applicazioni sono infinite e non si limitano al vecchio sistema di fabbrica. L’esempio forse piu’ attuale o sicuramente piu’ discusso negli ultimi anni e’ quello della gia’ citata gig economy, in cui lo svolgimento della prestazione lavorativa attraverso tecnologie digitali non fa altro che migliorare le funzioni di supervisione e controllo dell’azione lavorativa.
Ma la capacita’ di sfruttare una nuova tecnica, quella digitale, per svolgere un’attivita’ per nulla nuova ne’ innovativa dal punto di vista del prodotto scambiato sul mercato produce non una novita’ tecnologica in se’ bensi’ una nuova organizzazione del lavoro in cui la maggior parte dei costi fissi sono a capo del lavoratore e non rappresentano piu’ costi di produzione per l’impresa. Quest’ultima impone ai lavoratori lo status di fornitori di servizi piuttosto che di dipendenti. Non sono questioni che attengono a singoli luoghi di lavoro e di produzione.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/