Capitalismo/Srniceck

Nick Srniceck, Alex Williams – Inventare il futuro – Produzione Nero (2018)

Se c’e’ un’ideologia che domina la nostra era, questa e’ il neoliberismo.
Oggi viene data per scontata l’idea che il modo piu’ efficiente per produrre e distribuire beni e servizi sia il libero scambio sul mercato tra individui guidati soltanto dalla ragione strumentale; d’altra parte, regolamentazioni statali e imprese nazionalizzate vengono interpretate come distorsioni che rallentano le efficienti dinamiche proprie del mercato stesso. Questa concezione del corretto funzionamento di un’economia e’ un punto di partenza comune sia ai critici che ai sostenitori del neoliberismo: semplicemente, il pensiero neoliberale e’ riuscito a stabilire cosa a questo punto dobbiamo considerare realistico, necessario e possibile.
E nonostante la crisi del 2008 abbia parzialmente messo in discussione la cieca fiducia di cui il neoliberismo godeva, questo e’ comunque rimasto parte della nostra visione del mondo condivisa: una visione talmente radicata che persino i suoi critici fanno fatica a immaginare alternative coerenti.

Info:
https://www.anobii.com/books/Inventare_il_futuro/9788880560098/01b82e055beaceae9c
http://www.exasilofilangieri.it/presentazione-del-libro-inventare-futuro-un-mondo-senza-lavoro-n-srnicek-williams/

Economia di mercato/Jacobs

Michael Jacobs, Mariana Mazzucato – Ripensare il capitalismo – Laterza (2017)

Un ripensamento del capitalismo in questi termini poggia su tre intuizioni fondamentali […]
La prima e’ che abbiamo bisogno di una descrizione piu’ ricca dei mercati e delle imprese al loro interno […]
I mercati vanno concepiti come risultati di interazioni tra operatori economici e istituzioni, sia pubbliche che private. Questi risultati dipenderanno dalla natura degli operatori (per esempio le varie strutture di gestione delle imprese), dalle loro dotazioni e motivazioni, dai vincoli imposti dal corpus legislativo e normativo e dai contesti culturali e dalla natura specifica delle transazioni che vi si svolgono […]
Negli ultimi trent’anni, la visione ortodossa che sostiene che la massimizzazione del valore per l’azionista produce la maggiore crescita economica possibile ha assunto un ruolo dominante nella teoria e nella pratica dell’attività imprenditoriale, in particolare negli Stati Uniti e in Gran Bretagna […]
In Germania, in Scandinavia e in Giappone, per esempio, le aziende sono strutturate, sia con riguardo al diritto societario sia con riguardo alla cultura aziendale, come istituzioni che rendono conto a un più vasto numero di stakeholders (dipendenti compresi), con la produzione e la redditivita’ di lungo termine quale missione primaria. Sono capitaliste anch’esse, ma si comportano in modo diverso […]
La seconda intuizione fondamentale e’ che la forza trainante della crescita economica e dello sviluppo sono gli investimenti, sia pubblici che privati, nell’innovazione tecnologica e organizzativa.
La diffusione di queste innovazioni nell’economia influenza non soltanto i modelli di produzione, ma anche i modelli di distribuzione e di consumo. Negli ultimi duecento anni e’ stata la fonte primaria di miglioramenti della produttivita’, e dei conseguenti aumenti del tenore di vita […]
Il riconoscimento del ruolo del settore pubblico nel processo di innovazione e’ strettamente attinente alla terza intuizione fondamentale, e cioe’ che la creazione di valore economico e’ un processo collettivo. Le imprese non creano ricchezza da sole: nessuna azienda oggi puo’ operare senza i servizi fondamentali forniti dallo Stato: scuole e università, servizi sanitari e sociali, case popolari, previdenza sociale, polizia e difesa, infrastrutture fondamentali come i sistemi di trasporto, le reti energetiche e idriche e i sistemi di smaltimento dei rifiuti. Questi servizi, il livello di risorse di cui dispongono e il tipo di investimenti che vengono effettuati in essi, sono cruciali per la produttivita’ delle imprese private.
Non e’ vero che il settore privato «crea ricchezza» mentre i servizi pubblici finanziati dai contribuenti la «consumano». Lo Stato non si limita a «regolare» l’attivita’ economica privata: il Pil e’ coprodotto.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/ripensare-capitalismo-mazzucato-jacobs/
https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/12017-lorenzo-cattani-note-su-ripensare-il-capitalismo-di-m-mazzucato-e-m-jacobs.html
https://www.anobii.com/books/Ripensare_il_capitalismo/9788858127445/0151bee1e81a684e52
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858127445

Economia di mercato/Harvey

David Harvey – La crisi della modernita’ – il Saggiatore (2010)

La merce e’ […] “una cosa misteriosa” perche’ incarna simultaneamente un valore d’uso (soddisfa un particolare bisogno) e un valore di scambio (posso usarla come mezzo di baratto per procurarmi altre merci).
Questa dualita’ rende la merce sempre ambigua per noi. Dobbiamo consumarla o scambiarla?
Ma poiche’ proliferano i rapporti di scambio e si formano i mercati che determinano i prezzi, una merce tipicamente si cristallizza sotto forma di denaro.
Con il denaro il mistero della merce assume un altro aspetto, perche’ il valore d’uso del denaro e’ il fatto che esso rappresenta il mondo del lavoro sociale e del valore di scambio.
Il denaro […] diventa il mezzo con cui noi tipicamente confrontiamo e misuriamo, sia prima che dopo lo scambio, il valore di tutte le merci.

Info:
https://www.anobii.com/books/La_crisi_della_modernit%C3%A0/9788851520366/012ddde8b392d53a07
http://www.leparoleelecose.it/?p=10178

Capitalismo/Arrighi

Giovanni Arrighi – Il lungo XX secolo – il Saggiatore (2014)

Ho ridefinito il lungo XX secolo come composto di tre fasi:
1. l’espansione finanziaria della fine del XIX e degli inizi del XX secolo, nel corso della quale furono distrutte le strutture del «vecchio» regime britannico e furono create quelle del «nuovo» regime statunitense;
2. l’espansione materiale degli anni cinquanta e sessanta, durante la quale il dominio del «nuovo» regime statunitense si tradusse in un’espansione del commercio e della produzione di dimensioni mondiali;
3. l’attuale espansione finanziaria, nel corso della quale vengono distrutte le strutture del «vecchio» regime statunitense e vengono presumibilmente create quelle di un «nuovo» regime.

Info:
https://www.anobii.com/books/Il_lungo_XX_secolo/9788842819035/01360d7a251c1223be
https://www.pandorarivista.it/articoli/egemonia-storia-capitalismo-recensione-a-il-lungo-xx-secolo-di-giovanni-arrighi/
http://tempofertile.blogspot.com/2015/03/giovanni-arrighi-il-lungo-xx-secolo.html

Lavoro/Silver

Beverly J. Silver – Le forze del lavoro. Movimenti operai e globalizzazione dal 1870 – Bruno Mondadori (2008)

Spesso la crisi dei movimenti operai e’ stata interpretata come un effetto dell’ipermobilita’ del capitale produttivo nel tardo Novecento, che ha creato un mercato del lavoro unico in cui tutti i lavoratori sono costretti a competere gli uni contro gli altri su scala planetaria. […]
Con lo spostamento della produzione (o anche solo con la minaccia di farlo) «dall’altra parte del mondo», le aziende multinazionali hanno innalzato il livello di concorrenza tra «l’enorme massa di lavoratori non sindacalizzati» e messo sotto pressione «il movimento operaio internazionale »
Di conseguenza il potere contrattuale dei lavoratori e’ diminuito, lasciando spazio a una “corsa verso il basso” dei salari e delle garanzie per i lavoratori […]
Secondo altri studiosi, le conseguenze fondamentali dell’iper-mobilita’ del capitale sui movimenti operai sarebbero da ricercarsi piuttosto nei suoi effetti indiretti. Da questo punto di vista, l’iper-mobilita’ del capitale indebolisce di fatto la sovranita’ dello stato, e piu’ gli stati perdono la capacita’ di controllare con efficacia i flussi di capitale, piu’ diminuisce anche la loro capacita’ di proteggere il tenore di vita dei propri cittadini e i diritti dei lavoratori […]
Gli stati che insistono nel mantenere un patto sociale costoso con i propri cittadini, comprese le proprie classi operaie, rischiano di essere tagliati fuori dai flussi di investimento […] Un’altra spiegazione importante della crisi del movimento operaio da’ rilievo non tanto alle conseguenze della mobilita’ del capitale, quanto alle trasformazioni dell’organizzazione dei processi di produzione. Queste trasformazioni (o “innovazioni di processo”), sono viste da molti come il fattore che ha minato alla base il potere contrattuale dei lavoratori […]
La classe operaia risulta quindi disaggregata e disorganizzata strutturalmente, e quindi tende ad accostarsi a una «politica del risentimento» piu’ che ai «sindacati operai tradizionali e alla politica delle sinistre.

Info:
https://www.anobii.com/books/Le_forze_del_lavoro/9788861592117/013ceb1c2bb826dec4
https://www.lacittafutura.it/economia-e-lavoro/lavoratori-di-tutto-il-mondo-intervista-a-beverly-silver-parte-i

Capitalismo/Calenda

Carlo Calenda – Orizzonti selvaggi.Capire la paura e ritrovare il coraggio – Feltrinelli (2018)

La liberalizzazione internazionale delle merci e dei capitali avrebbe dovuto essere accompagnata all’interno delle societa’ occidentali da un ruolo attivo dello Stato nella gestione delle trasformazioni necessarie ad affrontarla e nella cura degli sconfitti.
Piu’ ci si apre all’esterno, piu’ bisogna governare il cambiamento all’interno, e questo e’ un compito che solo le istituzioni nazionali possono assolvere.
Invece e’ accaduto il contrario.
L’applicazione delle stesse ricette liberiste all’interno e all’esterno ha moltiplicato l’effetto di “spiazzamento” di ampi strati della societa’.
Per gestire le ondate di cambiamento provenienti dall’innovazione tecnologica e dalla globalizzazione abbiamo bisogno di ripensare il rapporto fra Stato e mercato e tra crescita economica e crescita sociale in seno alle nostre democrazie.
Del resto i casi di successo della globalizzazione sono stati caratterizzati da una presenza forte dello Stato nell’accompagnamento a un’apertura condizionata.
La storia dello sviluppo di Giappone, Corea, Taiwan, Cina e India sta lì a dimostrarlo.

Info:
https://formiche.net/2018/11/orizzonti-selvaggi-recensione-al-libro-carlo-calenda/
https://www.anobii.com/books/Orizzonti_selvaggi/9788807173509/01492fb65e34e746eb

Economia di mercato/Tirole

Jean Tirole – Economia del bene comune – Mondadori (2017)

Storicamente, la scarsita’ e’ stata gestita in vari modi: la fila d’attesa (nel caso di insufficienza di beni vitali come il cibo o la benzina, o per i trapianti d’organo); l’estrazione a sorte (per l’assegnazione di certificati di residenza permanente – green card – negli Stati Uniti, di posti per un concerto quando la domanda e’ superiore all’offerta); l’impostazione amministrativa di distribuzione dei beni (stabilendo delle categorie prioritarie) o di fissazione dei loro prezzi al di sotto del livello di equilibrio tra domanda e offerta di quegli stessi beni; la corruzione e il favoritismo; la violenza e le guerre; e, last but not least, il mercato, il quale, quindi, non e’ che un modello tra gli altri per gestire la scarsita’.
Oggi domina il mercato, che alloca le risorse tra imprese (B2B), a tra imprese e privati (commercio al dettaglio) e tra privati (tipo eBay).

Info:
https://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2017-05-27/incentivi-bene-comune—193337.shtml?uuid=AEhxGePB&refresh_ce=1
https://www.linkiesta.it/it/article/2017/06/03/jean-tirole-trump-ha-ucciso-laccordo-sul-clima-e-la-prova-che-non-funz/34473/