L’affossamento del patto di cittadinanza incentrato sul lavoro venne alimentato da due fenomeni per molti aspetti risalenti, affacciatisi prepotentemente sulla scena nel corso degli anni Settanta.
Per un verso il dovere di lavorare cesso’ di essere avvertito come imperativo etico, che l’ortodossia neoliberale tento’ di rimpiazzare con la rappresentazione del lavoratore come detentore di capitale umano e come imprenditore di se’.
Per un altro verso la fine del lavoro venne presentata come il destino di un futuro dominato dallo sviluppo tecnologico, agitato ad arte come spauracchio buono a incrementare i profitti delle imprese e a impedire il varo di misure redistributive come quelle incentrate sulla riduzione dell’orario di lavoro.
Questo e’ anzi flessibilizzato, sino a divenire ostaggio di una sostanziale confusione tra tempi di vita e tempi di lavoro, secondo le dinamiche tipicamente alimentate dal capitalismo cognitivo. Nessuno stupore dunque se quella caratterizzata dal prevalere del neoliberalismo e’ l’epoca del lavoro flessibile e precario, produttivo di insicurezza sociale e poverta’ […]
A queste condizioni il patto di cittadinanza alla base dei Trenta gloriosi si e’ definitivamente rotto.
Conserva gli obblighi a carico del lavoratore, che anzi vengono inaspriti, e per il resto risulta preda di un modo di concepire lo stare insieme come societa’ del tutto incapace di esprimere un equilibrio accettabile tra democrazia e mercato […]
Il costo del lavoro venne additato come la causa prima dell’inflazione, che nel corso degli anni Settanta lievito’ in effetti sino a raggiungere il 20%. Di qui la volonta’ di contrastarla perseguendo la moderazione salariale, con effetti evidentemente ulteriori rispetto a quelli relativi all’entita’ dei salari: a essere colpito era il compromesso keynesiano nel suo complesso.
Cio’ che maggiormente colpisce e’ che questo programma non venne perseguito solamente dalle forze politiche tradizionalmente fautrici del cosiddetto libero mercato. Anche la sinistra storica se ne fece promotrice, come si ricava in modo esemplare dalle motivazioni addotte da Enrico Berlinguer al fine di sostenere e giustificare l’austerita’ […]
Insomma, non solo le crisi degli anni Settanta vennero affrontate con modalita’ alternative al compromesso keynesiano, ma anche e soprattutto con la volonta’ di segnare un suo affossamento e di avviare l’ascesa di una dottrina che si sarebbe poi affermata nel contesto occidentale fino a strutturarsi sotto forma di pensiero indiscutibile e privo di alternative: il neoliberalismo.
Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/
https://www.sinistrainrete.info/lavoro-e-sindacato/27701-lelio-demichelis-lavoro-povero-con-vita-digitale-o-vita-povera-con-lavoro-digitale.html