Capitalismo/Galli

Carlo Galli – Democrazia, ultimo atto? – Einaudi (2023)

Si puo’ indicare il 1973, l’anno di istituzione della Commissione trilaterale, il cervello analitico del neoliberismo, ai cui studiosi (europei, americani, giapponesi) si deve la tesi della insostenibilita’ economica e politica della democrazia a contenuto sociale.
E’ anche l’anno del colpo di Stato in Cile, e del primo esperimento, ancora locale, di aperta pratica del neoliberismo. Il paradigma dei «Trenta gloriosi», grosso modo keynesiano, ando’ in crisi sotto i colpi della stagflazione e della disoccupazione.
La causa stava tanto in shock esogeni – l’inflazione generata dalla guerra in Vietnam, l’aumento vertiginoso del prezzo del petrolio in seguito alla guerra del Kippur dell’ottobre 1973 – quanto nei costi delle burocrazie pubbliche (la «crisi fiscale dello Stato», dovuta alla sempre crescente esigenza di entrate, che invece diminuirono per l’affanno in cui era entrato il sistema capitalistico, con conseguente grave deterioramento dei conti pubblici) e degli aumenti salariali strappati alla fine degli anni Sessanta e all’inizio dei Settanta. La risposta noliberista si fondo’ […] su un mutamento di finalita’ del paradigma economico, che da orientato qual era alla lotta contro la disoccupazione fu ridiretto a combattere l’inflazione, sulla base del principio che un regime di libera concorrenza avrebbe spontaneamente creato gli equilibri necessari al buon funzionamento del mercato e anche alla migliore allocazione delle risorse.

Info:
https://www.doppiozero.com/democrazia-ultimo-atto
https://www.pandorarivista.it/event_listing/democrazia-ultimo-atto-con-carlo-galli-flavia-giacobbe-e-damiano-palano/
https://www.repubblica.it/cultura/2023/09/24/news/tramonto_democrazia_libro_di_carlo_galli-415666570/
https://www.youtube.com/watch?v=bMsOzzZ6B1o
https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2019/01/Carlo-Galli-la-crisi-della-democrazia-bdeb1652-b914-416a-871f-e0478803be64.html

Capitalismo/Magatti

Chiara Giaccardi, Mauro Magatti – Supersocieta’. Ha ancora senso scommettere sulla liberta’ – il Mulino (2022)

Al di la’ dell’enfasi sull’io e la liberta’, la dottrina neoliberista e’ stata fondamentale anche per lo sganciamento dell’economia dalla societa’ che, con la caduta del muro di Berlino, ha reso possibile il grande salto storico della globalizzazione.
Prendendo le distanze dal pensiero di Milton Keynes – convinto sostenitore della necessita’ di un solido legame tra crescita economica e governo politico degli Stati nazionali – il neoliberismo ha tratto vantaggio dal quadro storico post-’89, quando sono venuti meno gli assetti geopolitici del secondo dopoguerra.
Nel nuovo scenario globale, che segue la fine del colonialismo, prende forma una infrastruttura tecno-economica planetaria in grado di reggere un’espansione economica senza precedenti. Cosi’, nel giro di una manciata d’anni, il mondo ha potuto raggiungere un inedito livello di integrazione sistemica, divenendo un immenso ricettacolo di possibilita’ di vita per le persone e di affari per le imprese.
Grazie a una narrazione intrigante, la globalizzazione si e’ proposta come il tempo della crescita illimitata, in cui ciascuno poteva finalmente scegliere il proprio modo di vita, senza condizionamenti o comandamenti.
A un’unica condizione: quella di continuare ad alimentare l’innovazione tecnologica, l’efficienza economica, la liberalizzazione dei mercati, secondo le linee generali contenute nel Washington Consensus […]
Nella societa’ di fine secolo, «essere se stessi» significa essere sempre all’altezza di un mondo che corre veloce e che spinge sempre in avanti […]
Gli standard a cui attenersi, e da superare continuamente, sono dappertutto: la produttivita’ lavorativa, l’eccezionalita’ delle vacanze, la qualita’ biologica dei cibi, le calorie ingerite, il numero di persone/incontri/comunicazioni, i follower sui social, i risultati scolastici, l’eccellenza nello sport o nelle arti, il successo affettivo, il numero di passi giornalieri.
L’imperativo e’ performare: scolasticamente, socialmente e perfino sessualmente. Non c’e’ piu’ ambito della vita sociale che sfugga alla logica della prestazione e della calcolabilita’, col suo portato ansiogeno – dato che il fallimento, l’errore, l’inadeguatezza sono causa di vergogna e depressione.
Una polveriera emotiva pronta a sprigionare aggressivita’, quando non violenza, al primo pretesto.
A poco a poco, l’esperienza soggettiva subisce una torsione di fondo: il «parco divertimenti» della societa’ dei consumi si trasforma in una «macchina da corsa» da cui non si puo’ piu’ scendere, anche se non si conosce ne’ la destinazione ne’ il guidatore.

Info:
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/siamo-entrati-nella-supersociet-diventeremo-stupidi-o-pi-liberi
https://www.bioeticanews.it/il-libro-supersocieta-di-c-giaccardi-e-m-magatti/
https://www.pandorarivista.it/pandora-piu/liberta-nella-supersocieta/
https://www.c3dem.it/supersocieta-un-libro-di-magatti-e-giaccardi/
https://www.recensionedilibri.it/2022/06/16/giaccardi-magatti-supersocieta-ha-ancora-senso-scommettere-sulla-liberta/
https://ildomaniditalia.eu/la-super-societa-e-la-scommessa-sulla-liberta-in-un-saggio-di-chiara-giaccardi-e-mauro-magatti-recensione-sullosservatore-romano/

Economia di mercato/Fazi

Thomas Fazi – Una civilta’ possibile. La lezione dimenticata di Federico Caffe’ – Meltemi (2022)

Secondo il vecchio paradigma liberista (“neoclassico” in gergo economico), i mercati fondamentalmente si autoregolano e dunque l’economia, se lasciata a se stessa, con la minor interferenza possibile da parte dei governi, e’ in grado di generare automaticamente stabilita’ e piena occupazione (purche’ i lavoratori siano flessibili nelle loro richieste salariali); per Keynes, al contrario, il capitalismo e’ intrinsecamente instabile e strutturalmente incapace di assicurare la piena occupazione e un’equa distribuzione di reddito e di ricchezza, e se lo si lascia fare – come auspicato dai teorici liberisti del laissez faire (letteralmente “lasciate fare” in francese) – tende inevitabilmente a generare crisi finanziarie ed economiche.
E’ dunque compito dello Stato intervenire nell’economia – attraverso la politica monetaria, fiscale e di bilancio (e, all’occorrenza, la spesa in disavanzo, secondo la logica per cui e’ la spesa a generare la capacita’ di risparmio e non viceversa), e altre forme di regolazione pubblica, anche sostitutive dell’attivita’ economica privata – per sopperire ai problemi generati dal mercato, in primis la disoccupazione, e assicurare cosi’ il benessere collettivo e livelli adeguati di domanda aggregata, mitigando oltretutto gli effetti negativi delle recessioni e delle depressioni economiche.
A questo proposito, molti hanno parlato dello Stato come “datore di lavoro di ultima istanza”.

Info:
https://www.meltemieditore.it/wp-content/uploads/daniele-archibugi-il-manifesto-25-giugno-2022-federico-caffe-leresia-economica-del-benessere-su-una-civilta-possibile-di-thomas-fazi-meltemi.pdf
https://www.micromega.net/invece-dellagenda-draghi/
https://www.meltemieditore.it/wp-content/uploads/daniele-archibugi-capital-5-maggio-2022-rileggendo-federico-caffe-su-una-civilta-possibile-di-t.-fazi-meltemi.pdf
https://www.flaneri.com/2023/01/09/civilta-possibile-fazi/

Economia di mercato/Alacevich

Michele Alacevich, Anna Soci – Breve storia della disuguaglianza – Laterza (2019)

Disuguaglianza e democrazia […]
La filosofia di fondo per sostenere una distribuzione squilibrata delle risorse economiche era (e in parte e’ ancora) la solita argomentazione «a cascata» (una percolazione verso il basso di cio’ che di positivo avviene nelle zone di vertice di una economia) e la preoccupazione principale e’ ancora una volta la dimensione della torta dei guadagni.
La visione tradizionale sosteneva che la disuguaglianza aumentasse il risparmio aggregato, il che a sua volta avrebbe prodotto un aumento degli investimenti e la crescita del PIL.
Questa catena causale teorica, tuttavia, non e’ cosi’ solida come potrebbe sembrare.
Il legame diretto tra risparmio e accumulazione di capitale e’ stato messo in discussione fin dagli anni Trenta, in particolare da John Maynard Keynes, che ha sottolineato il ruolo cruciale delle aspettative – piu’ che del risparmio – nel determinare la domanda di capitale reale. Inoltre, anche all’interno di un quadro di aspettative ottimistiche, il comportamento inerziale del settore bancario e finanziario – spesso piu’ incline alla speculazione finanziaria che a sostenere l’attivita’ delle imprese (almeno quelle prive di garanzie cospicue) – puo’ diventare un ostacolo imponente per il processo di accumulazione del capitale.
Il risparmio, in altre parole, non e’ di per se’ una condizione sufficiente per gli investimenti […]
Profitti elevati, uniti alla diminuzione dei salari, portano a una domanda di beni di consumo debole (a meno che il credito al consumo non sostenga la domanda). Quest’ultima circostanza porta ad aspettative al ribasso da parte delle imprese, scoraggiando il loro interesse per gli investimenti reali e aumentando la spinta alla speculazione finanziaria […]
Il ruolo crescente del sistema bancario e del settore finanziario in generale nonche’ la loro influenza sempre piu’ forte sul processo decisionale porta inevitabilmente alla deregolamentazione e a politiche fiscali meno progressive.
Questa spaccatura tra l’arricchimento dei pochi e l’interesse dei molti finisce per sabotare la crescita stessa: dagli anni Ottanta, il rallentamento della crescita economica e della produttivita’ nelle principali economie mondiali e’ diventato pressoche’ costante, contribuendo all’instaurarsi di un regime di instabilita’.
La torta e’ cresciuta meno del previsto, o si e’ decisamente ridotta […]
Gli studi degli anni Novanta hanno messo in luce che la risposta alla domanda se la disuguaglianza interna rallenti la crescita di una nazione e’ probabile che sia affermativa, anche se la direzione di causalita’ non e’ facile da accertare. Piu’ importante ancora, a nostro parere, e’ che l’argomentazione «a cascata» risulta contraddetta, dato che i ricchi esercitano pressione per l’approvazione di politiche per loro vantaggiose, ma che potrebbero danneggiare il resto dell’economia come nel caso della formazione di capitale umano […]
Dunque, il legame tra disuguaglianza e democrazia e’ di nuovo un processo che si autoalimenta: se la disuguaglianza ostacola o rallenta lo sviluppo economico, si indeboliscono alcuni dei puntelli della democrazia, e cio’ non giova allo sviluppo stesso.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858136249
https://www.letture.org/breve-storia-della-disuguaglianza-michele-alacevich-anna-soci

Stato/Judt

Tony Judt – Quando i fatti (ci) cambiano – Laterza (2020)

Finche’ l’obiettivo primario dei socialdemocratici era convincere gli elettori che rappresentavano una scelta radicale rispettabile all’interno della societa’ liberale, questa posizione difensiva aveva senso. Oggi pero’ quella retorica e’ incoerente.
Non e’ un caso che Angela Merkel, democratico-cristiana, possa vincere le elezioni in Germania contro i rivali socialdemocratici – persino all’apice di una crisi finanziaria – con un insieme di politiche che ricalca, in tutti i suoi elementi essenziali, il loro stesso programma […]
Il problema non e’ nelle politiche socialdemocratiche, ma nel linguaggio in cui sono formulate.
Da quando la sfida autoritaria da sinistra e’ venuta meno, dare risalto alla «democrazia» e’ quasi sempre superfluo. Oggi siamo tutti democratici.
Ma «sociale» ha ancora un significato, oggi forse piu’ di qualche decennio fa, quando il ruolo del settore pubblico era inconfutabilmente riconosciuto da tutte le parti. Che cosa c’e’ di particolare, dunque, riguardo alla sfera «sociale», nell’approccio socialdemocratico? […]
Il futuro prossimo sara’ caratterizzato da insicurezza economica e incertezza culturale.
Di sicuro la fiducia che riponiamo nei nostri fini collettivi, nel nostro benessere ambientale o nella nostra sicurezza personale non e’ mai stata cosi’ bassa dalla fine della seconda guerra mondiale.
Non abbiamo idea del tipo di mondo che lasceremo in eredita’ ai nostri figli, ma non possiamo piu’ cullarci nell’illusione che assomigliera’ al nostro in maniera rassicurante. Dobbiamo riconsiderare le soluzioni adottate dalla generazione dei nostri nonni in risposta a sfide e minacce analoghe.
La socialdemocrazia in Europa, il New Deal e la Great Society negli Stati Uniti erano risposte esplicite alle insicurezze e alle sperequazioni dell’epoca.
Pochi in Occidente sono abbastanza vecchi per ricordare cosa significa vedere il proprio mondo crollare. Per noi e’ difficile concepire un collasso completo delle istituzioni liberali, la dissoluzione totale del consenso democratico.
Ma fu proprio un simile sfacelo a provocare il dibattito fra Keynes e Hayek, dal quale nacquero il consenso keynesiano e il compromesso socialdemocratico: il consenso e il compromesso in cui siamo cresciuti e il cui fascino è stato appannato dal loro stesso successo.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858126479
https://ilmanifesto.it/tony-judt-e-la-responsabilita-della-storia/

Stato/Arlacchi

Pino Arlacchi – I padroni della finanza mondiale. Lo strapotere che ci minaccia e i contromovimenti che lo combattono – Chiarelettere (2018)

I fattori che stanno alla base del miracolo economico dell’Asia orientale formano un modello cui sono stati dati vari nomi, il più diffuso tra i quali e’ quello di «developmental state». Questo modello e’ stato creato nel Giappone del dopoguerra ed e’ stato poi seguito nei decenni successivi, con diverse varianti ma senza modifiche sostanziali, dagli altri paesi della regione fino all’entrata in scena della Cina negli anni Novanta.
Il modello si fonda sulla centralita’ dello Stato come regista a tutto campo dello sviluppo, come attore di prima grandezza dell’economia e come responsabile del mutevole negoziato tra le forze della produzione e le varie componenti sociali.
Il developmental state ha un centro propulsore nei ministeri economici del governo centrale e in alcune agenzie specializzate dello sviluppo settoriale – come il celebre Miti giapponese – rette da una tecnocrazia indipendente e altamente qualificata che elabora i piani di crescita e ne controlla l’esecuzione. […]
Il developmental state non e’ uno Stato keynesiano che interviene a colmare le deficienze intrinseche dei mercati dal lato della creazione di domanda e del potere d’acquisto, ma un’istituzione che guida direttamente i mercati e si sostituisce a essi nell’offerta di lavoro, beni e capitali.
Non deve sfuggire l’anomalia di questa situazione rispetto alle condizioni operative del capitalismo occidentale, dove il rialzo delle retribuzioni e dei redditi finisce – come nell’eta’ d’oro del keynesismo – col deprimere i profitti, interrompere il ciclo di crescita e scatenare una controffensiva che ripristina la subordinazione della manodopera e la disuguaglianza sociale preesistente.

Info:
https://www.interris.it/news/esteri/chi-sono-i-padroni-della-finanza-mondiale/
https://www.edizionipolis.it/magazine/2019/03/29/economia-e-finanza-mondiale-arlacchi-il-neoliberalismo-oggi-vive-una-profonda-crisi/

Capitalismo/Marsili

Lorenzo Marsili, Yanis Varoufakis – Il terzo spazio. Oltre establishment e populismo – Laterza (2017)

Il capitalismo sociale inaugurato nel dopoguerra si sgretola gradualmente negli anni Settanta.
L’assottigliarsi costante del margine di profitto rende inquieta l’industria e i detentori di grandi patrimoni.
Lo shock petrolifero del 1973 infligge la prima pesante crisi economica dal dopoguerra, portando inflazione e recessione: e’ la stagflazione, un male per cui le cure keynesiane non offrono rimedio. Gli Stati Uniti decidono di slegare il dollaro dal prezzo dell’oro e di alzare notevolmente i tassi di interesse, inaugurando un periodo di cambi fluttuanti e di incertezza e speculazione finanziaria […]
La ricerca di un nuovo modello ha inizio […]
Con il contributo di un gruppo di economisti fino ad allora poco noti e spinti ai margini dall’egemonia del pensiero keynesiano – gruppo in cui spicca la cosiddetta scuola austriaca di von Hayek e von Mises – viene mantenuto in vita e rinnovato
il pensiero del liberismo economico, del laissez-faire e laissez-passer, mandato in soffitta dal New Deal e dal dilagare dell’intervento statale nel secondo dopoguerra.
Il momento e’ ora quello giusto per sferrare una vera e propria battaglia per l’egemonia: una rete capillare di istituti di ricerca, fondazioni e dipartimenti universitari – generosamente sostenuta da un settore imprenditoriale ansioso di mettere fine alle richieste redistributive del lavoro e alle spinte socialiste che deprimevano i profitti – garantisce la pervasivita’ delle loro idee e permette di presentarle come la soluzione naturale alla crisi cui le politiche keynesiane sembrano non riuscire piu’ a rispondere.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858128282
https://www.sns.it/it/evento/terzo-spazio
https://www.estetica-mente.com/recensioni/libri/lorenzo-marsili-yanis-varoufakis-terzo-spazio-oltre-establishment-populismo/73210/
http://www.mangialibri.com/libri/il-terzo-spazio