Economia di mercato/Somma

Alessandro Somma – Abolire il lavoro povero – Laterza (2024)

Le manifestazioni dell’ortodossia neoliberale degli ultimi anni preannunciano invero un ritorno all’Ottocento, ovvero all’epoca in cui il lavoro era sottoposto alle medesime forme di controllo utilizzate dalle piattaforme: un controllo continuo e penetrante, caratterizzato da ritmi intensi e dalla confusione con la vita privata, svalutato e precarizzato. Ottocentesca e’ anche e soprattutto la realizzazione del «sogno del datore di lavoro di accendere e spegnere l’interruttore del lavoro senza sprecare neppure un secondo», e a monte la possibilita’ di accedere a un «deposito mobile di forza lavoro erogabile a comando e sempre nel momento giusto».
In tal senso si e’ detto che la gig economy, in quanto ordine economico a misura di lavoratori chiamati a fornire la loro prestazione «alla spina», costituisce un ritorno alla fase in cui nasce l’industria tessile inglese: quando si ricorreva al lavoro a domicilio da parte di cucitrici sostanzialmente costrette in una relazione a titolo subordinato, sebbene formalmente inquadrate come lavoratrici autonome.
E in tal senso si e’ osservato che il «luccicante mondo dell’innovazione» ci riporta a «un modello antico con cui braccianti, manovali, minatori e portuali si trovavano a fare i conti». Per non dire della circostanza che le dimensioni delle piattaforme sono alla base di dinamiche assimilabili a quelle innescate dai «monopolisti che alla fine del XIX secolo spadroneggiavano in virtù di inscalfibili rendite»

Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/
https://www.sinistrainrete.info/lavoro-e-sindacato/27701-lelio-demichelis-lavoro-povero-con-vita-digitale-o-vita-povera-con-lavoro-digitale.html

Economia di mercato/Formenti

Carlo Formenti – Felici e sfruttati: Capitalismo digitale ed eclissi del lavoro – Egea (2011)

Fino ad oggi, nessuno aveva mai immaginato che le idee potessero essere oggetto di appropriazione privata, anche perche’ la loro libera circolazione rappresentava il presupposto indispensabile di tutte le innovazioni scientifiche, tecnologiche e culturali, una sorta di «materia prima gratuita», un bene comune che – al pari di altri commons come l’aria, l’acqua, la biosfera ecc. – rappresenta una condizione primaria di esistenza del processo economico pur restandone – o meglio: dovendone necessariamente restare – al di fuori […]
1) tutte le innovazioni culturali della storia sono sempre avvenute grazie alla liberta’ di attingere al patrimonio culturale accumulato dalle generazioni precedenti, onde poterlo rielaborare creativamente […]
2) da quando esiste l’istituto della proprieta’ intellettuale – cioe’ dai primi del Settecento – i governi hanno sempre cercato di limitarne la durata temporale, allo scopo di equilibrare il diritto dei creatori di sfruttare economicamente – per un ragionevole periodo di tempo – i prodotti del proprio ingegno con il diritto dell’umanita’ di rientrare in possesso di tali prodotti per poterne inventare di nuovi.
Tutto questo finche’ gli interessi dell’industria culturale […] hanno indotto i governi a estendere a dismisura la durata e l’area di applicazione dei diritti di proprieta’ intellettuale, fino a scardinarne il senso e lo spirito originari: da garanzia temporale di equo profitto a garanzia di monopolio illimitato.
In questo modo […] siamo passati da un regime di cultura libera a un regime del permesso; ma un regime di questo genere evoca i diritti di esclusiva feudali piu’ che le leggi della libera concorrenza e del moderno mercato capitalistico, e’ il regno della rendita piuttosto che il regno del profitto.

Info:
https://www.puntopanto.it/2011/05/recensione-felici-e-sfruttati/
https://www.rifondazione.be/aurora/num30/A3020.pdf

Capitalismo/Schiavone

Aldo Schiavone – Sinistra! Un manifesto – Einaudi (2023)

Il capitale ha dovuto trasformarsi completamente (ricordiamo la vecchia lezione: esso non puo’ esistere se non rivoluzionando continuamente se’ stesso), e trasformandosi – con una specie di straordinario gioco di prestigio – ha letteralmente dissolto il suo antagonista storico.
Ha immesso cioe’ nei suoi processi produttivi tanta nuova tecnica (e innovazione scientifica), e si e’ orientato verso la produzione di merci cosi’ nuove – quasi tutte immateriali – da non aver piu’ bisogno, come prima, per sostenere l’economia di mercato e quindi per realizzare profitti, di grandi quantita’ di lavoro manuale.
Ha fatto scomparire cioe’ la classe operaia – o l’ha ridotta al minimo – dal cuore delle produzioni piu’ importanti, grazie sempre alla nuova tecnica, e ha costruito un diverso rapporto con i nuovi lavori, nello stesso modo in cui l’avvento del capitale industriale aveva fatto sparire i contadini dalla scena della grande storia.

Info:
https://www.huffingtonpost.it/blog/2023/02/14/news/schiavone_la_sinistra_il_passato_e_il_presente-11341021/
https://www.infinitimondi.eu/2023/03/08/tre-libri-recenti-3-sinistra-un-manifesto-di-aldo-schiavone-einaudi-2023-una-bolognina-trentanni-dopo-recensione-di-gianfranco-nappi/
https://www.marx21.it/cultura/un-manifesto-per-la-sinistra-una-lettura-critica-dellultimo-libro-di-aldo-schiavone/

Gren New Deal/Harari

Yuval Noah Harari – Homo Deus. Breve storia del futuro – Bompiani (2018)

Occupiamo una minuscola isola di coscienza circondata da un oceano forse illimitato di stati mentali che ci sono estranei.
Proprio come lo spettro visibile e quello sonoro sono molto piu’ ampi rispetto a cio’ che gli esseri umani riescono a vedere e a sentire, cosi’ la gamma degli stati mentali e’ ben piu’ estesa di quanto un essere umano medio percepisca. La luce a noi visibile ha una lunghezza d’onda compresa tra i 400 e i 700 nanometri. Al di sotto della ristretta banda del visibile si estendono i vasti domini dell’ultravioletto, dei raggi X e dei raggi gamma; al di sopra, quelli altrettanto vasti dell’infrarosso, delle microonde e delle onde radio.
Similmente, lo spettro dei possibili stati mentali potrebbe essere infinito, ma la scienza ne ha studiato solo due minuscole porzioni: quella della subnormalita’ e quella che rientra nella categoria descritta dall’acronimo WEIRD (acronimo di Western, Educated, Industrialised, Rich and Democratic – ovvero occidentali, istruite, industrializzate, ricche e democratiche) […]
La rivoluzione umanista fece si’ che la cultura occidentale moderna perdesse fiducia e interesse negli stati mentali superiori, e sacralizzasse invece le esperienze mondane dell’uomo comune. La cultura occidentale moderna rappresenta un unicum proprio perche’ manca di una classe specializzata di persone che cerchino di sperimentare stati mentali non ordinari. E ritiene che chiunque tenti di farlo sia un tossicodipendente, un malato di mente o un ciarlatano […]
Se prendessimo in considerazione tutte le specie umane esistite, ancora non riusciremmo – neppure lontanamente – ad abbracciare l’intero spettro della mente.
Con ogni probabilita’ altri animali hanno esperienze che noi umani non riusciamo nemmeno a immaginare. I pipistrelli, per esempio, fanno esperienza del mondo mediante l’ecolocazione […]
Proprio come nel mondo degli umani ogni oggetto ha una forma e un colore caratteristici, in quello dei pipistrelli ciascun oggetto ha il suo pattern di eco. Un pipistrello e’ in grado di riconoscere se una falena appartiene a una specie commestibile oppure a una velenosa […] Ecolocalizzare una falena che sbatte le ali e’ come vederla, oppure e’ qualcosa di completamente diverso? […]
Tuttavia, all’inizio del III millennio ci troviamo a fronteggiare una sfida di tipo completamente diverso, dal momento che l’umanesimo liberale cede il passo al tecno-umanesimo e la medicina e’ maggiormente incentrata, piu’ che sulla cura dei malati, sul miglioramento delle condizioni dei sani. Medici, ingegneri e clienti non vogliono piu’ soltanto risolvere problemi mentali: vogliono potenziare la mente.
Stiamo conquistando le abilita’ tecniche per iniziare a fabbricare nuovi stati di coscienza, e tuttavia ci manca una mappa per questi nuovi territori potenziali. E dal momento che conosciamo soprattutto lo spettro mentale normale o patologico delle persone WEIRD, non abbiamo idea di quali siano le mete verso le quali potremmo dirigerci

Info:
https://www.leggeredistopico.com/2022/06/08/recensione-homo-deus-breve-storia-del-futuro-di-yuval-noah-harari/
https://www.getstoryshots.com/it/books/homo-deus-summary/
https://claudiamorelli.it/innovazione-legale/recensione-homo-deus/

Lavoro/Ferrera

Maurizio Ferrera – La societa’ del Quinto stato – Laterza (2019)

I contemporanei mercati del lavoro possono essere suddivisi in quattro diversi comparti.
Il primo raggruppa i posti di lavoro a qualifiche medie e alte nei settori esposti alla concorrenza internazionale: caso tipico, l’industria manifatturiera. Nella misura in cui le imprese di un dato paese continuano a innovare e a penetrare i mercati esteri, i livelli di occupazione di questo primo comparto hanno la possibilita’ di rimanere stabili e persino di registrare qualche aumento.
A dispetto dei rivolgimenti interni, la manifattura italiana non ha ad esempio sofferto troppo durante la crisi e riesce ancora ad assorbire ogni anno una quota di giovani proporzionalmente piu’ alta rispetto alla Germania.
Il secondo comparto riguarda sempre i settori esposti, ma raggruppa i posti di lavoro a basse qualifiche. Sappiamo che la globalizzazione e soprattutto l’innovazione tecnologica non minacciano direttamente le qualifiche, ma le mansioni: vi sono dunque alcuni margini per riorganizzare i processi produttivi in modo da conservare almeno una parte dei posti di lavoro a rischio a causa dell’automazione e dei robot. Tuttavia simili riorganizzazioni consentono di rallentare, ma non di neutralizzare l’ineluttabile distruzione di posti di lavoro in questo secondo comparto […]
Gli altri due comparti riguardano i settori non (o scarsamente) esposti alla concorrenza estera e strettamente legati al contesto territoriale di riferimento.
Nel terzo troviamo le occupazioni ad alte e medie qualifiche nel settore pubblico (incluse sanita’ e istruzione) e in molti servizi privati rivolti sia direttamente alla popolazione residente (ad esempio banche e assicurazioni), sia alla valorizzazione e allo sfruttamento economico del territorio, in particolare tramite il turismo. Qui le prospettive di crescita occupazionale sono significative, ma dipendono dalle risorse disponibili per la pubblica amministrazione nonche’ dalla creazione di nuove filiere di servizi capaci di espandere la cosiddetta white economy (servizi sanitari e di cura) e la green economy (ambiente) […]
Nel quarto e ultimo comparto troviamo infine i rami bassi – in termini di qualifiche – della pubblica amministrazione e dei servizi non pubblici, inclusi quelli «di prossimita’» alle persone e alle famiglie.
Qui gli effetti delle nuove tecnologie saranno relativamente limitati (pensiamo all’assistenza sociale) e la globalizzazione non e’ una minaccia: si tratta infatti di servizi che non possono essere delocalizzati, esattamente come nel terzo comparto.
L’invecchiamento demografico e la crescente occupazione femminile, con le relative esigenze di conciliazione, alimenteranno la domanda di lavoro non particolarmente qualificato in vari settori: dalla ristorazione alla cura di anziani e bambini, dalla distribuzione commerciale alla fornitura di servizi a domicilio.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139790
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-societa-del-quinto-stato-di-maurizio-ferrera/
https://maurizioferrera.wordpress.com/2018/07/16/il-quinto-stato/
https://www.corriere.it/cultura/19_settembre_17/quinto-stato-serve-nuovo-welfare-proposte-maurizio-ferrera-585a6428-d96a-11e9-8812-2a1c8aa813a3.shtml

Lavoro/Fana

MartaFana, Simone Fana – Basta salari da fame – Laterza (2019)

Le innovazioni possono essere “di processo” quando tendono a modificare i processi produttivi e la loro organizzazione attraverso l’adozione di nuove tecniche o di nuove macchine prodotte in altri settori.
Si tratta di un tipo d’innovazione che riguarda principalmente la possibilita’ di competere abbattendo i costi del lavoro e non a caso gli effetti principali comportano non soltanto l’emergere di disoccupazione, ma anche salari piu’ bassi attraverso le riorganizzazioni interne e il processo di svalutazione della professionalita’ dei lavoratori.
Si parla invece di “innovazione di prodotto” quando nuovi prodotti (beni o servizi) vengono introdotti nel mercato.
Puo’ anche essere il caso che i nuovi prodotti generino un mercato fino ad allora inesistente: l’introduzione dei cellulari portatili, ad esempio.
Non significa che le innovazioni di prodotto non estraggano conoscenze umane a netto vantaggio dei profitti, ma esiste qualcosa oltre questo aspetto.
Generalmente le due strategie si intersecano e non necessariamente si escludono: molto spesso convivono nelle politiche aziendali […]
In generale, le innovazioni di processo sono quelle piu’ largamente diffuse e la loro gestione politica non ha nulla di realmente innovativo. Essa infatti risponde a un principio sviluppato e diventato egemonico agli inizi del Novecento: l’organizzazione scientifica del lavoro, detta “taylorismo”
dal nome del suo storico esponente, Frederick W. Taylor. Secondo questo principio il lavoro deve essere organizzato nel modo piu’ efficiente possibile e questo, nella visione di Taylor, significa esplicitamente controllarlo e dirigerlo, sostenendo laddove necessario anche i costi relativi all’introduzione di tecniche e metodi produttivi nuovi.
Le sue applicazioni sono infinite e non si limitano al vecchio sistema di fabbrica. L’esempio forse piu’ attuale o sicuramente piu’ discusso negli ultimi anni e’ quello della gia’ citata gig economy, in cui lo svolgimento della prestazione lavorativa attraverso tecnologie digitali non fa altro che migliorare le funzioni di supervisione e controllo dell’azione lavorativa.
Ma la capacita’ di sfruttare una nuova tecnica, quella digitale, per svolgere un’attivita’ per nulla nuova ne’ innovativa dal punto di vista del prodotto scambiato sul mercato produce non una novita’ tecnologica in se’ bensi’ una nuova organizzazione del lavoro in cui la maggior parte dei costi fissi sono a capo del lavoratore e non rappresentano piu’ costi di produzione per l’impresa. Quest’ultima impone ai lavoratori lo status di fornitori di servizi piuttosto che di dipendenti. Non sono questioni che attengono a singoli luoghi di lavoro e di produzione.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Lavoro/De Biase

Luca De Biase – Il lavoro del futuro – Codice (2018)

La tecnologia crea posti di lavoro o li distrugge?
Entrambe le risposte sono plausibili, perche’ il salto innovativo e’ enorme: e anche se internet, fissa e mobile, ha gia’ generato cambiamenti dirompenti in molti settori industriali, dall’editoria al commercio, dal turismo alle banche, la prossima ondata innovativa guidata dall’intelligenza artificiale e dalla robotica sembra destinata ad avere conseguenze ancora piu’ drastiche e ambigue.
Da un lato, la Commissione Europea fonda la propria policy sulla convinzione che il miglioramento nelle infrastrutture digitali e’ motivo di crescita: la modernizzazione delle connessioni internet e’ un investimento gigantesco che produrra’ quasi 1000 miliardi di euro di PIL in piu’ e 1,3 milioni di posti di lavoro entro il 2025.
D’altro lato, pero’, non manca chi vede proprio nelle tecnologie digitali una causa della distruzione di posti di lavoro, preoccupazione alimentata per esempio da una ricerca – di notorieta’ superiore alla sua ambizione analitica – condotta da Carl Benedikt Frey e Michael A. Osborne, dell’Universita’ di Oxford, che nel 2013 annunciava la probabile scomparsa del 47 per cento dei posti di lavoro statunitensi nei prossimi dieci-vent’anni […]
Ma vale la pena di ricordare che per Keynes le nazioni in cui la tecnologia distrugge piu’ posti di lavoro di quanti ne crea sono quelle non all’avanguardia del progresso tecnologico. Puo’ esserci una «disoccupazione tecnologica», sosteneva l’economista, ma a causa delle dinamiche competitive questa finisce per affliggere soprattutto chi innova di meno, perche’ crea meno posti.
L’Italia e’ costretta a riflettere su questo punto.
A dieci anni dall’inizio della crisi finanziaria la disoccupazione nei Paesi OCSE e’ tornata ai livelli pre-2007-2008, ma in alcune economie resta sensibilmente peggiore. E tra queste economie c’e’ anche quella italiana.
L’Italia, peraltro, come registra lo “scoreboard” dell’agenda digitale europea, resta tra i Paesi meno avanzati in termini di digitalizzazione, e quindi di innovazione, dei processi amministrativi e imprenditoriali, sia per l’arretratezza delle infrastrutture sia per l’immaturita’ culturale e l’analfabetismo funzionale che la pervade, con uno stravolgente 47 per cento di persone che sanno leggere ma non capiscono bene quello che leggono.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/lavoro-del-futuro-luca-de-biase/
https://opentalk.iit.it/rubrica-book-review-il-lavoro-del-futuro/

Lavoro/De Biase

Luca De Biase – Il lavoro del futuro – Codice (2018)

Si delineano alcune evidenze:
1. C’è un disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Ma se chi non innova perde occupazione, chi innova puo’ crearne.
2. Per ora, l’intelligenza artificiale non riduce il lavoro, anzi ne crea. Ma alcune tecnologie eliminano posti in fretta e creano occupazione lentamente.
3. La lentezza e’ dovuta al fatto che per usare bene il digitale occorre una cultura nuova.
4. Per adattare il modo di pensare alla grande trasformazione non occorre tanto “flessibilita’”, quanto “strategia” progettuale.
5. Un’azienda che coinvolge i collaboratori nel progetto di migliorare la produttivita’ e creare prodotti straordinari puo’ crescere, automatizzare la produzione e aumentare l’occupazione.
6. Le aziende innovative tendono sempre meno a comprare il tempo delle persone e sempre piu’ a comprare la loro capacita’ di realizzare progetti.
7. Esiste una tendenza alla polarizzazione: da una parte, persone con elevate conoscenze e ottimi risultati economici; dall’altra, lavoratori con capacita’ e reddito limitati.
8. Mentre le grandi aziende tendono a espellere manodopera alle dirette dipendenze, possono candidarsi come abilitatori di ecosistemi capaci di sviluppare piu’ posti di lavoro.
9. Due scenari si consolidano: a) le piattaforme parcellizzano il lavoro in microattivita’ sottopagate e b) servono alla cooperazione necessaria per generare beni comuni.
10. Occorre una formazione che specializzi e nello stesso tempo apra la mente alla consapevolezza del cambiamento.
11. L’ambito nel quale si progettano e realizzano le soluzioni piu’ concrete e’ quello territoriale. Con la partecipazione di imprese, universita’, enti locali.
12. Per affrontare il futuro occorre saper cambiare, mantenendo pero’ una direzione di fondo: ci si prepara ibridando i saperi e assorbendo in profondita’ le materie fondamentali.
13. Anche i direttori delle risorse umane si modernizzano, e lo fanno guardando al lungo termine: come si investe nelle macchine, si deve investire nelle persone.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/lavoro-del-futuro-luca-de-biase/
https://opentalk.iit.it/rubrica-book-review-il-lavoro-del-futuro/

Stato/Mazzucato

Mariana Mazzucato – Lo stato innovatore – Laterza (2014)

Lo Stato non dev’essere visto soltanto come qualcosa che si «intromette», e nemmeno come qualcosa che si limita a «facilitare» la crescita economica.
Lo Stato e’ un partner fondamentale del settore privato, e spesso un partner piu’ audace, disposto a prendersi rischi che le imprese non si prendono.
Non puo’ e non deve piegarsi facilmente alle pressioni di gruppi di interesse che chiedono sovvenzioni, rendite e privilegi non necessari, come ad esempio riduzioni delle tasse: deve cercare al contrario di fare in modo che questi gruppi di interesse collaborino in maniera dinamica con le istituzioni pubbliche per perseguire la crescita e il progresso tecnico […]
Quando lo Stato non e’ sicuro dei propri mezzi, e’ piu’ facile che venga «catturato» e piegato a interessi privati.
Quando rinuncia ad assumere un ruolo guida, lo Stato non rappresenta piu’ un’alternativa reale al settore privato, ma un cattivo imitatore dei comportamenti di quest’ultimo.
E le accuse allo Stato di essere lento e burocratico sono piu’ verosimili in quei paesi che lo confinano a un ruolo puramente «amministrativo»

Info:
https://www.anobii.com/books/Lo_Stato_innovatore/9788858113332/01b596b6e85e38699c
https://www.pandorarivista.it/articoli/lo-stato-innovatore-di-mariana-mazzucato/
https://www.libreriavolare.it/recensioni-libri/saggistica/lo-stato-innovatore/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858113332