Economia di mercato/Hickel

Jason Hickel – Siamo ancora in tempo! Come una nuova economia puo’ salvare il pianeta – il Saggiatore (2021)

Le nostre «democrazie» in realta’ non sono molto democratiche. Con la sperequazione crescente nella distribuzione del reddito, il maggiore potere economico dei piu’ ricchi si e’ tradotto direttamente in maggiore potere politico.
Le elite sono riuscite ad appropriarsi dei nostri sistemi democratici.
Questa tendenza la vediamo con particolare chiarezza negli Stati Uniti, dove le grandi aziende hanno il diritto di spendere somme di denaro illimitate per la propaganda politica, e dove esistono poche restrizioni alle donazioni ai partiti politici.
Queste misure, giustificate invocando il principio della «liberta’ di parola», rendono complicato per i politici vincere elezioni senza il supporto diretto di grandi aziende e miliardari, e questo li spinge ad allinearsi con le preferenze delle classi dominanti in materia di politica economica.
Come se non bastasse, le grandi aziende e i ricchi spendono somme di denaro strabilianti per esercitare pressioni sui governi.
Nel 2010 sono stati spesi per azioni di lobbying 3,55 miliardi di dollari, contro 1,45 miliardi nel 1998.
E i risultati si vedono: uno studio ha riscontrato che il denaro speso per esercitare pressioni sui parlamentari statunitensi ha fruttato un ritorno economico fino a 22000 volte tanto, sotto forma di agevolazioni fiscali e profitti derivanti da trattamenti preferenziali.
Il risultato di tutto questo e’ che gli interessi delle elite economiche negli Stati Uniti prevalgono quasi sempre nelle decisioni di politica economica del governo, anche quando la stragrande maggioranza dei cittadini non le condivide.
Da questo punto di vista, gli Stati Uniti assomigliano a una plutocrazia, piu’ che a una democrazia.
Il Regno Unito mostra tendenze analoghe, anche se per ragioni diverse (e piu’ antiche). Il centro finanziario e potenza economica del paese, la City di Londra, gode storicamente di immunita’ da molte delle leggi democratiche della nazione e rimane libera dalla supervisione del Parlamento. Il potere di voto nel consiglio della City e’ concesso non solo ai residenti, ma anche alle imprese: e piu’ l’impresa e’ grande, piu’ voti detiene, fino a 79 per le piu’ importanti. Nel Parlamento, la Camera dei lord non e’ eletta ma nominata, con 92 seggi ereditati da famiglie aristocratiche, 26 riservati alla Chiesa d’Inghilterra e molti altri «venduti» a personaggi facoltosi in cambio di generose donazioni elettorali.
Tendenze plutocratiche analoghe le possiamo osservare nel caso della finanza. Una fetta rilevante delle azioni con diritti di voto e’ controllata da enormi fondi di investimento come BlackRock e Vanguard, organismi che non hanno nessuna legittimazione democratica.
Un numero ristretto di individui decide come usare il denaro di tutti gli altri ed esercita un’influenza smisurata sulle pratiche delle aziende, spingendole a dare la priorita’ ai profitti ignorando i problemi sociali ed ecologici. Poi ci sono i media: nel Regno Unito, tre societa’ controllano oltre il 70% del mercato dei quotidiani, e la meta’ e’ nelle mani di Rupert Murdoch; negli Stati Uniti, sei societa’ controllano il 90% di tutti i mezzi di informazione.
È praticamente impossibile avere un dibattito realmente democratico sull’economia in queste condizioni.

Info:
https://oggiscienza.it/2021/05/08/siamo-ancora-in-tempo-jason-hickel/
https://www.ilsaggiatore.com/wp-content/uploads/2021/04/2021_04_20-Manifesto-Hickel.pdf
https://www.linkiesta.it/2021/03/salvare-il-pianeta-rapporto-natura/

Capitalismo/Hickel

Jason Hickel – The divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale – il Saggiatore (2018)

Margaret Thatcher, che si ispirava a Milton Friedman, applico’ molte delle stesse politiche in Gran Bretagna nello stesso esatto momento: tassi di interesse alti per contenere l’inflazione, tassazione regressiva (come la poll tax – imposta di capitazione – del 1989) e deregolamentazione finanziaria spinta.
La Thatcher si concentro’ soprattutto sulla guerra contro i sindacati, che secondo lei impedivano all’economia di operare in modo efficiente: nel 1985 sconfisse il Sindacato nazionale dei minatori dopo una battaglia senza esclusione di colpi, e introdusse leggi per limitare i diritti dei lavoratori. Opero’ anche drastici tagli della spesa pubblica e privatizzo’ (il pezzo forte della sua politica economica) gran parte delle famose aziende pubbliche del paese, come la British Petroleum, la British Airways e la Rolls-Royce, oltre a molti servizi pubblici, tra cui l’acqua e l’energia elettrica.
Queste politiche portarono la disuguaglianza sociale a livelli mai visti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna.
La produzione cresceva costantemente mentre i salari rimanevano al palo, spostando, di fatto, una quota enorme dei profitti dai lavoratori ai proprietari del capitale.
I salari degli amministratori delegati crebbero mediamente del 400 per cento durante gli anni novanta, mentre quelli dei lavoratori di meno del 5 per cento, e negli Stati Uniti il salario minimo scese di oltre il 9 per cento.
La quota del reddito nazionale intercettata dagli strati piu’ alti della societa’ cresceva anch’essa a un ritmo allarmante: negli Stati Uniti, quella dell’1 per cento piu’ ricco e’ aumentata di oltre il doppio, passando dall’8 per cento del 1980 al 18 per cento di adesso; piu’ o meno lo stesso e’ successo in Gran Bretagna, dove la quota dei piu’ ricchi, nello stesso periodo, e’ passata dal 6,5 al 13 per cento.
Secondo i dati del censimento degli Stati Uniti, il 5 per cento piu’ ricco delle famiglie americane ha visto aumentare il proprio reddito del 72,7 per cento dal 1980 a oggi, mentre il reddito della famiglia mediana e’ rimasto fermo e il quintile piu’ povero ha visto il proprio reddito calare del 7,4 per cento.
In altre parole, la controrivoluzione neoliberista ci ha riportati a livelli di disuguaglianza che non si vedevano dai tempi della Grande depressione. Il tutto con buona pace dell’effetto trickle-down.
Come si e’ visto, rendere i ricchi piu’ ricchi non rende piu’ ricchi tutti gli altri

Info:
https://www.ibs.it/the-divide-guida-per-risolvere-libro-jason-hickel/e/9788842824961/recensioni
https://www.culturamente.it/libri/politica-economica-jason-hickel/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/the-divide/

Capitalismo/Hickel

Jason Hickel – The divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale – il Saggiatore (2018)

Ricordate che la Campagna del millennio aveva spostato indietro, al 1990, l’anno di riferimento, per poter rivendicare i successi della Cina nella lotta alla poverta’?
Bene, che cosa succede se eliminiamo la Cina dall’equazione? Succede che scopriamo che la poverta’ nel mondo, negli anni ottanta e novanta, proprio quando la Banca mondiale stava imponendo i programmi di aggiustamento strutturale in gran parte dei paesi del Sud del mondo, in realta’ e’ aumentata.
Oggi, il numero delle persone che versano in condizioni di poverta’ estrema e’ esattamente lo stesso del 1981: poco piu’ di un miliardo.
In altre parole, mentre la narrazione edificante ci induce a credere che la poverta’ sia diminuita in tutto il mondo, in realta’ gli unici posti dove si e’ effettivamente registrato un calo sono la Cina e l’Asia orientale.
Ed e’ un punto cruciale , perche’ quei paesi sono fra i pochi nel pianeta in cui il capitalismo liberista non e’ stato imposto con la forza dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale. In tutto il resto del mondo la poverta’ e’ rimasta uguale o e’ addirittura peggiorata, nel complesso. E questo continua a essere evidente, nonostante i tentativi della Banca mondiale di adulterare le cifre.

Info:
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Capitalismo/Hickel

Jason Hickel – The divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale – il Saggiatore (2018)

La Banca mondiale e il Fmi godono di uno status speciale di «immunita’».
Negli Stati Uniti lo rivendicano sulla base della legge del 1945 sull’immunita’ delle organizzazioni internazionali, introdotta per concedere ai diplomatici e alle organizzazioni internazionali come la Croce rossa e le Nazioni Unite l’immunita’ da azioni legali nello stato ospitante, in modo che possano svolgere le loro funzioni senza subire interferenze […]
Nessuno puo’ citarli in giudizio, nemmeno quando le politiche che attuano provocano danni colossali.
Il risultato e’ che non hanno alcun incentivo a usare cautela quando manipolano la politica macroeconomica di altri paesi, perche’ anche se causano uno sconquasso non subiscono conseguenze. Il rischio e’ interamente a carico del paese debitore, al quale e’ negato qualsiasi mezzo per presentare ricorso o richiesta di indennizzo in caso di disastro […]
Il modo in cui queste due istituzioni sono governate. In entrambe, la distribuzione del potere di voto e’ proporzionale alla quota sottoscritta da ciascuno stato membro, come nelle grandi aziende. Le decisioni importanti richiedono l’85 per cento dei voti. Non a caso, gli Stati Uniti detengono circa il 16 per cento delle quote in entrambe le istituzioni e dispongono pertanto, di fatto, di un potere di veto. Subito dopo, i maggiori possessori di quote sono Francia, Germania, Giappone e Regno Unito, tutti membri del G7. I paesi a medio e a basso reddito, che sommati insieme rappresentano circa l’85 per cento della popolazione mondiale, controllano soltanto il 40 per cento circa dei voti.
In altre parole, anche se tutti i paesi del Sud del mondo si unissero contro una linea programmatica del Fmi e della Banca mondiale, non potrebbero bloccarla.
E il fatto che i vertici delle due istituzioni non siano eletti, ma nominati dagli Stati Uniti e dall’Europa, naturalmente non aiuta: in base a un accordo non scritto, il presidente della Banca mondiale e’ sempre americano e il presidente del Fmi e’ sempre europeo.

Info:
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Geoeconomia/Hickel

Jason Hickel – The divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale – il Saggiatore (2018)

L’industria dello sviluppo ama riferirsi ai paesi poveri con un aggettivo dal significato passivo, sottosviluppati.
Ma forse sarebbe piu’ accurato adottare un verbo transitivo, sottosviluppare, cioe’ l’azione di una potenza esterna che impedisce, cancella o inverte lo sviluppo di una nazione povera.
Dopotutto, come vedremo, non e’ che la poverta’ sia qualcosa che semplicemente esiste: la poverta’ e’ stata creata […]
Alla fine del 2016, la Global Financial Integrity, una Ong americana, e il Centro di ricerca applicata della Norwegian School of Economics hanno pubblicato alcuni dati che cambiano completamente la nostra prospettiva. Hanno calcolato tutte le risorse finanziarie trasferite ogni anno fra paesi ricchi e paesi poveri: non solo aiuti, investimenti esteri e flussi commerciali, come avevano fatto studi precedenti, ma anche altri tipi di trasferimenti, come remissioni del debito, rimesse degli emigranti e fughe di capitali.
E’ la valutazione di trasferimenti di risorse piu’ esaustiva che sia stata fatta finora. Il risultato e’ che nel 2012, l’ultimo anno per cui erano disponibili dati, i paesi in via di sviluppo hanno ricevuto poco piu’ di 2000 miliardi di dollari, compresi tutti gli aiuti, investimenti e redditi dall’estero. Nello stesso anno, pero’, piu’ del doppio di quella cifra, qualcosa come 5000 miliardi di dollari, ha seguito il percorso inverso.
In pratica, i paesi in via di sviluppo hanno «inviato» al resto del mondo 3000 miliardi di dollari in piu’ rispetto a quelli che hanno ricevuto […]
In che cosa consistono questi enormi deflussi?
Una parte e’ rappresentata dai pagamenti degli interessi sul debito. Oggi i paesi poveri pagano ogni anno oltre 200 miliardi di dollari solo in interessi a creditori esteri, per la maggior parte relativi a vecchi prestiti che sono gia’ stati largamente rimborsati e in parte relativi a prestiti accumulati da dittatori avidi […]
Un altro apporto significativo e’ rappresentato dal reddito che gli stranieri incassano dai loro investimenti nei paesi in via di sviluppo, e che si riportano in patria. Pensate a tutti i profitti che ricava la Shell dalle riserve petrolifere della Nigeria, per esempio […]
Poi ci sono i profitti che i cittadini europei e americani ottengono dagli investimenti in azioni e obbligazioni del Sud del mondo, attraverso i loro fondi pensione […]
Ma la fetta dei deflussi di gran lunga piu’ grande e’ quella relativa alle fughe di capitali […]
3000 miliardi di dollari di deflussi netti totali annui sono una somma ventiquattro volte superiore agli stanziamenti annuali per gli aiuti. In pratica, per ogni dollaro di aiuti che ricevono, i paesi in via di sviluppo ne perdono ventiquattro in deflussi netti. Naturalmente, si tratta di una cifra totale: per alcuni paesi la proporzione e’ maggiore, per altri minore. Ma in tutti i casi i deflussi netti privano i paesi in via di sviluppo di un’importante fonte di entrate e finanziamenti che potrebbero essere impiegati per lo sviluppo.

Info:
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Economia di mercato/Hickel

Jason Hickel – The divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale – il Saggiatore (2018)

Ancora oggi la storia dello sviluppo continua a esercitare una forza irresistibile nella nostra societa’.
La si incontra ovunque si volga lo sguardo: nei negozi equi e solidali come quelli della Oxfam e della Traid, negli spot televisivi di Save the Children e della World Vision, nei rapporti annuali pubblicati dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale e ogni volta che guardiamo la classifica delle nazioni del mondo in base al Pil.
La sentiamo ripetere da rockstar come Bono e Bob Geldof, da miliardari come Bill Gates e George Soros, da attrici come Madonna e Angelina Jolie, con i suoi abiti coloniali e uno stuolo di bambini africani accalcati smaniosamente intorno a lei […]
Lo sviluppo e’ ovunque. E si porta dietro i suoi rituali, a cui possono partecipare milioni e milioni di persone: comprare scarpe Toms, donare qualche dollaro al mese per adottare a distanza un bambino dello Zambia o sacrificare le vacanze estive per fare volontariato in Honduras.
Forse non sarebbe esagerato dire che prima o poi quasi tutti, nel mondo occidentale, si sono imbattuti nella storia dello sviluppo, o addirittura vi hanno preso parte. E’ onnipresente.
Ed e’ diventata un’industria enorme, che vale centinaia di miliardi di dollari, quanto tutti i profitti di tutte le banche degli Stati Uniti messi assieme […]
L’industria dello sviluppo ha ripetutamente fallito nel mantenere le sue grandi promesse di «porre fine alla fame nel mondo» o «rendere la poverta’ un ricordo del passato» […]
Prendiamo la fame, per esempio. Nel 1974, al primo vertice delle Nazioni Unite sull’alimentazione a Roma, il segretario di Stato americano Henry Kissinger promise che la fame sarebbe stata debellata entro un decennio. All’epoca nel mondo c’erano circa 460 milioni di persone che soffrivano la fame. Ma invece di scomparire, la fame e’ aumentata costantemente: oggi, secondo le stime piu’ prudenti, ci sono circa 800 milioni di persone nel mondo che patiscono la fame, mentre quelle piu’ realistiche parlano di circa 2 miliardi di persone, quasi un terzo dell’umanita’ […]
E la poverta’? Da molti anni, l’industria dello sviluppo ci dice che la poverta’ assoluta e’ in declino costante. Nel 2015 le Nazioni Unite hanno pubblicato il rapporto finale sugli Obiettivi di sviluppo del millennio – il primo importante impegno pubblico a livello mondiale per ridurre la poverta’ –, in cui si sosteneva che il tasso di poverta’ era stato dimezzato rispetto al 1990. Questa incoraggiante versione ufficiale e’ rimbalzata attraverso i media ed e’ stata ripetuta all’infinito dalle Ong. Ma e’ molto fuorviante: in primo luogo perche’ gran parte dei progressi nella lotta alla poverta’ riguarda un solo paese, la Cina; in secondo luogo perche’ questa versione incoraggiante si basa su percentuali e non su numeri assoluti. Se prendiamo in considerazione i numeri assoluti – il parametro su cui i governi mondiali originariamente si erano accordati per misurare i progressi –, vediamo che la diffusione della poverta’ e’ esattamente la stessa del 1981, quando sono iniziate le misurazioni: circa un miliardo di persone. In questi trentacinque anni non c’è stato alcun miglioramento […]
E nel frattempo la disuguaglianza e’ esplosa. Nel 1960, alla fine del colonialismo, il reddito pro capite del paese piu’ ricco era trentadue volte superiore a quello del paese piu’ povero: un divario notevole. L’industria dello sviluppo ci ha detto che questa differenza si sarebbe ridotta, ma cosi’ non e’ stato: al contrario, nei quattro decenni successivi e’ piu’ che quadruplicata, arrivando, nel 2000, a un rapporto di 134 a 1.

Info:
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Societa’/Hickel

Jason Hickel – The divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale – il Saggiatore (2018)

La carita’ non solo distoglie la nostra attenzione dalle cause ultime della poverta’ – dal marciume al centro del sistema –, ma nasconde anche la natura del problema di quelli che ne soffrono.
La beneficenza puo’ compromettere la capacita’ di una persona di sfidare direttamente le forze che sono alla base della sua mortificazione, e privarla della capacita’ di agire a livello politico. Smussando le contraddizioni di un sistema profondamente imperfetto, consente a quel sistema di andare avanti ancora un po’.
Di solito le organizzazioni umanitarie agiscono in buona fede, ma a volte gli aiuti sono concepiti espressamente per raggiungere questo scopo. Alcuni studiosi sottolineano che gli aiuti alimentari occidentali, per esempio, vengono ponderati con attenzione per prevenire le carestie peggiori e garantire alle persone quantomeno le calorie sufficienti a rimanere in vita, altrimenti le ingiustizie del sistema economico globale sarebbero cosi’ evidenti da far crollare la sua legittimita’ e provocare quasi certamente terremoti politici […]
Nella misura in cui la carita’ e’ resa possibile dall’accumulazione di ricchezza in eccesso, non puo’ mai essere una soluzione concreta, per il semplice fatto che i processi attraverso i quali si accumula la ricchezza sono gli stessi che producono la poverta’.

Info:
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Economia di mercato/Hickel

Jason Hickel – Siamo ancora in tempo. Come una nuova economia puo’ salvare il pianeta – il Saggiatore (2021)

Il problema non e’ solo la disuguaglianza di reddito, e’ anche la disuguaglianza di ricchezza.
Negli Stati Uniti, per esempio, l’1% piu’ ricco possiede quasi il 40% della ricchezza nazionale. Il 50% piu’ povero non ha quasi nulla, solo lo 0,4%.
A livello mondiale, le disparita’ sono ancora piu’ accentuate: l’1% piu’ ricco ha quasi il 50% della ricchezza mondiale.
Il problema con questo tipo di disuguaglianza e’ che i ricchi diventano rentier estrattivi. I soldi e le proprieta’ che accumulano, largamente superiori a quelli che potrebbero mai usare, li affittano (proprieta’ residenziali o commerciali, licenze di brevetti, prestiti, qualunque cosa). E poiche’ hanno un monopolio su queste cose, tutti gli altri sono costretti a pagare loro affitti e debiti.
E’ quello che viene chiamato «reddito passivo», perche’ entra automaticamente nelle tasche delle persone che detengono il capitale, senza il minimo sforzo da parte loro. […]
E’ come una moderna servitu’ della gleba. E proprio come la servitu’ della gleba, ha gravi implicazioni per il nostro mondo vivente.
La servitu’ della gleba era un disastro ecologico, perche’ i signori costringevano i contadini a estrarre dalla terra piu’ di quello di cui avevano bisogno solo allo scopo di versare i tributi, determinando una progressiva degradazione delle foreste e dei suoli.
Oggi va allo stesso modo: ci costringono a saccheggiare la Terra soltanto per pagare tributi a milionari e miliardari […]
Nessuno «merita» fortune di queste proporzioni. Non e’ una ricchezza che si sono guadagnati, l’hanno estratta: dai lavoratori sottopagati, dalla natura senza dare nulla in cambio, dalle rendite, sfruttando la politica e cosi’ via […]
Dovremmo avere un dibattito democratico su questo tema: qual e’ il punto oltre il quale l’accumulazione di denaro diventa distruttiva e inaccettabile? Cento milioni di dollari? Dieci milioni? Cinque milioni?

Info:
https://oggiscienza.it/2021/05/08/siamo-ancora-in-tempo-jason-hickel/
https://www.ilsaggiatore.com/wp-content/uploads/2021/04/2021_04_20-Manifesto-Hickel.pdf
https://www.linkiesta.it/2021/03/salvare-il-pianeta-rapporto-natura/

Capitalismo/Hickel

Jason Hickel – Siamo ancora in tempo! Come una nuova economia puo’ salvare il pianeta – il Saggiatore (2021)

Considerate che, per portare tutti i cittadini del mondo al di sopra della soglia di poverta’ di 7,40 dollari al giorno e fornire a ogni persona nel Sud del mondo assistenza sanitaria pubblica universale a un livello equivalente a quello del Costa Rica, sarebbero necessari circa 10 000 miliardi di dollari.
E’ un importo considerevole, in apparenza. Ma e’ soltanto la meta’ del reddito annuo dell’1% piu’ ricco. Trasferendo 10 000 miliardi di dollari dell’eccesso di reddito annuo dall’1% piu’ ricco ai poveri del mondo, potremmo porre fine alla poverta’ in un attimo ed elevare l’aspettativa di vita nel Sud del mondo a ottant’anni, eliminando cosi’ il divario sanitario globale.
All’1% più ricco resterebbe comunque un reddito familiare medio annuo superiore a un quarto di milione di dollari: piu’ di quanto chiunque possa mai avere ragionevolmente bisogno e quasi otto volte superiore al reddito familiare mediano in Gran Bretagna.
E stiamo parlando soltanto del reddito; non abbiamo nemmeno sfiorato la ricchezza.
L’1% piu’ ricco ha accumulato un patrimonio di 158 000 miliardi di dollari, quasi la meta’ della ricchezza complessiva globale.

Info:
https://oggiscienza.it/2021/05/08/siamo-ancora-in-tempo-jason-hickel/
https://www.ilsaggiatore.com/wp-content/uploads/2021/04/2021_04_20-Manifesto-Hickel.pdf
https://www.linkiesta.it/2021/03/salvare-il-pianeta-rapporto-natura/

Green New Deal/Hickel

Jason Hickel – Siamo ancora in tempo! Come una nuova economia puo’ salvare il pianeta – il Saggiatore (2021)

Per cinquecento anni il capitalismo ha fondato le sue fortune sull’estrazione di risorse dalla natura.
Ha sempre avuto bisogno di un «fuori», esterno a esso, da cui depredare valore senza pagare, senza offrire in cambio nulla di equivalente.
E’ questo che alimenta la crescita. Imporre un limite all’estrazione e allo spreco di materiali sostanzialmente equivale ad ammazzare la gallina dalle uova d’oro […]
Ogni volta che sembra esserci un conflitto fra ecologia e crescita, economisti e politici optano per quest’ultima e sperimentano modi sempre piu’ creativi per indurre la realta’ a conformarsi alla crescita […] Nessuna di queste persone si preoccupa mai di giustificare la propria premessa di fondo, cioe’ l’assunto che continuare a espandere l’economia anno dopo anno, per sempre, sia necessario.
E’ una cosa che viene semplicemente recepita come un articolo di fede […]
Ma se questo assunto fosse sbagliato? Se i paesi ad alto reddito non avessero bisogno della crescita? Se fosse possibile migliorare il benessere umano senza dovere per forza espandere l’economia? Se fosse possibile generare tutte le innovazioni di cui abbiamo bisogno per una rapida transizione alle energie rinnovabili senza un solo dollaro di Pil in più? Se invece di cercare disperatamente di disaccoppiare il Pil dall’uso di risorse ed energia fosse possibile disaccoppiare il progresso umano dal Pil? Se riuscissimo a trovare una strada per liberare la nostra civilta’, e il nostro pianeta, dai vincoli dell’imperativo della crescita? Se siamo pronti a immaginare favole fantascientifiche frutto di mere ipotesi per continuare a spingere avanti la macchina dell’economia esistente, allora perche’ non provare a immaginare semplicemente un tipo di economia completamente diverso?

Info:
https://oggiscienza.it/2021/05/08/siamo-ancora-in-tempo-jason-hickel/
https://www.ilsaggiatore.com/wp-content/uploads/2021/04/2021_04_20-Manifesto-Hickel.pdf
https://www.linkiesta.it/2021/03/salvare-il-pianeta-rapporto-natura/