Carlo Formenti – La variante populista. Lotta di classe nel neoliberismo – Derive Approdi (2016)
[Sul] cosiddetto commercio «equo e solidale». L’obiettivo di questo movimento e’ decisamente ambizioso: si propone infatti di cambiare le regole del commercio internazionale riequilibrandole a favore dei paesi poveri.
Cio’ dovrebbe avvenire promuovendo nuove forme di partnership commerciale basate sul dialogo, la trasparenza e il rispetto reciproci in modo, da perseguire relazioni piu’ eque fra i partner. Il ruolo del «nemico» e’ incarnato dalle grandi catene commerciali dei paesi ricchi, le quali, nella misura in cui esercitano un controllo oligopolistico sulle catene internazionali di intermediazione, riescono a massimizzare (e a trasformare in profitto) il valore aggiunto della merce acquistata dal consumatore finale.
Per contrastarne il dominio ci si impegna ad attivare canali di scambio diretti fra produttori e consumatori onde garantire i diritti dei lavoratori e produttori del sud, offrire loro redditi piu’ elevati e promuovere uno sviluppo sostenibile, impedendo l’espropriazione di enormi aree di terreno coltivabile e la loro trasformazione in monocolture gestite con tecnologie inquinanti (antiparassitari, Ogm, ecc) […]
Il movimento e’ diviso in due grandi filoni: il modello integrato e quello basato sulla certificazione del prodotto. Il primo e’ quello rimasto fedele al progetto iniziale di attivare reti di relazioni dirette fra produttori e consumatori, reti che si autofinanziano, utilizzano varie forme di volontariato, coinvolgono il piu’ possibile i produttori nella gestione delle varie attivita’, ecc. Si tratta di un modello destinato, per forza di cose, a non superare certe dimensioni e a restare confinato in una serie di nicchie di cultura alternativa.
Il secondo modello, essendosi posto l’obiettivo di raggiungere il maggior numero possibile di consumatori, ha dovuto scendere a patti con il diavolo, si e’ cioe’ alleato con la grande distribuzione per fare approdare i prodotti del commercio equo e solidale sui suoi scaffali. Si tratta di un’evoluzione analoga a quella subita dai prodotti «biologici»: il dispositivo della certificazione neutralizza di fatto la connotazione «alternativa» dei prodotti, trasformandoli in marchi commerciali come tutti gli altri: il marketing trionfa sull’ideologia.
Le conseguenze di tale processo non sono solo culturali: il successo del marchio equo e solidale, al pari di quello del marchio bio, fa crescere la domanda, e la crescita della domanda impone di adottare gli stessi metodi produttivi dei prodotti normali per poter competere con loro (il che ha determinato l’inclusione di grandi piantagioni nelle reti del movimento, con buona pace dell’obiettivo di sostenere i piccoli produttori). Cosi’ le imprese multinazionali possono appuntarsi medaglie politicamente corrette e santificarsi agli occhi del consumatore […]
Per concludere: il commercio equo e solidale puo’ essere considerato un’alternativa globale alla globalizzazione neoliberista? No […] perche’ buona parte del valore aggiunto (anche se in misura minore che nei circuiti commerciali mainstream) va al nord, mentre nelle tasche dei produttori resta relativamente poco; e no perche’, al di la’ delle buone intenzioni, il suo risultato e’ stato, nella migliore delle ipotesi, quello di proteggere i produttori e le loro famiglie dalla poverta’ estrema, senza farli pero’ uscire veramente dalla poverta’, nella peggiore, quello di indurre alcuni ricchi di buona volonta’ a lavorare inconsapevolmente per la propria categoria, invece che per i poveri che si illudono di aiutare. Analoghe considerazioni valgono per tutte le pratiche che credono di poter cambiare il mondo facendo leva sulle persone «di buona volonta’»
Info:
https://sinistrainrete.info/teoria/9639-alessandro-visalli-la-variante-populista-di-formenti.html
https://www.lacittafutura.it/cultura/la-variante-populista-secondo-formenti