Lavoro/Fazi

Thomas Fazi, Guido Iodice – La battaglia contro l’Europa. Come un’elite ha preso in ostaggio un continente. E come possiamo riprendercelo – Fazi (2016)

Due strumenti intesi a contrastare il crescente impoverimento della societa’ sono il reddito di cittadinanza e il reddito minimo garantito.
Il primo consiste nel garantire un reddito incondizionato, universale e illimitato nel tempo a tutti i residenti, indipendentemente dalla condizione lavorativa del soggetto; il secondo – gia’ diffuso, in forme diverse, in vari Stati europei – verrebbe invece devoluto solo a chi dispone di un reddito inferiore a una determinata soglia ritenuta di poverta’, dunque ai working poor (coloro che pur disponendo di un lavoro retribuito vivono in ristrettezze economiche) e ai disoccupati, per un periodo temporale definito e condizionato dall’effettiva attivita’ di ricerca lavorativa. Inoltre, il reddito minimo non e’ solitamente garantito su base individuale ma assegnato sulla base dei redditi dell’intero nucleo familiare […]
I due strumenti, a prima vista simili, sono in realta’ radicalmente diversi, e per questo al centro di un acceso dibattito in ambito politico e accademico: la differenza fondamentale del reddito di cittadinanza rispetto al reddito minimo garantito consiste nel fatto che, laddove quest’ultimo si inserisce nella logica dei sistemi di welfare oggi esistenti (generalmente finalizzati a ridurre la poverta’ nei periodi di disoccupazione), il reddito di cittadinanza si inserisce in un paradigma radicalmente diverso, in cui il reddito viene di fatto sganciato dal lavoro.
Secondo i fautori della proposta, questo avrebbe il beneficio, tra le altre cose, di favorire lo sviluppo di tutti quei “lavori” che sono svincolati dalla logica del mercato, tra cui quello degli artisti, dei genitori e dei volontari; secondo i critici, invece, il reddito di cittadinanza, oltre ad andare a beneficio di una larga fetta della popolazione che non ne ha bisogno, avrebbe l’effetto di “depotenziare” la battaglia per una piu’ equa ripartizione dei profitti in ambito lavorativo, prefigurandosi dunque come una forma di “elemosina sociale” finalizzata a portare avanti il processo di svalutazione del lavoro in corso.
Entrambe le posizioni hanno le loro ragioni e i loro torti e meritano di essere approfondite.

Info;
https://fazieditore.it/catalogo-libri/la-battaglia-contro-leuropa/
https://keynesblog.com/2016/07/08/michele-salvati-recensisce-la-battaglia-contro-leuropa-di-thomas-fazi-e-guido-iodice/

Capitalismo/Crary

Jonathan Crary – 24/7 il capitalismo all’assalto del sonno -Einaudi (2015)

Una riorganizzazione cosi’ relativamente fulminea e capillarmente estesa dell’ordine temporale e delle attivita’ umane come quella che ha accompagnato la diffusione della televisione e’ un evento che si riscontra raramente nel corso della storia. Il cinema e la radio non erano stati che anticipazioni in scala ridotta dei cambiamenti strutturali introdotti poi con la televisione.
Nel giro di appena una quindicina d’anni, vi fu una ricollocazione di massa, per intere popolazioni, in stati prolungati di relativa immobilizzazione.
Centinaia di milioni di individui cominciarono dall’oggi al domani a trascorrere molte ore del giorno e della notte seduti, piu’ o meno a lungo, di fronte a oggetti che emettevano un bagliore tremolante. […]
Si potrebbe affermare che, fra gli anni Cinquanta
e Sessanta, la televisione abbia introdotto nell’ambiente domestico strategie disciplinari concepite per altri contesti. Benche’ nel dopoguerra fossero in auge stili di vita ispirati a una maggiore indipendenza e mobilita’, la televisione aveva effetti antitetici al nomadismo: individui immobili, isolati gli uni dagli altri e deprivati di qualsiasi efficacia politica.
Almeno in parte, e’ uno schema che corrisponde alla scena lavorativa tipica di un modello industriale.
Sebbene non vi si esegua materialmente alcun lavoro, e’ una situazione organizzativa in cui il controllo degli individui si identifica con la produzione di plusvalore, giacche’ l’accumulazione si incrementa attraverso l’innalzamento dei livelli di audience televisiva.

Info:
https://www.doppiozero.com/rubriche/3/201510/jonathan-crary-247
http://www.leparoleelecose.it/?p=21278

Stato/Formenti

Carlo Formenti – La variante populista. Lotta di classe nel neoliberismo – Derive Approdi (2016)

Il mercato non viene piu’ identificato con lo scambio bensi’ con la concorrenza.
Si tratta di un cambiamento epocale, a partire dal quale viene rovesciato l’assunto del liberalismo classico, secondo cui lo Stato doveva astenersi dall’intervenire in economia.
Oggi si chiede viceversa allo Stato di costruire, mantenere e difendere l’ordine della concorrenza contro ogni interferenza (ecco perche’ il super Stato europeo vieta ai singoli Stati nazionali di sovvenzionare direttamente o indirettamente le proprie imprese per proteggerle dalla concorrenza globale) […]
Non a caso Lenin definiva lo Stato il «comitato d’affari della borghesia». Nelle attuali condizioni storiche, tuttavia, nemmeno questa definizione riesce a descrivere la realta’ di un sistema di potere che si fonda su un’integrazione pressoche’ totale fra elite economiche ed elite politiche.
Una realta’ che emerge in modo sfacciatamente evidente in fenomeni come quello che negli Stati Uniti e’ stato battezzato il «sistema delle porte girevoli», vale a dire la pratica per cui i manager di grandi imprese private, banche e societa’ finanziarie (sia sotto le amministrazioni democratiche che sotto quelle repubblicane) rivestono importanti incarichi pubblici o vengono addirittura nominati ministri.
Questi rapporti incestuosi fra economia e politica rispecchiano la convergenza di interessi fra soggetti che condividono gli stessi valori, idee, convinzioni, linguaggi, abitudini e, non di rado, sono legati da relazioni di parentela, amicizia o hanno seguito gli stessi percorsi formativi.

Info:
https://sinistrainrete.info/teoria/9639-alessandro-visalli-la-variante-populista-di-formenti.html
https://www.lacittafutura.it/cultura/la-variante-populista-secondo-formenti

Europa/Balibar

Etienne Balibar – Crisi e fine dell’Europa? – Bollati Boringhieri (2016)

Vorrei [..] ricavare tre lezioni strutturali relative all’articolazione capitalistica dello Stato e del mercato […]
Prima lezione: la crisi delle finanze pubbliche non e’ un
fenomeno contabile al quale si possa attribuire una grandezza assoluta, ma e’ relativa alle decisioni momentanee dei mercati finanziari, alla loro valutazione delle capacita’ degli Stati di pagare gli interessi dei debiti e al tasso di interesse richiesto sui nuovi prestiti di cui gli Stati debitori hanno bisogno per far fronte alle scadenze.
Dunque il grado di indebitamento degli Stati, il loro grado di autonomia o di sovranita’ economica fluttuano in base al modo in cui sono costantemente valutati dai mercati, allo stesso modo di societa’ quotate in borsa.
Ma chi dice «mercato» dice un sistema di scambio e di valorizzazione i cui protagonisti principali (dominanti se non onnipotenti) sono le grandi banche e i principali fondi speculativi. Questi di conseguenza sono diventati, in senso forte, dei protagonisti politici, in quanto dettano a tutta una serie di Stati e anche alle banche centrali la loro politica sociale, economica e monetaria.
La situazione ha un impatto enorme sulla capacita’ dei corpi politici tradizionali (popoli o nazioni di cittadini) di determinare il proprio sviluppo. Oggi forse soltanto la Cina, grazie alla posizione virtualmente egemonica che sta conquistando nell’economia mondiale, sfugge a questo rovesciamento del rapporto tra la capacita’ politica degli Stati e quella degli attori finanziari deterritorializzati […]
Seconda lezione: […] nel caso dei mercati finanziari la concorrenza non porta a un equilibrio tra domanda e offerta, ma al contrario a una fuga in avanti nella capitalizzazione degli attivi, il cui valore aumenta indefinitamente con l’estensione del credito… finche’ non crolla.
O il potere pubblico impone alle operazioni speculative regole di prudenza e di trasparenza, oppure il bisogno illimitato di capitali liquidi, destinati alle speculazioni piu’ redditizie a breve termine, costringe a una deregolazione sempre piu’ totale: le due cose non possono andare insieme.
Anche qui ci si trova di fronte a un’alternativa politica nel campo dell’economia (prodotta dalla finanza), che si avvicina a un conflitto di sovranita’. […]
La difficolta’, contro cui evidentemente l’Europa va a cozzare, sta nel fatto che gli Stati (anche quelli ricchi) non sono piu’ in grado di costituire da soli delle autorita’ di regolazione efficace dei mercati finanziari, senza che d’altra parte si riesca a istituire politicamente un’autorita’ e dei poteri pubblici sovrastatali o transtatali. […]
Un terza lezione […] e’ che a lungo termine esiste una correlazione fondamentale tra il modo in cui si distribuiscono le diseguaglianze sociali tra i territori nazionali o all’interno di questi territori (diseguaglianze di reddito – salari diretti o indiretti – e dunque, date le condizioni storiche e culturali, diseguaglianze di livello e di qualita’ della vita) e le politiche attuate per aumentare la competitivita’ dal punto di vista dell’attrazione di capitali internazionali (con la pressione sul livello salariale – grazie all’immigrazione o ad accordi Stato-sindacati, o a entrambi – e la diminuzione dei prelievi fiscali, destinata inevitabilmente a minacciare le politiche di protezione sociale).
In questo quadro, gli Stati riconquistano almeno una parte della loro capacita’ di determinare politicamente le condizioni economiche della politica, che, come si e’ detto, tendono a sfuggire loro a vantaggio degli attori finanziari nel gioco del credito.

Info:
https://www.illibraio.it/libri/etienne-balibar-crisi-e-fine-delleuropa-9788833928449/
https://www.lindiceonline.com/osservatorio/economia-e-politica/balibar-crisi-europa-ordoliberale/

Capitalismo/Zielonka

Jan Zielonka – Contro-rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale – Laterza (2018)

A differenza dell’Italia o della Grecia, la Spagna e l’Irlanda avevano livelli modesti di debito prima della crisi e quindi non possono essere accusate di aver vissuto al di sopra dei loro mezzi; il loro problema e’ nato da una bolla immobiliare, che segnala deficienze del mercato o l’avidita’ dei promotori delle proprieta’ immobiliari.
La disuguaglianza e’ causata da molti fattori diversi; e’ semplicistico pensare che sia solo il frutto del fatto che alcune persone sono impregnate di un’etica protestante del lavoro mentre altre indulgono al divertimento.
Puo’ darsi che l’euro sia stato costruito male, ma ha funzionato bene prima della tempesta finanziaria, che nacque a New York, non a Francoforte o a Bruxelles.
Puo’ darsi che le banche greche siano state guidate male, ma non sono responsabili del fatto che il debito sovrano della Grecia sia diventato insostenibile e obiettivo allettante per gli speculatori.
La generosa spesa sociale non ha impedito alla Svezia o alla Finlandia di essere campioni della produttivita’ del lavoro.
La bassa spesa sociale della Romania chiaramente non ha accresciuto la produttività del paese.
Gli economisti cercano di spiegare diverse tessere del puzzle, ma se mi chiedi qual e’ il fattore primario che sta dietro la serie di crisi nelle quali si dibatte attualmente l’Europa, ce n’e’ uno che emerge sopra tutti.
Il suo nome è neoliberismo.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/contro-rivoluzione-jan-zielonka/
https://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/440518/chi-ha-lasciato-senza-difese-la-democrazia/
https://www.pandorarivista.it/articoli/contro-rivoluzione-jan-zielonka/3/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858129937
http://www.atlanticoquotidiano.it/recensioni/rivoluzione-la-disfatta-delleuropa-liberale-jan-zielonka/
https://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/440518/chi-ha-lasciato-senza-difese-la-democrazia/

Populismo/Harvey

David Harvey – Breve storia del neoliberismo – il Saggiatore (2007)

Se lo stato neoliberista e’ per sua natura instabile, che cosa potra’ rimpiazzarlo?
Negli Stati Uniti vi sono segnali di una risposta decisamente neoconservatrice a questa domanda […]
[I] neoconservatori americani sono favorevoli al potere delle grandi aziende, all’impresa privata e alla restaurazione del potere di classe.
Il neoconservatorismo e’ dunque del tutto coerente con il programma neoliberista di governo delle elite, sfiducia nella democrazia e mantenimento delle liberta’ di mercato, ma si allontana dai principi del neoliberismo puro e ha riformulato le pratiche neoliberiste per quanto concerne due aspetti fondamentali: in primo luogo nella preoccupazione che mostra per l’ordine quale risposta al caos degli interessi individuali, e in secondo luogo nel suo interesse per una morale esasperata come necessario collante sociale per mantenere lo stato al sicuro da pericoli esterni […]
I neoconservatori esaltano dunque l’importanza della militarizzazione come antidoto al caos degli interessi individuali e per questa ragione sono estremamente portati a sottolineare le minacce, reali o immaginarie, sia in patria che all’estero, all’integrita’ e alla stabilita’ della nazione […]
I valori morali che adesso sono divenuti cruciali per i neoconservatori possono essere meglio compresi quali prodotti della particolare coalizione creatasi negli anni settanta tra gli interessi di classe ed economici delle elite […]
Si tratta di valori morali centrati su nazionalismo culturale, virtu’ morale, cristianesimo (di un certo tipo evangelico) famiglia e diritto alla vita e sull’opposizione ai nuovi movimenti sociali come il femminismo, i diritti degli omosessuali, la tutela dei diritti delle minoranze e l’ambientalismo.

Info:
https://www.anobii.com/books/Breve_storia_del_neoliberismo/9788842813767/018355f59cc01714a4
https://www.sinistrainrete.info/neoliberismo/12763-jason-hickel-breve-storia-del-neoliberismo-con-alcuni-antidoti.html

 

Finanziarizzazione/Boitani

Andrea Boitani – Sette luoghi comuni sull’economia – Laterza (2015)

Fino agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, le banche erogavano prestiti a imprese e famiglie, finanziandoli con i depositi ricevuti dalla clientela in proporzioni rigidamente regolamentate (dovevano garantire una certa riserva obbligatoria). I prestiti generavano interessi piu’ alti di quelli pagati sui depositi e questa differenza remunerava il rischio sopportato dalle banche.
Negli USA e poi in altri paesi si era pero’ diffuso un altro modo di fare banca, che consentiva a chi erogava prestiti di distribuire il rischio, invece di tenerselo.
Cosi’, la banca erogava (per esempio) mutui, garantiti dall’ipoteca sugli immobili; poi «cartolarizzava» i mutui, cioe’ li radunava insieme e li poneva collettivamente come garanzia di titoli obbligazionari da essi «derivati», che collocava presso investitori alla ricerca di alti rendimenti.
Mediante questa cartolarizzazione, le banche erano in grado di recuperare dal mercato i fondi prestati, con la conseguente possibilita’ di erogare nuovi mutui o altri prestiti.
Il credito, quindi, poteva espandersi molto piu’ rapidamente di quanto fosse possibile nei decenni precedenti. Allo stesso tempo, crescevano i debiti delle banche, giacche’ tutti i titoli «derivati» emessi non erano altro che debiti nei confronti degli investitori.
Spesso le banche, soprattutto 
americane, affidavano le operazioni di cartolarizzazione a una societa’ «veicolo» appositamente creata, che – trovandosi al di fuori del settore bancario ufficiale – poteva sfuggire alla regolazione e accrescere liberamente l’indebitamento.
In questo modo, un intero nuovo mondo di finanza creativa si era potuto sviluppare, in maniera accelerata, negli anni Novanta e nei primi anni del nuovo secolo.
Con la possibilita’ di trasferire il rischio, per le banche si riduceva l’incentivo a esercitare severi controlli di solvibilita’ dei mutuatari. Anzi, si creava l’incentivo opposto: quello a prestare a condizioni sempre piu’ favorevoli a soggetti sempre meno capaci di ripagare il debito.
Cosi’ sono nati e si sono diffusi i famosi e famigerati mutui subprime, cioe’ mutui concessi a famiglie con redditi bassi e incerti.
La diffusione di questi mutui era favorita dal continuo aumento del prezzo delle abitazioni (a sua volta spinto da un continuo aumento della domanda di case), che forniva la garanzia ipotecaria alla banca concedente e, indirettamente, a tutti coloro che acquistavano titoli «derivati» dai mutui.
Si era venuto a creare, insomma, un singolare equilibrio poggiante sulla convinzione che il castello di carta finanziario non potesse crollare perche’ il sottostante castello di legno, acciaio e cemento aumentava costantemente di valore. In realta’, la possibilita’ di distribuire il rischio finiva per rendere facile moltiplicarlo e diffonderlo in modo assai poco trasparente.

Info:
https://www.anobii.com/books/Sette_luoghi_comuni_sull%27economia/9788858124581/012e4b7607f103e80f
https://www.lavoce.info/archives/tag/i-sette-luoghi-comuni-sulleconomia/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858124581

Lavoro/Formenti

Carlo Formenti – La variante populista. Lotta di classe nel liberismo – Derive Approdi (2016)

Le tesi sulla deindustrializzazione italiana e sulla «smaterializzazione» del lavoro non reggono all’analisi
empirica.
E’ vero che i dati ci dicono che il Pil italiano e’ prodotto per il 2% dall’agricoltura, per il 6% dalle costruzioni, per il 18,6% dall’industria e per il 73,4% dai servizi ma, a un piu’ attento esame, cio’ che appare come un radicale processo di terziarizzazione del lavoro non coincide affatto con un processo di deindustrializzazione perche’ […]:
1) a crescere sono soprattutto i servizi legati all’industria in settori come le comunicazioni, l’informatica, la Ricerca e Sviluppo, i trasporti e la logistica mentre altre tipologie di servizi, come il turismo e la distribuzione, non hanno subito variazioni significative;
2) le fasi del processo produttivo industriale che sono state esternalizzate in seguito ai processi di finanziarizzazione delle imprese, vengono attualmente contabilizzate come servizi, ma in realta’ sono integrate nella produzione industriale, per cui gli operai vengono descritti «operatori dei servizi» anche se il loro lavoro non e’ affatto cambiato;
3) il «terziario» che e’ cresciuto in misura maggiore non e’ quello dei lavoratori «cognitivi», bensi’ quello legato alla manifattura.

Info:
https://sinistrainrete.info/teoria/9639-alessandro-visalli-la-variante-populista-di-formenti.html
https://www.lacittafutura.it/cultura/la-variante-populista-secondo-formenti

Populismo/De Benoist

Alain De Benoist – Populismo. La fine della destra e della sinistra – Arianna (2017)

Abbiamo […] assistito alla quasi scomparsa delle famiglie sociologiche, in cui si votava alla stessa maniera di generazione in generazione. Ancora alla meta’ degli anni Sessanta, piu’ si era cattolici, piu’ si votava a destra e, sul piano sociale, piu’ ci si identificava con la classe operaia, piu’ si votava a sinistra.
Da molto tempo non e’ piu’ cosi’.
La volatilita’ elettorale non ha smesso di accentuarsi, a tal punto che non e’ raro incontrare persone che, nel corso della loro vita, hanno praticamente votato per tutti i partiti […]
A questa apparente “destrutturazione” dell’elettorato corrisponde, al livello degli stati maggiori politici e delle squadre di governo, un prodigioso spostamento verso il centro, cui per natura spinge il bipartitismo.
Convinti che le elezioni “si vincono al centro” […] e non avendo ancora compreso che le classi medie si stanno decomponendo, i grandi partiti continuano, come all’epoca del “trentennio glorioso”, a far convergere al centro i loro discorsi per raggiungere
gli elettori esitanti, il che li porta a formulare programmi sempre piu’ simili […]
Alcuni se ne rallegravano, in nome dei benefici del “consenso […] Ma se il consenso fa sparire il dibattito stesso, allora allo stesso tempo sparisce la democrazia perche’, per definizione, essa implica, se non la pluralita’ dei partiti, almeno la diversita’ delle opinioni e delle scelte, insieme con il riconoscimento della legittimita’ di un conflitto tra queste opinioni e queste scelte[…] Se le une e le altre non si distinguono piu’ ne’ sugli obiettivi e nemmeno sui modi di raggiungerli, insomma se i cittadini non si vedono piu’ presentare alternative reali e vere possibilita’ di scelta, allora il dibattito non ha piu’ ragion d’essere e il quadro istituzionale che gli permetteva di avere luogo diventa un guscio vuoto, dal quale non e’ sorprendente vedere allontanarsi una maggioranza di elettori. Il prezzo del “consenso” e’ la diserzione civica […] Non si deve infatti dimenticare che […] il voto e’ anzitutto una modalita’ di rappresentazione e affermazione di se’.
Ora, e’ chiaro che l’elettorato, se ha la sensazione che non gli venga offerta alcuna alternativa dai partiti che si disputano il potere, non potra’ che disinteressarsi di un gioco politico che non gli permette piu’ di esprimere, attraverso il suffragio un’appartenenza o un’affiliazione. […]
Crescera’ allora il rischio di veder realizzare non una societa’ pacificata dal “consenso”, ma al contrario una societa’ pericolosa e potenzialmente belligena, in cui non ci si dovra’ sorprendere di vedere un ritorno vigoroso, in forme talvolta patologiche, di altre modalita’ di affermazione identitaria (religiosa, etnica, nazionale ecc.), che non deriveranno da chissa’ quale desiderio di “pericolosa purezza”, ma saranno la conseguenza logica del fatto che ormai non e’ piu’ possibile affermarsi come cittadini.

Info:
https://www.anobii.com/books/Populismo/9788865881897/01e2818c0646349dc7
http://www.opinione.it/cultura/2017/09/13/teodoro-klitsche-de-la-grande_de-benoist-populismo/

Europa/Boitani

Andrea Boitani – Sette luoghi comuni sull’economia – Laterza (2017)

Nel periodo 2011-2014, il rapporto debito/PIL e’ aumentato di oltre 5 punti in media nei paesi dell’Eurozona. La spiegazione piu’ semplice e’ che l’austerita’ ha finito per far ridurre la crescita del PIL reale piu’ di quanto abbia frenato la crescita del debito pubblico e percioì il rapporto tra debito e PIL e’ cresciuto di piu’ proprio nei paesi che hanno fatto una piu’ intensa cura di austerita’.
L’austerita’, dunque, ha fatto si’ ridurre il deficit primario (e in molti paesi anche quello complessivo), ma non ha permesso di migliorare il […] rapporto debito/PIL, e quindi non ha aiutato a migliorare la sostenibilita’ del debito […]. «L’austerità – scriveva Enrico Berlinguer nel 1977 – a seconda dei contenuti che ha e delle forze che ne governano l’attuazione puo’ essere adoperata o come strumento di depressione economica, di repressione politica, di perpetuazione delle ingiustizie sociali, oppure come occasione per uno sviluppo economico e sociale nuovo, per un rigoroso risanamento dello Stato, per una profonda trasformazione dell’assetto della societa’, per la difesa ed espansione della democrazia: in una parola […] come mezzo di giustizia e di liberazione dell’uomo e di tutte le sue energie  oggi mortificate, disperse, sprecate».
In Europa e’ stata adoperata nel primo modo.
Il secondo non sappiamo ancora se sia destinato a rimanere un sogno.

Info:
https//www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858124581
https://www.anobii.com/books/Sette_luoghi_comuni_sull%27economia/9788858124581/012e4b7607f103e80f
https://www.lavoce.info/archives/tag/i-sette-luoghi-comuni-sulleconomia/