Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Nel 2008 una crisi finanziaria, inizialmente quasi impercettibile e poi inarrestabile, ha innescato in Europa quella che e’ diventata una crisi prima economica e poi sociale.
Tutte le crisi prima o poi passano: ma, nel valutare un sistema economico, cio’ che conta non e’ che la crisi sia finita, ma il tempo che ci vuole per arrivare a una completa ripresa, le sofferenze inflitte tanto a lungo ai cittadini e la vulnerabilita’ del sistema a un’altra crisi.
In Europa le conseguenze della crisi finanziaria e della recessione sono state inutilmente gravi, lunghe e dolorose. Il divario tra la condizione attuale dell’economia e quella in cui si sarebbe trovata in assenza di crisi si misura ormai in trilioni di euro. E ancor oggi, un decennio dopo lo scoppio della crisi, la crescita rimane anemica e fragile.
Il fenomeno che meglio di ogni altro compendia gli effetti della crisi finanziaria del 2008 e’ la disoccupazione, che e’ aumentata in quasi tutti i paesi, e in alcuni di essi ha raggiunto livelli vertiginosi.
Dieci anni dopo, in gran parte dell’Unione la disoccupazione rimane inaccettabilmente alta, ma i leader europei continuano a preoccuparsi degli eventuali costi futuri dell’aumento del debito e del disavanzo in molti paesi, e a disinteressarsi delle conseguenze devastanti della crisi per tanti europei […]
Oggi un gran numero di giovani non ha alcuna possibilita’ di trovare un lavoro sicuro o gratificante in linea con le proprie capacita’ e aspirazioni: tra coloro che hanno meno di 25 anni, e quelli che non hanno completato gli studi secondari superiori, il tasso di disoccupazione medio europeo e’ il doppio di quello complessivo: rispettivamente 18,5 e 17 per cento.
E’ stato un decennio di occasioni perdute, nel corso del quale la disoccupazione di massa e’ diventata causa e al tempo stesso effetto della disuguaglianza. Molti lavoratori anziani che avrebbero potuto continuare a dare un contributo alla societa’ non ne hanno avuto la possibilita’; i giovani hanno dovuto fare a meno di quella prima fase di sviluppo delle competenze che e’ essenziale per la loro formazione e che incidera’ sulla loro crescita.

Info:
https://www.linkiesta.it/2020/05/nobel-stigliz-come-riscrivere-economia-europea/
http://temi.repubblica.it/micromega-online/al-capezzale-dell-europa/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/riscrivere-leconomia-europea/

Populismo/Levitsky

Steven Levitsky, Daniel Ziblatt – Come muoiono le democrazie – Laterza (2019)

Il populismo e’ la reazione all’impatto della globalizzazione (e della rivoluzione tecnologica da essa favorita) su ceti sociali privi degli strumenti cognitivi per riqualificare la propria capacita’ lavorativa.
Con la globalizzazione, merci e beni prodotti a costi bassi nelle economie non occidentali sono entrati nei mercati occidentali, mettendo in crisi le tradizionali attivita’ produttive di questi ultimi. Il populismo si e’ proposto come lo strumento politico con il quale i lavoratori bianchi negli Stati Uniti o la classe operaia poco qualificata in Europa hanno cercato di arrestare il declino della loro condizione economica, spingendo verso politiche protezionistiche e redistributive.
Per alcuni scienziati politici, invece, il populismo riflette una crisi di identita’ dei ceti sociali che hanno subito il processo di globalizzazione. Secondo questa interpretazione, il sostegno al populismo nasce da una perdita di senso della vita di milioni di cittadini occidentali. Le diseguaglianze sociali sono rilevanti ma in quanto accentuano la percezione di marginalizzazione sociale di importanti settori delle societa’ occidentali. […]
Vi e’ infine una terza interpretazione del populismo, elaborata da sociologi e scienziati della comunicazione. Secondo questa interpretazione, il populismo e’ il risultato di una trasformazione epocale della comunicazione politica,dovuta alla diffusione di social media che hanno superato i tradizionali canali informativi tra cittadini e potere, accentuando un processo gia’ in corso di disintermediazione sociale e culturale.
Le societa’ disintermediate non hanno bisogno di passare attraverso la mediazione dei giornalisti per rapportarsi con il potere. Cosi’ come non hanno bisogno della mediazione dei rappresentanti di partiti o di associazioni di interesse per comunicare con il potere.
Secondo questa interpretazione, e’ stata la rivoluzione dell’informazione a creare le condizioni per collegare direttamente il popolo ai leader populisti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858135280
https://www.stroncature.com/2019/10/08/come-muoiono-le-democrazie/
https://www.eunews.it/2019/09/20/muoiono-le-democrazie/120948

Stato/Kelton

Stephanie Kelton – Il mito del deficit. La Teoria Monetaria Moderna per un’economia al servizio del popolo – Fazi (2020)

[Le tasse] sono importanti da altri punti di vista. Come osserva il Rapporto mondiale sulla disuguaglianza, «la traiettoria della disuguaglianza di reddito osservata negli Stati Uniti» e’ parzialmente spiegata da un «sistema fiscale diventato sempre meno progressivo».
Le tasse possono quindi essere utilizzate per tenere a freno le accumulazioni astronomiche di ricchezza.
Si tratta di un elemento cruciale proprio perche’ i ricchi utilizzano il loro denaro per acquisire potere e influenza sul processo politico: hanno manipolato il sistema fiscale a loro favore; hanno riscritto le leggi sul lavoro, gli accordi commerciali, le regole che disciplinano i brevetti e i diritti d’autore, e molto altro; hanno riformato la politica pubblica per servire i loro interessi economici.
Questo e’ il motivo per cui cosi’ tante delle nostre aziende pagano enormi somme di denaro agli azionisti e ai vertici aziendali, somme piu’ piccole alla classe superiore ben istruita e una miseria a tutti gli altri […]
E’ per questo che il nostro Stato sociale, il sistema sanitario e il sistema pensionistico sono tutti allo sfascio, e che non facciamo nulla per risolvere la crisi climatica.
I profitti e il potere che le elite ricche possono acquisire nel non affrontare questi problemi sono maggiori dei profitti e del potere che trarrebbero nell’affrontarli.

Info:
http://osservatorioglobalizzazione.it/recensioni/il-mito-del-deficit-kelton/
https://www.lafionda.org/2020/09/27/il-mito-del-deficit/
https://fazieditore.it/catalogo-libri/il-mito-del-deficit/
https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/19308-brian-cepparulo-il-mito-del-deficit-stephanie-kelton-e-la-nuova-frontiera-della-mmt.html

Stato/Marsili

Lorenzo Marsili, Yanis Varoufakis – Il terzo Spazio. Oltre establishment e populismo – Laterza (2017)

Secondo l’OCSE, dagli anni Ottanta la diseguaglianza economica e’ cresciuta del 33% in Italia (il dato piu’ alto fra i paesi OCSE).
Al punto che nel 2016 i sette paperoni nazionali hanno una ricchezza pari ai 20 milioni piu’ poveri, il famigerato 1% detiene il 25% del reddito nazionale e il 20% delle persone piu’ ricche possiede piu’ di quanto detenuto dal 67% della popolazione […]
Il problema e’, senz’altro, globale. Alcune delle misure necessarie – come la chiusura dei paradisi fiscali, dato che il 50% delle aziende italiane quotate in borsa ha una presenza in un paradiso offshore – possono essere portate avanti principalmente a livello europeo. Ma molte altre possono e devono essere messe in campo a livello nazionale. Non e’ un intervento divino che ha reso l’Italia il paese piu’ iniquo fra le democrazie dell’Europa occidentale, con la piu’ grande forbice di ricchezza fra chi ha troppo e chi troppo poco. Ma chiare scelte politiche: la detassazione delle grandi eredità – laddove, come ha dimostrato Piketty, i grandi patrimoni si trasferiscono non per merito ma per eredita’; la detassazione della prima casa anche per i piu’ abbienti; un sistema fiscale iniquo che schiaccia lavoratori, autonomi e partite IVA ma che abbassa la tassazione sui profitti d’impresa e inventa condoni fiscali sempre piu’ improbabili; e poi l’assenza di una vera tassazione patrimoniale, di natura fortemente progressiva e non punitiva, capace di mettere in circolazione la ricchezza accumulata nelle mani di pochissimi e tenuta ferma a moltiplicarsi attraverso investimenti finanziari improduttivi […]
Oltre all’economia la grande ricchezza puo’ bloccare la democrazia. Lungi dall’essere solo un problema economico e sociale, questo e’ infatti un problema politico di primo piano. Chi accumula una posizione economica dominante acquisisce di fatto anche un potere decisionale che mina alla radice l’autonomia dei singoli cittadini, permettendo quelle forme di cattura della democrazia nazionale da parte delle grandi oligarchie di potere che sequestrano la sovranita’ popolare e snaturano il senso stesso della rappresentanza politica.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858128282
https://www.sns.it/it/evento/terzo-spazio
https://www.estetica-mente.com/recensioni/libri/lorenzo-marsili-yanis-varoufakis-terzo-spazio-oltre-establishment-populismo/73210/
http://www.mangialibri.com/libri/il-terzo-spazio

 

Capitalismo/Alacevich

Michele Alacevich, Anna Soci – Breve storia della disuguaglianza – Laterza (2019)

L’obiettivo della teoria economica divenne l’allargamento delle opportunita’ di impiego e la promozione della crescita poiche’ si desiderava ingrandire la torta piuttosto che distribuire fette piu’ uguali per tutti, nella convinzione che con una torta piu’ grande a tutti sarebbero toccate fette piu’ grandi, e che fosse la dimensione assoluta delle fette a contare piuttosto che quella relativa.
Oggi, questa visione e’ messa fortemente in dubbio.
La ricerca economica si e’ interessata solo di recente alla distribuzione personale dei redditi, e uno dei motivi, se non il principale, e’ che i paesi economicamente sviluppati stanno attualmente vivendo un allarmante grado di disuguaglianza.
La disoccupazione prolungata, la riduzione dei salari, un crescente accumulo di ricchezza da parte di pochi individui associata ad una stagnazione dei redditi del resto della popolazione, una scala sociale piu’ ripida e un accesso all’istruzione ostacolato dalle piu’ difficili condizioni finanziarie sono tra i fattori principali che nel XXI secolo hanno portato la distribuzione del reddito al centro della scena.
Inoltre, la globalizzazione non ha prodotto cio’ che prometteva in termini di crescita e uguaglianza tra paesi, e sta influenzando in modo deciso – e non sempre positivo – i processi economici e distributivi all’interno delle singole nazioni. Dunque, la disuguaglianza economica e’ in prima linea nel dibattito politico odierno, probabilmente perche’ i movimenti sociali emersi hanno costretto gli economisti a rivolgervi lo sguardo.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858136249
https://www.letture.org/breve-storia-della-disuguaglianza-michele-alacevich-anna-soci

Populismo/Urbinati

Nadia Urbinati – Io, il popolo. Come il populismo trasforma la democrazia – Il Mulino ´2020`

Vi sono innegabili ragioni sociali, economiche e culturali che permettono di comprendere i motivi del successo del populismo nelle democrazie odierne.
Si potrebbe dire che questo successo equivale a un’ammissione di fallimento delle democrazie dei partiti nel mantenere le promesse fatte nelle loro costituzioni.
Tra le promesse non mantenute, due in particolare portano acqua al mulino dei populisti: la crescita della diseguaglianza sociale ed economica, per cui una larga parte della popolazione ha poca o nessuna speranza di ambire a una vita sociale e politica dignitosa o migliore; e la crescita di un’oligarchia nazionale e globale sempre più rapace.
Questi due fattori sono correlati; sono una violazione della promessa di uguaglianza e impongono alla democrazia costituzionale un’urgente autoriflessione critica sul perche’ «non e’ riuscita a sconfiggere del tutto il potere oligarchico».
Il dualismo tra «i pochi» e «i molti» e l’ideologia antisistema che alimentano il populismo scaturiscono da queste promesse non mantenute.

Info:
http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/05/08/nadia-urbinati-e-il-populismo/
https://www.vaticannews.va/it/osservatoreromano/news/2020-03/la-verita-vi-prego-sul-populismo.html
https://www.fatamorganaweb.unical.it/index.php/2020/01/27/dal-populismo-al-popolo-democrazia-nadia-urbinati/

Economia di mercato/Bauman

Zigmunt Bauman – Lavoro, consumismo e nuove poverta’ – Citta’ Aperta (2004)

Il welfare state e’ «uno strumento di repressione o un sistema per garantire l’emancipazione dal bisogno e mitigare i rigori dell’economia di mercato? Favorisce l’accumulazione del capitale e dei profitti o e’ un salario sociale da difendere e da aumentare come la busta paga? E’ una frode del capitalismo o una vittoria della classe operaia?» […]
La risposta piu’ ragionevole e’ che il welfare state e’ stato tutte queste cose e molte altre ancora.
La sua nascita e’ il prodotto di una combinazione di vari fattori quali: le pressioni derivanti da un’economia capitalistica in crisi, incapace di assicurare la propria sopravvivenza senza un aiuto politico; le spinte delle organizzazioni sindacali incapaci anch’esse di affrontare senza un analogo sostegno gli effetti dirompenti delle oscillazioni dei «cicli economici»; la necessita’ di riaffermare e difendere il principio della diseguaglianza sociale mitigandone le conseguenze piu’ inique e inaccettabili; il tentativo di far accettare questo principio emarginando coloro che rifiutavano di continuare ad avallarlo; e l’urgente necessita’ di contrastare con un intervento pubblico gli effetti devastanti di un’economia politicamente incontrollata […]
Pur se frutto di una combinazione di circostanze, il successo politico iniziale del welfare state sarebbe stato inconcepibile all’interno di una societa’ capitalistica se non ne avesse favorito lo sviluppo grazie ai servizi sociali che forniva.
Fra le sue molte altre funzioni, svolse infatti anche quella, essenziale, di garantire una continua «offerta di lavoro»: fornendo un’istruzione di buon livello, un’adeguata assistenza sanitaria e una sana alimentazione ai figli di genitori poveri, assicuro’ alle industrie un flusso costante di manodopera impiegabile, cosa che nessuna azienda da sola o insieme ad altre sarebbe stata in grado di procurarsi […]
Il welfare state creo’ un esercito industriale di riserva ben addestrato e pronto all’uso quando serviva.
Ma l’eventualita’ che gli imprenditori abbiano di nuovo bisogno dei servizi di questi disoccupati che vivono di assistenza pubblica, appare oggi sempre piu’ remota.
La manodopera eccedente rischia di non essere piu’, impiegabile, non tanto perche’ poco qualificata, bensi’ per l’assenza di domanda […]
Fin quando lo sviluppo di un’industria redditizia dipendeva dall’ampia disponibilita’ di forza lavoro, gli imprenditori erano ben lieti di trasferire all’erario i costi della formazione e dell’addestramento di un esercito di riserva.
Ma oggi non e’ piu’ cosi’. I profitti delle imprese derivano in gran parte da investimenti «strutturali» (pari a circa l‘80 per cento dei costi globali) che non comprendono l’assunzione
di un maggior numero di dipendenti.
Il reclutamento di manodopera si trasforma sempre piu’ da un vantaggio in una perdita. E i manager, soprattutto quelli di piu’ alto livello delle maggiori imprese, vengono riccamente ricompensati quando riescono a ridurre il personale […]
Gli interessi prioritari degli azionisti trovano del resto il sostegno dei mercati finanziari.

Info:
http://www.inattuale.paolocalabro.info/2009/04/z-bauman-lavoro-consumismo-nuove.html
https://sociologia.tesionline.it/sociologia/libro.jsp?id=1714

Capitalismo/Alacevich

Michele Alacevich, Anna Soci – Breve storia della disuguaglianza – Laterza (2019)

La disuguaglianza e’ stata riconosciuta come un problema urgente non solo per nazioni periferiche, remote e meno sviluppate, ma anche per i paesi industrializzati al centro del mondo capitalista e democratico.
Le difficolta’ sempre maggiori del welfare state e la crisi della rappresentanza attraversata da molte socialdemocrazie l’hanno portata ai primi posti dell’agenda politica.
La discussione si e’ concentrata su un numero di politiche diverse […]
1) Politiche fiscali […] La proposta di Piketty per ridurre la disuguaglianza tra i membri della comunita’ nazionale e’ di aumentare notevolmente la progressivita’ del sistema fiscale in modo che le fasce piu’ alte di imposta raggiungano un’aliquota fiscale di circa l’80%. Ovviamente, cio’ richiederebbe un forte coordinamento internazionale, altrimenti i super-ricchi si trasferirebbero semplicemente in uno Stato con una tassazione a loro piu’ favorevole […]
2) Riforme istituzionali del mondo societario […] Questi interventi dovrebbero aumentare la trasparenza delle operazioni finanziarie e mirare a frenare comportamenti eccessivamente rischiosi o puramente speculativi, l’assenza di responsabilita’ da parte dei manager e gli incentivi a privilegiare il guadagno di breve periodo che arricchiscono i manager rispetto alla solidita’ di lungo periodo che favorisce gli investitori. Una proposta ulteriore per penalizzare la speculazione e’ la tassazione delle transazioni a breve termine sul mercato dei cambi […]
3) Politiche dell’istruzione […] Il progresso tecnologico e’, secondo un ampio consenso, skill-biased, ovvero richiede lavoratori sempre piu’ qualificati. L’investimento in capitale umano e’ quindi una forza perequativa fondamentale nella misura in cui consente alle persone di accedere a un’istruzione di alto livello e al passo con una tecnologia che necessiti di una manodopera sempre piu’ qualificata […]
4) Disuguaglianza e mobilità sociale. Il divario economico, in altre parole, passa da una generazione all’altra, e una piu’ alta disuguaglianza in una generazione porta a una piu’ alta disuguaglianza in quella successiva, minando la mobilita’ intergenerazionale.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858136249
https://www.letture.org/breve-storia-della-disuguaglianza-michele-alacevich-anna-soci

 

Stato/Judt

Tony Judt – Quando i fatti (ci) cambiano. Saggi 1995-2010 – Laterza (2020)

La stessa sfida – comprendere che cosa era successo tra le guerre e impedirne il ripetersi – fu affrontata da John Maynard Keynes. Il grande economista inglese, nato nel 1883 (come Schumpeter), era cresciuto in una Gran Bretagna stabile, sicura, prospera e potente […]
Anche Keynes si sarebbe posto la domanda che si erano fatti Hayek e i suoi colleghi austriaci. Ma propose una risposta assai diversa […]
Se c’era una lezione da trarre dalla depressione, dal fascismo e dalla guerra, era questa: l’incertezza, elevata a livello di insicurezza e di paura collettiva, era la forza corrosiva che aveva minacciato e avrebbe potuto minacciare di nuovo il mondo liberale.
Keynes auspicava quindi un ruolo piu’ incisivo dello Stato assistenziale, compreso, ma non solo, l’intervento economico in funzione anticiclica […]
Per i trent’anni successivi, la Gran Bretagna (come gran parte del mondo occidentale) fu governata sulla base delle preoccupazioni di Keynes […]
Lo Stato sociale poteva vantare notevoli risultati. In alcuni paesi era socialdemocratico, fondato su un programma ambizioso di legislazione socialista; in altri – per esempio in Gran Bretagna – consisteva in una serie di politiche pragmatiche volte ad alleviare gli svantaggi e a contenere i livelli estremi di ricchezza e di indigenza. Il tema comune e il risultato universale dei governi neokeynesiani del dopoguerra era il notevole successo ottenuto nel ridurre la disuguaglianza.
Se confrontiamo il divario fra ricchi e poveri, in base al reddito o al patrimonio, vedremo che in tutti i paesi dell’Europa continentale, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti si riduce drasticamente nella generazione successiva al 1945.
La maggiore uguaglianza era accompagnata da altri benefici.
Col tempo, la paura di un ritorno dell’estremismo politico – la politica della disperazione, la politica dell’invidia, la politica dell’insicurezza – si attenuo’. Il mondo occidentale industrializzato entro’ in un’epoca felice di prospera sicurezza: una bolla, forse, ma una bolla confortevole in cui la maggior parte delle persone se la passava molto meglio di quanto potesse mai aver sperato in passato e aveva buone ragioni per guardare al futuro con fiducia […]
Fu la socialdemocrazia a saldare il legame tra i ceti medi e le istituzioni liberali (uso qui «ceti medi» nel senso europeo) […]
Cosi’, quella stessa classe sociale che era stata tanto esposta alla paura e all’insicurezza negli anni interbellici adesso era stabilmente integrata nel consenso democratico del dopoguerra.
Alla fine degli anni Settanta, tuttavia, queste considerazioni venivano sempre piu’ trascurate.
A partire dalle riforme fiscali e del lavoro introdotte nel periodo Thatcher-Reagan, seguite a distanza ravvicinata dalla deregolamentazione del settore finanziario, la disuguaglianza e’ tornata a essere un problema nella societa’ occidentale.
Dopo il notevole calo registrato tra gli anni Dieci e gli anni Set- tanta del Novecento, negli ultimi tre decenni l’indice di disuguaglianza e’ sistematicamente aumentato.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858126479
https://ilmanifesto.it/tony-judt-e-la-responsabilita-della-storia/

Capitalismo/Formenti

Carlo Formenti – La variante populista. Lotta di classe nel liberismo – Derive Approdi (2016)

L’economia reale e’ sempre piu’ controllata da oligopoli e monopoli (anche per l’assenza di legislazioni antitrust realmente in grado di limitarne il dominio).
Ma il vero problema […] e’ politico, visto che sono le decisioni politiche a determinare in che misura le imprese possono esercitare il potere di mercato.
Del resto, potere di mercato e potere politico si rafforzano a vicenda, come dimostra il fatto che la grande svolta verso la disuguaglianza e’ coincisa con la sterzata a destra della classe politica americana, la quale:
1) ha deregolamentato l’attivita’ bancaria ed evitato di disciplinare gli eccessi della finanza «creativa»;
2) ha ridotto il potere contrattuale dei lavoratori smantellandone le organizzazioni sindacali;
3) si e’ progressivamente integrata con le elite economiche grazie alla crescita dei contributi elettorali, all’attivita’ delle lobby e alla pratica della revolving door (lo scambio di ruoli fra manager pubblici e privati).

Info:
https://sinistrainrete.info/teoria/9639-alessandro-visalli-la-variante-populista-di-formenti.html
https://www.lacittafutura.it/cultura/la-variante-populista-secondo-formenti