Stato/Piketty

Thomas Piketty – Capitale e ideologia. Ogni comunita’ ha bisogno di giustificare le proprie disuguaglianze – La Nave di Teseo (2020)

E’ significativa la differenza tra le traiettorie seguite in Cina rispetto a quelle caratteristiche dei paesi occidentali dopo la meta’ degli anni zero del Duemila.
Mentre la Cina, a partire dal 2006, ha stabilizzato la quota (intorno al 30%) di capitale pubblico nel capitale nazionale, in Occidente la crisi finanziaria del biennio 2007-2008 (che ha avuto origine da un eccesso di deregolamentazione della finanza privata e ha prodotto ulteriori arricchimenti da parte dei privati) ha invece determinato un nuovo crollo della ricchezza pubblica […]
Dal momento in cui lo Stato eroga un certo numero di beni e servizi (specie nei settori dell’istruzione e della sanita’), non sarebbe anomalo ritenere che lo Stato debba possedere una parte del capitale produttivo che sia proporzionata alla percentuale di occupati nel settore pubblico del paese […]
Resta il fatto che questo ulteriore indebolimento della ricchezza pubblica in Occidente a seguito della crisi finanziaria ha qualcosa di paradossale.
La deregolamentazione dei mercati ha contribuito ad arricchire molti soggetti, mentre l’amministrazione pubblica si e’ indebitata per far fronte alla recessione e per salvare banche e imprese private: di fatto, i patrimoni privati hanno continuato a crescere indisturbati, e i piccoli e medi contribuenti devono pagare il conto per decenni a venire

Info:
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/06/24/thomas-piketty-capitale-ideologia
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/capitale-e-ideologia-intervista-a-thomas-piketty/
https://www.ilmessaggero.it/libri/capitale_e_ideologia_il_nuovo_saggio_di_piketty_star_dell_economia_pop-5299153.html
http://temi.repubblica.it/micromega-online/piketty-il-capitalismo-non-e-piu-in-grado-di-giustificare-le-sue-disuguaglianze/
https://www.huffingtonpost.it/2018/09/08/lincubo-social-nativista-italiano-potrebbe-molto-rapidamente-riguardarci-da-vicino-piketty-avverte-le-democrazie-europee_a_23520935/

Economia di mercato/Alacevich

Michele Alacevich, Anna Soci – Breve storia della disuguaglianza – Laterza (2019)

Disuguaglianza e democrazia […]
La filosofia di fondo per sostenere una distribuzione squilibrata delle risorse economiche era (e in parte e’ ancora) la solita argomentazione «a cascata» (una percolazione verso il basso di cio’ che di positivo avviene nelle zone di vertice di una economia) e la preoccupazione principale e’ ancora una volta la dimensione della torta dei guadagni.
La visione tradizionale sosteneva che la disuguaglianza aumentasse il risparmio aggregato, il che a sua volta avrebbe prodotto un aumento degli investimenti e la crescita del PIL.
Questa catena causale teorica, tuttavia, non e’ cosi’ solida come potrebbe sembrare.
Il legame diretto tra risparmio e accumulazione di capitale e’ stato messo in discussione fin dagli anni Trenta, in particolare da John Maynard Keynes, che ha sottolineato il ruolo cruciale delle aspettative – piu’ che del risparmio – nel determinare la domanda di capitale reale. Inoltre, anche all’interno di un quadro di aspettative ottimistiche, il comportamento inerziale del settore bancario e finanziario – spesso piu’ incline alla speculazione finanziaria che a sostenere l’attivita’ delle imprese (almeno quelle prive di garanzie cospicue) – puo’ diventare un ostacolo imponente per il processo di accumulazione del capitale.
Il risparmio, in altre parole, non e’ di per se’ una condizione sufficiente per gli investimenti […]
Profitti elevati, uniti alla diminuzione dei salari, portano a una domanda di beni di consumo debole (a meno che il credito al consumo non sostenga la domanda). Quest’ultima circostanza porta ad aspettative al ribasso da parte delle imprese, scoraggiando il loro interesse per gli investimenti reali e aumentando la spinta alla speculazione finanziaria […]
Il ruolo crescente del sistema bancario e del settore finanziario in generale nonche’ la loro influenza sempre piu’ forte sul processo decisionale porta inevitabilmente alla deregolamentazione e a politiche fiscali meno progressive.
Questa spaccatura tra l’arricchimento dei pochi e l’interesse dei molti finisce per sabotare la crescita stessa: dagli anni Ottanta, il rallentamento della crescita economica e della produttivita’ nelle principali economie mondiali e’ diventato pressoche’ costante, contribuendo all’instaurarsi di un regime di instabilita’.
La torta e’ cresciuta meno del previsto, o si e’ decisamente ridotta […]
Gli studi degli anni Novanta hanno messo in luce che la risposta alla domanda se la disuguaglianza interna rallenti la crescita di una nazione e’ probabile che sia affermativa, anche se la direzione di causalita’ non e’ facile da accertare. Piu’ importante ancora, a nostro parere, e’ che l’argomentazione «a cascata» risulta contraddetta, dato che i ricchi esercitano pressione per l’approvazione di politiche per loro vantaggiose, ma che potrebbero danneggiare il resto dell’economia come nel caso della formazione di capitale umano […]
Dunque, il legame tra disuguaglianza e democrazia e’ di nuovo un processo che si autoalimenta: se la disuguaglianza ostacola o rallenta lo sviluppo economico, si indeboliscono alcuni dei puntelli della democrazia, e cio’ non giova allo sviluppo stesso.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858136249
https://www.letture.org/breve-storia-della-disuguaglianza-michele-alacevich-anna-soci

Lavoro/Ferrera

Maurizio Ferrera – La societa’ del Quinto Stato – Laterza (2019)

Il forte aumento della diseguaglianza ha avviato un processo di «disarticolazione» della struttura sociale in termini di chance di vita: opportunita’, interessi, orizzonti, connessioni.
La struttura di classe delle societa’ avanzate si e’ riarticolata in cinque segmenti.
In alto troviamo la gia’ menzionata elite di plutocrati quasi interamente «inglobata»: il percentile piu’ ricco e’ pienamente inserito nei circuiti globali – soprattutto quelli finanziari –, in grado di consumare e vivere in un mondo senza confini. Per questa elite la globalizzazione e’ stata ed e’ un grande vantaggio in termini di reddito, ricchezza, opportunita’, incluse quelle d’influenza politica (affluence is influence).
A seguire, troviamo il ceto altoborghese, benestante ma tuttora ancorato a patrimoni e attivita’ prevalentemente nazionali. Questo ceto controlla ancora buona parte delle posizioni di autorita’ all’interno dei vari paesi, spesso attraverso meccanismi di cooptazione.
Al centro della distribuzione vi e’ la «massa media», a sua volta sempre piu’ differenziata fra nuovi e vecchi ceti, come si e’ appena detto.
Il tradizionale Quarto Stato si e’ storicamente disciolto all’interno di questa massa ed e’ oggi principale componente della vecchia classe media, in via di arretramento: nel complesso questo ceto ha registrato una stagnazione dei propri redditi e, durante la crisi, addirittura una riduzione.
A dispetto dell’impoverimento relativo, la vecchia classe media e’ in qualche modo connessa ai circuiti globali, in quanto consumatrice di beni e servizi resi accessibili proprio dalla globalizzazione: pensiamo ai voli low cost e al turismo di massa, a computer, cellulari e cosi’ via.
Ma della globalizzazione questo ceto percepisce oggi soprattutto gli aspetti negativi sul piano della insicurezza economica e sociale. Molte famiglie hanno perso il lavoro e/o hanno dovuto ridimensionare il tenore di vita […]
Al fondo della distribuzione troviamo i “deprivati”, gli “esclusi” e soprattutto la maggior parte dei precari. Chi fa perte del Quinto Stato tende a subire le conseguenze negative dell’apertura e delle politiche che l’hanno accompagnata: liberalizzazione dei mercati del lavoro, delocalizzazioni, tagli ai servizi pubblici (compreso il personale) e cosi’ via. I fautori della globalizzazione e dell’integrazione economica hanno sovrastimato il potenziale di trickle down (gocciolamento verso il basso) di questi processi. Dei vantaggi economici hanno beneficiato solo i decili più alti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139790
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-societa-del-quinto-stato-di-maurizio-ferrera/
https://maurizioferrera.wordpress.com/2018/07/16/il-quinto-stato/
https://www.corriere.it/cultura/19_settembre_17/quinto-stato-serve-nuovo-welfare-proposte-maurizio-ferrera-585a6428-d96a-11e9-8812-2a1c8aa813a3.shtml

Capitalismo/D’Eramo

Marco D’Eramo – Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi – Feltrinelli (2020)

La prima rottura tra liberalismo e neoliberalismo e’ politica: le politiche auspicate dal neoliberalismo americano sono totalmente contrarie allo spirito (se non alla pratica) del liberalismo politico: la dice lunga l’entusiasmo di von Hayeke Friedman per un dittatore come il generale Pinochet.
Quindi, almeno in inglese, il neoliberalismo e’ l’opposto del liberalismo (in italiano usiamo “liberismo” per indicare la concezione economica e “liberalismo” per quella politica).
La seconda rottura e’ filosofica, epistemologica: il concetto chiave della teoria economica classica era il mercato, come luogo e meccanismo di scambio, a partire dal famoso mito del baratto originario, dall’“inclinazione nella natura umana a trafficare, barattare, e scambiare una cosa con l’altra,” […]
In un mercato perfetto gli agenti si scambiano merci e denaro in un regime di reciprocita’ che suppone una condizione di uguaglianza. Nel neo-liberismo invece il concetto chiave e’ la concorrenza, non come dato di natura, situazione primordiale dell’umanita’ (quale era il mercato nel mitico baratto), ma come ideale da raggiungere e come condizione precaria e difficile da mantenere.
Insita nella concorrenza vi e’ non l’uguaglianza, ma la diseguaglianza, poiche’ nella concorrenza – nella competizione – c’e’ un vincitore e un perdente (altrimenti che competizione sarebbe?): la concorrenza non solo e’ basata sulla diseguaglianza, ma la crea […]
L’individuo e’ percio’ considerato, si’, come operatore del mercato, ma in quanto competitore nella concorrenza […]
In quanto concorrente ogni individuo e’ considerato un imprenditore, anzi un’impresa di per se’: il manager di se’. Nell’antropologia neolib, l’unita’-individuo e’ un’unità-impresa e l’individuo e’ il proprietario di se stesso. […]
La prima conseguenza di quest’impostazione e’ che siamo tutti proprietari, dal bracciante messicano al minatore nero sudafricano al banchiere di Wall Street. Ma di cosa esattamente siamo proprietari, quando per esempio non possediamo denaro ne’ oggetti materiali? Siamo proprietari di noi stessi: cioe’ noi stessi costituiamo il nostro proprio capitale. Ognuno e’ proprietario di se’, cioe’ del proprio capitale umano: proprietario della propria impresa, cioe’ di se’, che investe il suo capitale: da qui la nozione di capitale umano […]
Ma se anche i proletari sono capitalisti, seppure di solo capitale umano, allora non c’e’ da un lato il capitalista che compra la merce-lavoro al proletario e dall’altro il proletario che vende la propria merce-lavoro al capitalista. Ci sono solo due capitalisti che in modo diverso ricavano un reddito dal proprio capitale (l’uno dal capitale economico, l’altro dal capitale umano).
Non c’e’ piu’ sfruttamento del lavoratore da parte del capitalista, ma c’e’ auto-sfruttamento del lavoratore-capitalista-di-se’.
Tutte le categorie concettuali tradizionali, come sfruttamento e alienazione, vengono meno e la loro cancellazione mina alla base, teoricamente, il movimento operaio, la cui sconfitta va ben al di la’ della contingenza storica dovuta alla scomparsa dei partiti e dei sindacati che lo rappresentano politicamente.
E’ una sconfitta teorica e concettuale, perche’ in questa nuova visione dell’economia il lavoro diventa un reddito da capitale [..]
La migrazione costa perche’ spostarsi costa, inoltre mentre si sposta il migrante non guadagna, e in piu’ l’inserimento in un nuovo ambiente comporta un costo psicologico. Ma tutti questi (e altri) costi sono affrontati in vista di un miglioramento, di un accrescimento di status, di un aumento di reddito. Questi costi sono un investimento. Il migrante e’ un imprenditore di se’ che affronta spese per ottenere un miglioramento.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2020/11/recensione-marco-deramo-dominio/
https://www.internazionale.it/opinione/giuliano-milani/2020/11/10/marco-d-eramo-dominio
https://sbilanciamoci.info/i-meccanismi-del-dominio/
https://www.sinistrainrete.info/societa/17891-marco-d-eramo-la-bolla-dell-overtourism-si-e-sgonfiata-ma-tornera-presto-a-crescere.html

Geoeconomia/Piketty

Thomas Piketty – Capitale e ideologia. Ogni comunita’ ha bisogno di giustificare le proprie disuguaglianze – La Nave di Teseo (2020)

L’idea per cui la democrazia “controllata” alla cinese sarebbe riuscita a coinvolgere tutti gli strati della popolazione in maniera piu’ rappresentativa rispetto alle democrazie elettorali occidentali non sembra possa essere suffragata […], soprattutto a causa della sua palese mancanza di trasparenza.
La fortissima crescita delle disuguaglianze in Cina e l’estrema opacita’ che le caratterizza suscitano inoltre seri dubbi sul reale coinvolgimento delle classi popolari cinesi nel processo decisionale socialmente rappresentativo che il PCC sostiene di assicurare.
E’ vero comunque che le molteplici critiche che il modello cinese muove ai sistemi politici occidentali vanno prese sul serio.
Oltre al controllo sul finanziamento del sistema dei media e dei partiti, e oltre alle difficolta’ strutturali in merito alla questione dei confini e della proprieta’, e’ innegabile che le istituzioni parlamentari tendono sempre piu’ a essere gestite con riunioni “a porte chiuse”, e a configurarsi come ambienti autoreferenziali, sia nell’Unione Europea che negli Stati Uniti.
L’idea di rappresentanza deve essere valorizzata con dispositivi di decisione e di partecipazione che vadano al di la’ di una semplice consultazione elettorale ogni quattro o cinque anni.
Le conferme concrete in cui puo’ attuarsi la democrazia sono da reinventare costantemente e il confronto sereno tra diversi modelli ed esperienze storiche puo’ contribuirvi in maniera significativa a condizione di saper superare le tensioni identitarie e l’arroganza nazionalista.

Info:
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/06/24/thomas-piketty-capitale-ideologia
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/capitale-e-ideologia-intervista-a-thomas-piketty/
https://www.ilmessaggero.it/libri/capitale_e_ideologia_il_nuovo_saggio_di_piketty_star_dell_economia_pop-5299153.html
http://temi.repubblica.it/micromega-online/piketty-il-capitalismo-non-e-piu-in-grado-di-giustificare-le-sue-disuguaglianze/
https://www.huffingtonpost.it/2018/09/08/lincubo-social-nativista-italiano-potrebbe-molto-rapidamente-riguardarci-da-vicino-piketty-avverte-le-democrazie-europee_a_23520935/

Economia di mercato/Alacevich

Michele Alacevich, Anna Soci – Breve storia della disuguaglianza – Laterza (2019)

L’obiettivo della teoria economica divenne l’allargamento delle opportunita’ di impiego e la promozione della crescita poiche’ si desiderava ingrandire la torta piuttosto che distribuire fette piu’ uguali per tutti, nella convinzione che con una torta piu’ grande a tutti sarebbero toccate fette piu’ grandi, e che fosse la dimensione assoluta delle fette a contare piuttosto che quella relativa.
Oggi, questa visione e’ messa fortemente in dubbio.
La ricerca economica si e’ interessata solo di recente alla distribuzione personale dei redditi, e uno dei motivi, se non il principale, e’ che i paesi economicamente sviluppati stanno attualmente vivendo un allarmante grado di disuguaglianza.
La disoccupazione prolungata, la riduzione dei salari, un crescente accumulo di ricchezza da parte di pochi individui associata ad una stagnazione dei redditi del resto della popolazione, una scala sociale piu’ ripida e un accesso all’istruzione ostacolato dalle piu’ difficili condizioni finanziarie sono tra i fattori principali che nel XXI secolo hanno portato la distribuzione del reddito al centro della scena.
Inoltre, la globalizzazione non ha prodotto cio’ che
prometteva in termini di crescita e uguaglianza tra paesi, e sta influenzando in modo deciso – e non sempre positivo – i processi economici e distributivi all’interno delle singole nazioni.
Dunque, la disuguaglianza economica e’ in prima linea nel dibattito politico odierno, probabilmente perche’ i movimenti sociali emersi hanno costretto gli economisti a rivolgervi lo sguardo.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858136249
https://www.letture.org/breve-storia-della-disuguaglianza-michele-alacevich-anna-soci

Societa’/Ardeni

Pier Giorgio Ardeni – Le radici del populismo. Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia – Laterza (2020)

Il grado di alfabetizzazione degli individui e’ importante dal punto di vista della partecipazione sociale e professionale.
Ebbene, se in Italia l’analfabetismo strumentale e’ stato sostanzialmente ridotto a quasi zero, e’ pero’ vero che ancora all’ultimo censimento (2011) ben 4,9 milioni di italiani erano analfabeti o privi di licenza elementare.
Se a questi aggiungiamo i possessori di sola licenza elementare – poco più di 11 milioni – allora si ha che in Italia gli illetterati (cosi’ li definisce l’OCSE) compongono quasi il 30% della popolazione.
Ma, come sottolineano molte indagini sui livelli di istruzione degli adulti, alla mancanza di istruzione oggi si aggiunge l’analfabetismo funzionale, ovvero «l’incapacita’ di un individuo di usare in modo efficiente le abilita’ di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana» […]
Se, tuttavia, prendiamo in esame quello che l’OCSE considera «il livello di competenze alfabetiche e numeriche considerate necessarie per interagire in modo efficace nella societa’ del XXI secolo», nel complesso, il 71% della popolazione italiana non raggiunge quel livello, un dato drammatico.
Piu’ di sette italiani su dieci, quindi, sono analfabeti funzionali o hanno capacita’ cognitive e di elaborazione minime! Inoltre, il confronto tra l’Italia e la media OCSE, per le diverse classi di eta’, evidenzia ancor di piu’ la distanza del nostro paese dagli altri.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858141779
https://www.letture.org/le-radici-del-populismo-disuguaglianze-e-consenso-elettorale-in-italia-pier-giorgio-ardeni

Capitalismo/ Alacevich

Michele Alacevich, Anna Soci – Breve storia della disuguaglianza – Laterza (2019)

Secondo l’Economic Policy Institute di Washington DC, nel 1965 la remunerazione di un amministratore delegato negli Stati Uniti era ventiquattro volte superiore a quella di un lavoratore medio; nel 1978 il rapporto era 35 a 1; nel 2007, 277 a 1; e nel 2010, due anni dopo l’inizio della recessione globale, 243 a 1.
Secondo Raghuram Rajan, ex capo economista del FMI, ancora piu’ preoccupante e’ l’allargamento del divario verificatosi non solo tra i miliardari (che rappresentano lo 0,01% piu’ ricco della distribuzione mondiale del reddito) e il resto della popolazione, ma anche tra il reddito degli appartenenti al 90° percentile (vale a dire chi guadagna piu’ di quanto guadagni il 90% della popolazione) – per esempio gli alti dirigenti – e sia chi si trovi al fondo della scala retributiva sia chi appartenga alla classe media, i cui guadagni sono rimasti di fatto immutati a partire dagli anni Ottanta […]
La disuguaglianza abbraccia dimensioni diverse – come testimonia l’attuale dibattito sui suoi aspetti sociali, politici, economici, di genere, di razza, di salute, di accesso ai livelli di istruzione, ecc. – la cui rilevanza e’ cambiata significativamente dal punto di vista sia storico sia geografico. In molti casi le catagorie di cui oggi facciamo uso sarebbero apparse prive di significato in epoche precedenti e ancora oggi molte forme di disuguaglianza sono lontane dall’essere riconosciute universalmente […]
Le persone, poi, possono avere opinioni molto differenti , non solo sul grado di disuguaglianza da considerare accettabile o inaccettabile ma anche – e si tratta di un punto dirimente – su quali disuguaglianze siano o non siano importanti, giacche’ ognuno mettera’ valori diversi al centro del proprio universo morale.
Poiche’ gli esseri umani sono animali sociali e la disuguaglianza indica, per definizione, una dimensione razionale, le discussioni sull’uguaglianza e sulla disuguaglianza riguardano a loro volta la struttura di una societa’ […]
Una delle tematiche della piu’ ampia questione della diseguaglianza, tuttavia, fa da sostegno e al contempo si affianca alle altre forme di disuguaglianza.
Ci riferiamo alla disuguaglianza economica .
In pochi negherebbero che essa pone sfide drammatiche alle societa’ moderne, siano queste economicamente avanzate o meno sviluppate.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858136249
https://www.letture.org/breve-storia-della-disuguaglianza-michele-alacevich-anna-soci

 

Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Nel 2008 una crisi finanziaria, inizialmente quasi impercettibile e poi inarrestabile, ha innescato in Europa quella che e’ diventata una crisi prima economica e poi sociale.
Tutte le crisi prima o poi passano: ma, nel valutare un sistema economico, cio’ che conta non e’ che la crisi sia finita, ma il tempo che ci vuole per arrivare a una completa ripresa, le sofferenze inflitte tanto a lungo ai cittadini e la vulnerabilita’ del sistema a un’altra crisi.
In Europa le conseguenze della crisi finanziaria e della recessione sono state inutilmente gravi, lunghe e dolorose. Il divario tra la condizione attuale dell’economia e quella in cui si sarebbe trovata in assenza di crisi si misura ormai in trilioni di euro. E ancor oggi, un decennio dopo lo scoppio della crisi, la crescita rimane anemica e fragile.
Il fenomeno che meglio di ogni altro compendia gli effetti della crisi finanziaria del 2008 e’ la disoccupazione, che e’ aumentata in quasi tutti i paesi, e in alcuni di essi ha raggiunto livelli vertiginosi.
Dieci anni dopo, in gran parte dell’Unione la disoccupazione rimane inaccettabilmente alta, ma i leader europei continuano a preoccuparsi degli eventuali costi futuri dell’aumento del debito e del disavanzo in molti paesi, e a disinteressarsi delle conseguenze devastanti della crisi per tanti europei […]
Oggi un gran numero di giovani non ha alcuna possibilita’ di trovare un lavoro sicuro o gratificante in linea con le proprie capacita’ e aspirazioni: tra coloro che hanno meno di 25 anni, e quelli che non hanno completato gli studi secondari superiori, il tasso di disoccupazione medio europeo e’ il doppio di quello complessivo: rispettivamente 18,5 e 17 per cento.
E’ stato un decennio di occasioni perdute, nel corso del quale la disoccupazione di massa e’ diventata causa e al tempo stesso effetto della disuguaglianza. Molti lavoratori anziani che avrebbero potuto continuare a dare un contributo alla societa’ non ne hanno avuto la possibilita’; i giovani hanno dovuto fare a meno di quella prima fase di sviluppo delle competenze che e’ essenziale per la loro formazione e che incidera’ sulla loro crescita.

Info:
https://www.linkiesta.it/2020/05/nobel-stigliz-come-riscrivere-economia-europea/
http://temi.repubblica.it/micromega-online/al-capezzale-dell-europa/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/riscrivere-leconomia-europea/

Populismo/Levitsky

Steven Levitsky, Daniel Ziblatt – Come muoiono le democrazie – Laterza (2019)

Il populismo e’ la reazione all’impatto della globalizzazione (e della rivoluzione tecnologica da essa favorita) su ceti sociali privi degli strumenti cognitivi per riqualificare la propria capacita’ lavorativa.
Con la globalizzazione, merci e beni prodotti a costi bassi nelle economie non occidentali sono entrati nei mercati occidentali, mettendo in crisi le tradizionali attivita’ produttive di questi ultimi. Il populismo si e’ proposto come lo strumento politico con il quale i lavoratori bianchi negli Stati Uniti o la classe operaia poco qualificata in Europa hanno cercato di arrestare il declino della loro condizione economica, spingendo verso politiche protezionistiche e redistributive.
Per alcuni scienziati politici, invece, il populismo riflette una crisi di identita’ dei ceti sociali che hanno subito il processo di globalizzazione. Secondo questa interpretazione, il sostegno al populismo nasce da una perdita di senso della vita di milioni di cittadini occidentali. Le diseguaglianze sociali sono rilevanti ma in quanto accentuano la percezione di marginalizzazione sociale di importanti settori delle societa’ occidentali. […]
Vi e’ infine una terza interpretazione del populismo, elaborata da sociologi e scienziati della comunicazione. Secondo questa interpretazione, il populismo e’ il risultato di una trasformazione epocale della comunicazione politica,dovuta alla diffusione di social media che hanno superato i tradizionali canali informativi tra cittadini e potere, accentuando un processo gia’ in corso di disintermediazione sociale e culturale.
Le societa’ disintermediate non hanno bisogno di passare attraverso la mediazione dei giornalisti per rapportarsi con il potere. Cosi’ come non hanno bisogno della mediazione dei rappresentanti di partiti o di associazioni di interesse per comunicare con il potere.
Secondo questa interpretazione, e’ stata la rivoluzione dell’informazione a creare le condizioni per collegare direttamente il popolo ai leader populisti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858135280
https://www.stroncature.com/2019/10/08/come-muoiono-le-democrazie/
https://www.eunews.it/2019/09/20/muoiono-le-democrazie/120948