Il culto della performance e del successo individuale e’ diventato la proiezione concreta della brutale affermazione della Thatcher secondo cui «la societa’ non esiste».
Non e’ che non esista: non deve esistere. O meglio, non deve esistere la socialita’, la cooperazione, l’identita’ collettiva. Esistono individui singoli. E sono o pedine in una scacchiera, anonime, sacrificabili; o individui di successo […]
L’esaltazione delle virtu’ imprenditoriali, delle virtu’ del mercato, della competizione, del profitto, ha assunto forme dirette e indirette. E queste ultime sono, in fondo, le piu’ efficaci. L’idea che ogni esperienza umana, ogni attivita’ professionale, ogni forma del sapere possa essere tradotta in una competizione che ha come posta un compenso monetario risale ai primordi della televisione e ha, naturalmente, nello spettacolo degli sport professionistici (a loro volta determinanti per i palinsesti dei mezzi di comunicazione di massa) un modello fondamentale.
Col passare del tempo le trasmissioni di intrattenimento basate su una competizione tra concorrenti hanno occupato parti crescenti dei palinsesti televisivi: competizioni canore, competizioni di aspiranti chef, competizioni in giochi surreali, competizioni in giochi disgustosi, competizioni basate sulle conoscenze o sulla memoria, hanno monopolizzato l’attenzione del pubblico.
E implicitamente hanno avvalorato l’idea che la competizione archetipica, quella combattuta dagli imprenditori sul libero mercato, sia il migliore dei modelli ai quali ci si puo’ ispirare […]
Le trasmissioni «di competizione» non vogliono offrire un’accurata trasposizione simbolica del sistema di mercato, ma vogliono magnificare le qualita’ positive astratte di chi vince la competizione: e in definitiva suggeriscono che vincere, avere successo, e’ cio’ che veramente conta. Il tutto «garantito», per cosi’ dire, dalle vere star di questi format televisivi, che non sono tanto i concorrenti (i quali hanno una breve notorieta’ per lo spazio della competizione, e poi spariscono), quanto i giudici, che nella finzione narrativa ricoprono questo ruolo per le loro grandi qualita’ professionali, certificate dal potere anonimo di una qualche invisibile entita’ superiore che li ha scelti.
Il potere assoluto col quale questi giudici emettono i loro verdetti e’ apprezzato dal pubblico, che ne e’ rassicurato e che puo’ scegliere tra referees dal profilo militaresco e repressivo e referees dal profilo piu’ gentilmente paternalistico […]
«Senza rendercene conto, senza aver mai deciso di farlo, siamo passati dall’avere un’economia di mercato all’essere una societa’ di mercato. La differenza e’ questa: un’economia di mercato e’ uno strumento – prezioso ed efficace – per organizzare l’attivita’ produttiva. Una societa’ di mercato e’ un modo di vivere in cui i valori di mercato penetrano in ogni aspetto dell’attivita’ umana. Un luogo dove le relazioni sociali sono trasformate a immagine del mercato».
E cosi’, per esempio, le unita’ sanitarie diventano «aziende». I loro amministratori, scelti dai politici, sono – in primo luogo – dei contabili che devono far quadrare un (magro) bilancio. Gli istituti di istruzione sono sottoposti a valutazioni numeriche sulla base di un insieme di variabili che qualche team ha predeterminato in modo da poter alla fine stilare una classifica (come se ci fosse il campionato degli istituti di istruzione o delle universita’). Il sapere scientifico si misura in «crediti» […]
Passando poi rapidamente dal micro al macro, e’ inevitabile osservare che i paesi stessi e le loro economie sono valutati da entita’ di cui si accetta l’autorevolezza senza neanche chiedersi da chi siano composte (Moody’s; Standard & Poor’s; Fitch Ratings); spesso senza neanche sapere che sono aziende private, una delle quali (Moody’s) quotata in Borsa; ma subendone collettivamente le valutazioni come se fossero i verdetti dell’oracolo.
In un contesto di questo tipo, solo gli eroi vincenti hanno il diritto di emergere, di essere conosciuti per nome e cognome. Tutti gli altri sono numeri. Statistiche. A volte statistiche cinicamente redatte: quanti morti ci possiamo permettere prima di dover fare una seria manutenzione delle infrastrutture? Quanti contagi ci possiamo permettere per consentire agli imprenditori di riaprire le loro attivita’ durante la pandemia? Quanti bambini e bambine possiamo far ammalare, rimandandoli a scuola al piu’ presto possibile, in modo che le mamme possano rientrare in fabbrica o in ufficio?
Info:
https://www.editorialedomani.it/idee/commenti/la-fragile-democrazia-dei-follower-il-like-al-posto-del-voto-atxsrm5k
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/banti-5.pdf
https://www.letture.org/la-democrazia-dei-followers-neoliberismo-e-cultura-di-massa-alberto-mario-banti
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-democrazia-dei-followers-di-alberto-mario-banti/
https://www.lacittafutura.it/recensioni/la-democrazia-dei-followers