Populismo/Ardeni

Pier Giorgio Ardeni – Le radici del populismo. Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia – Laterza (2020)

Il populismo puo’ essere definito, alternativamente, come ideologia, come stile discorsivo e come forma di mobilitazione politica […]
La definizione di populismo come ideologia e’ stata data dallo studioso olandese Cas Mudde in una serie di studi incentrati principalmente sui partiti populisti europei di destra (Mudde, 2004, 2007): «Un’ideologia centrata su un corpus “esile” che, in definitiva, considera la societa’ come separata in due gruppi omogenei e antagonisti, il “popolo puro” contro “l’elite corrotta”, e che sostiene che la politica dovrebbe essere un’espressione della volonte generale del popolo» […]
In alternativa alla definizione di esso come ideologia, si e’ sviluppato un approccio che definisce il populismo come uno stile discorsivo, a partire dal contributo di Margaret Canovan (1981).
Canovan ha elencato una tipologia comprensiva dei movimenti populisti osservando che tutti mostrano due caratteristiche principali: un’esaltazione del popolo e una posizione antielitaria, che esprime sfiducia nei confronti dei politici professionisti e della politica basata sulla competizione ideologica […]
In questo senso, esso e’ trans-ideologico, essendo piuttosto un registro discorsivo con una vocazione egemonica, una retorica che vede la politica come la lotta morale ed etica tra il popolo e l’oligarchia (l’elite). Lo si concettualizza, quindi, come un discorso manicheo che assegna una dimensione morale binaria ai conflitti politici, come fanno coloro che affermano di parlare a nome della maggioranza delle persone.
Infine, in contrapposizione agli approcci ideazionale e discorsivo, alcuni studiosi hanno sostenuto che il populismo non sia altro che una modalita’ di strategia politica, un registro demagogico caratterizzante taluni programmi politici per accattivare consensi, particolarmente dei ceti piu’ esposti, adottato a destra come a sinistra.
Politiche populiste sono quelle che puntano, ad esempio, alla redistribuzione economica per le classi piu’ colpite dalla crisi e alla nazionalizzazione delle risorse naturali: la mobilitazione populista, in questi casi, fa leva su appelli anti-establishment e anti-sistema, perche’ contrari a quegli obiettivi a favore del popolo.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858141779
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Populismo/Ardeni

Pier Giorgio Ardeni – Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia – Laterza (2020)

L’afonia della sinistra e’ diventata, come si dice, “assordante”.
Dopo la “terza via” blairiana, dopo il “progressivismo” ipercapitalistico e liberista clintoniano, dopo essersi stretti attorno al baluardo della crescita, sperando che questa arrivasse, mal proteggendo i ceti medi e auspicando che insistere sui diritti civili (ma non troppo, come nel caso dello ius soli) compensasse la perdita di rappresentanza sui temi economico-sociali, la disarticolazione dei “corpi intermedi”, senza preoccuparsi delle periferie, delle disuguaglianze crescenti, delle derive territoriali e locali, la sinistra ha finito per lasciare il popolo, nelle sue molte forme, abbandonato, stremato, confuso, perso, esposto alle piu’ concrete promesse dei “populisti” che lo hanno degnato di attenzione.
Le quali hanno preannunciato non solo panacee ambientaliste e finanche pauperiste – prefigurando la “decrescita felice”, scagliandosi contro l’euro, il capitalismo delle multinazionali, la globalizzazione e la “casta” – ma la fine della poverta’, il reddito di cittadinanza per tutti, la democrazia digitale.
Promesse populiste, certo, ma che sono andate a pescare in un fondo dove le altre avevano prosciugato il consenso, isterilendolo.

Info:
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Societa’/Ardeni

Pier Giorgio Ardeni – Le radici del populismo. Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia – Laterza (2020)

Il grado di alfabetizzazione degli individui e’ importante dal punto di vista della partecipazione sociale e professionale.
Ebbene, se in Italia l’analfabetismo strumentale e’ stato sostanzialmente ridotto a quasi zero, e’ pero’ vero che ancora all’ultimo censimento (2011) ben 4,9 milioni di italiani erano analfabeti o privi di licenza elementare.
Se a questi aggiungiamo i possessori di sola licenza elementare – poco più di 11 milioni – allora si ha che in Italia gli illetterati (cosi’ li definisce l’OCSE) compongono quasi il 30% della popolazione.
Ma, come sottolineano molte indagini sui livelli di istruzione degli adulti, alla mancanza di istruzione oggi si aggiunge l’analfabetismo funzionale, ovvero «l’incapacita’ di un individuo di usare in modo efficiente le abilita’ di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana» […]
Se, tuttavia, prendiamo in esame quello che l’OCSE considera «il livello di competenze alfabetiche e numeriche considerate necessarie per interagire in modo efficace nella societa’ del XXI secolo», nel complesso, il 71% della popolazione italiana non raggiunge quel livello, un dato drammatico.
Piu’ di sette italiani su dieci, quindi, sono analfabeti funzionali o hanno capacita’ cognitive e di elaborazione minime! Inoltre, il confronto tra l’Italia e la media OCSE, per le diverse classi di eta’, evidenzia ancor di piu’ la distanza del nostro paese dagli altri.

Info:
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Populismo/Ardeni

Pier Giorgio Ardeni – Le radici del populismo. Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia – Laterza (2020)

Molti degli studi e delle analisi sul populismo hanno finito per tratteggiarne i caratteri solo per imputargli l’attacco alla democrazia liberale.
Ma, se la democrazia e’ in crisi, non e’ a causa del populismo: affermare questo significa, in definitiva, oscurare le profonde ragioni economiche, sociali e politiche che hanno portato a mettere in discussione le forme stesse della partecipazione democratica […]
Cosa spinge i populismi?
Per rispondere a questa domanda, studiosi e ricercatori hanno adottato un approccio che guarda, per cosi’ dire, ai due lati della questione: il “lato dell’offerta”, ovvero l’offerta politica, cio’ che i partiti hanno proposto, come si sono posti, su quali messaggi e contenuti hanno fatto leva; e il “lato della domanda”, cioe’ cosa l’opinione pubblica e i cittadini sono venuti chiedendo, quali domande hanno espresso […]
Dal lato dell’offerta, studiosi e commentatori hanno recentemente dedicato la loro attenzione a questioni come le difficolta’ attraversate dalla democrazia, la scomparsa dei partiti politici, il declino dei tradizionali partiti di sinistra e socialdemocratici, l’indebolimento dello Stato sociale a seguito della crisi economica del 2008 e gli effetti delle politiche di risanamento del bilancio adottate dai partiti tradizionali […]
I populismi, secondo questi studi, sono il risultato della crisi della democrazia rappresentativa, dovuta alla scomparsa dei partiti politici tradizionali, particolarmente quelli di sinistra, alla caduta della partecipazione politica e a politiche sociali ed economiche rigoriste: tutti fattori che avrebbero alimentato un’offerta politica che ha potuto sostituirsi ai precedenti partiti di riferimento venuti meno.
Dal lato della domanda, le spiegazioni possono essere sostanzialmente ricondotte a due categorie: la prima e’ quella dell’insicurezza economica, che enfatizza le conseguenze dei profondi cambiamenti verificatisi negli ultimi decenni, derivanti dalla globalizzazione e dal progresso tecnologico che trasforma la forza lavoro e la societa’ nelle economie post-industriali (con esternalizzazione, aumento concorrenza dei paesi a basso salario, automazione) ma anche dalla crisi economica, dall’aumento della disoccupazione e dalla diminuzione del reddito; l’altra e’ la teoria della reazione culturale […] cioe’ una reazione contro valori progressisti, come il cosmopolitismo e il multiculturalismo, e lo spostamento verso valori “reazionari”, come quelli identitari e nazionalisti.

Info:
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Economia di mercato/Ardeni

Pier Giorgio Ardeni – Le radici del populismo. Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia – Laterza (2020)

Oggi, il reddito di un italiano e’ in media il
74,5% di quello tedesco (era stato il 94,6% nel
1996) e l’80,3% di quello francese (era stato il
97% nel 1996). E anche nei confronti della Spagna la distanza si e’ accorciata – sono loro che corrono mentre noi arranchiamo: il nostro reddito era del 47% superiore a quello spagnolo nel 1985 (la distanza maggiore di sempre), ma poi ha iniziato a calare e oggi il reddito pro capite italiano e’ appena maggiore del 6,8%.
Molto si e’ discusso in questi anni sulle ragioni di tale rallentamento dell’economia italiana, se esso sia dovuto ad una piu’ lenta dinamica della domanda aggregata – consumi privati, investimenti e spesa pubblica – e delle esportazioni o se, viceversa, non dipenda da fattori piu’ “strutturali”, che hanno a che fare con cio’ che produciamo e come: ovvero dalla produttivita’.
Nelle considerazioni di studiosi, commentatori e finanche rappresentanti delle istituzioni – come quelle del governatore
della Banca d’Italia, Ignazio Visco – il tema della
bassa crescita della produttivita’ appare ormai ricorrente: «l’Italia non cresce perche’ non cresce la produttivita’» […]
Quali sono le cause dello scarso aumento della produttivita’?
Se maggiore produttivita’ vuol dire maggiore efficienza e redditivita’ dei fattori impiegati e’ quindi una questione di tecnologia, di organizzazione e di competitivita’ sistemica, che vuol dire nuove idee, innovazioni nei prodotti, nei processi e nell’organizzazione.
Le imprese italiane e l’economia nel suo complesso hanno potuto sopravvivere negli ultimi anni grazie alla diminuzione dei salari – si e’ prodotto piu’ valore (poco) aumentando l’occupazione ma diminuendo i salari, invece di innovare, riorganizzare e rendere il sistema piu’ efficiente.
Cosa vuol dire tutto questo? Che si e’ investito poco.
Gli investimenti pubblici e privati sono calati e sono bassi da piu’ di due decenni. E soprattutto, sono calati gli investimenti in ricerca e sviluppo (dove nasce l’innovazione), sia quelli pubblici (ricerca e universita’) sia quelli privati.

Info:
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