A partire dagli anni Novanta si assiste, da un lato, a una serie di interventi militari sotto l’egida delle Nazioni Unite o della Nato, o promossi in prima persona dall’unica superpotenza rimasta, gli Stati Uniti d’America, e allargati alla partecipazione di una cerchia piu’ o meno ampia di suoi volenterosi alleati.
Il presupposto (la pretesa) e’ garantire al ricorso alla guerra un fondamento giuridico internazionale maggiore rispetto al passato, una legittimita’ che non si riduca alla volonta’ di potenza dei singoli stati coinvolti.
Si pensi alla guerra del Golfo del 1991 contro l’Iraq reo di aver invaso il Kuwait, o all’intervento in Somalia nel 1992-1995 nel tentativo (fallito) di porre fine al sanguinoso scontro tra signori della guerra, o ai bombardamenti della Nato in Kosovo nel 1999 per arrestare le azioni di pulizia etnica delle truppe serbe contro gli albanesi.
Poi tocchera’ all’Afghanistan (dal 2001) e di nuovo all’Iraq (dal 2003), ma a valle degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 su suolo americano, quando l’esigenza domestica di offrire ai cittadini statunitensi uno sfogo alla sindrome del rally ’round the flag suscitato da quella tragedia prende il sopravvento su qualunque residua aspirazione di fare appello al diritto internazionale.
Dall’altro lato, si assiste alla proliferazione di quelle che vengono qualificate come guerre civili perche’ interne agli stati e che tuttavia, il piu’ delle volte, si concretizzano nella spartizione cruenta di territori e risorse messa in atto da una serie di attori non statali della violenza a danno, sempre, della popolazione, costretta a migrazioni forzate: dalla disgregazione della Jugoslavia (1992-1995) alla gia’ citata Somalia e alla guerra in Congo (1998-2003), passando per il genocidio in Ruanda (1994) – per citare soltanto gli episodi piu’ noti.
Alcune di esse sono destinate a trasformarsi in arene in cui anche le medie potenze regionali possono rivendicare un proprio ruolo: la Libia del post-Gheddafi con due governi, ciascuno con i propri sponsor (Egitto ed Emirati Arabi Uniti contro Qatar e Turchia), e poi, ancora, la Siria dove concorrono la Russia, l’Iran, la Turchia. E, in entrambi i teatri, l’Isis, lo stato islamico, a sparigliare ulteriormente le carte – come nello Yemen dei bombardamenti sauditi contro i ribelli Huthi, del resto.
Info:
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/IL_FATTO_QUOTIDIANO_27012024.pdf
https://www.globalist.it/culture/2024/03/25/capitalismo-di-sangue-analisi-su-conflitti-globali-e-crisi-economica/
https://www.micromega.net/author/fabio-armao/