Societa’/D’Eramo

Marco D’Eramo – Dominio. La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi – Feltrinelli (2020)

Sarebbe strano se in quest’epoca di tumultuoso progresso tecnologico, l’unico settore a rimanere statico fosse quello della tecnologia del potere.
Anch’essa ha compiuto passi da gigante: il potere esercitato su ognuno di noi e’ infinitamente maggiore, piu’ pervasivo, piu’ costante, magari meno rozzamente brutale, ma piu’ implacabile di quello che veniva imposto ancora pochi decenni, per non parlare di un paio di secoli […]
Il passaggio dal feudalesimo al capitalismo industriale aveva corrisposto a una trasformazione del potere da potere sovrano a potere disciplinare: il potere regale era un potere che individuava il sovrano (“il corpo del re”) e rendeva anonimo il suddito, ed era un potere che poteva esercitarsi sulle persone insieme, e contemporaneamente ad altri poteri sovrani: il potere sovrano del pater familias (il nome del padre) coesisteva con il potere sovrano del re e con il potere sovrano del papa.
Al contrario, il potere disciplinare e’ un potere che rende anonimo il disciplinante ma individua il suddito, il soggetto (attraverso il libretto di lavoro, la pagella scolastica, il casellario giudiziario, la cartella clinica); e’ un potere totale, nel senso che investe tutta la persona su cui si esercita ed esclude gli altri poteri disciplinari: quando sei a scuola non sei in fabbrica, quando sei in manicomio non sei nell’esercito.
Ma e’ un potere legato a un luogo (la scuola, la caserma, la prigione, la fabbrica, l’ospedale) e a un tempo (la durata della detenzione, l’orario di lavoro, la lunghezza della leva…) […]
Invece oggi siamo sottoposti a un potere diverso da quello disciplinare, un potere ubiquo di “controllo a distanza”.
In primo luogo perche’ siamo sempre reperibili, sempre registrati, sempre intercettati. Non ci rendiamo conto del livello di sorveglianza, di controllo delle nostre vite a cui siamo sottoposti […]
Basti pensare alla promozione civica che hanno ricevuto nel 2020 i dispositivi di tracciatura individuale usati dagli stati per monitorare le singole persone: in precedenza erano messi in atto in modo discreto, come prodotto collaterale della socialita’ telematica; ma il virus ha promosso l’accettazione volontaria della marcatura digitale a encomiabile dovere civico, e il suo rifiuto a un atto di diserzione civile. La stessa epidemia ha, tra l’altro, dato una forte spinta all’estinzione della carta-moneta, del denaro fisico, in contanti, a favore della valuta elettronica, sotto forma di carta di credito, bancomat, trasferimenti online che permettono un controllo infinitamente piu’ puntuale, cui invece sfuggiva la banconota sgualcita e anonima.
Il controllo e’ capillare, continuo, ubiquo. E questo controllo e’ esercitato in modo sinergico dai grandi oligopoli informatici e dagli stati (come ci ha rivelato Edward Snowden), dove non si sa se sono gli stati che spiano per gli oligopoli o gli oligopoli che intercettano per gli stati, in cui cioe’ ognuna delle due parti usa l’altra.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2020/11/recensione-marco-deramo-dominio/
https://www.internazionale.it/opinione/giuliano-milani/2020/11/10/marco-d-eramo-dominio
https://sbilanciamoci.info/i-meccanismi-del-dominio/
https://www.sinistrainrete.info/societa/17891-marco-d-eramo-la-bolla-dell-overtourism-si-e-sgonfiata-ma-tornera-presto-a-crescere.html

Lavoro/Allievi

Stefano Allievi – La spirale del sottosviluppo. Perche’ (cosi’) l’Italia non ha futuro – Laterza (2020)

Lavoriamo poco. Lavoriamo in pochi. La produttivita’ e’ bassa. I salari sono bassi. Siamo assenti da molti settori innovativi.
Non c’è una politica industriale, un orientamento generale, almeno, se non proprio una visione, cui riferirci (quand’anche c’e’, e non e’ il caso piu’ frequente, cambia a ogni cambio di governo).
Non abbiamo chiaro quali saranno in futuro i settori fondamentali in cui sara’ utile impegnarci. Il sistema dell’istruzione e quello della formazione sono sottofinanziati e scollegati dal mondo del lavoro. Non ci rendiamo nemmeno conto di chi lavora per noi (in certa misura consentendoci di fare altro) e quanto […]
La produttivita’ e’ bassissima. L’Italia e’ l’unico paese del mondo sviluppato in cui e’ ferma dagli anni Novanta: un quarto di secolo senza alcun progresso. L’innovazione c’e’, in alcuni ambiti, e lo prova l’andamento positivo dell’export in settori fortemente concorrenziali. Ma e’ largamente insufficiente al bisogno. Un mercato ingessato e poco esposto alla concorrenza e lo scarso rendimento del capitale umano […] sono parte del problema.
Come lo e’ la scarsa alfabetizzazione digitale e la lenta e difficile introduzione delle tecnologie ICT (information and communication technologies) nella vita quotidiana dei cittadini (Eurostat2019) e nell’impresa, a sua volta causata dalla dimensione familiare di troppe piccole aziende e dalla modesta capacita’ del management (Pellegrino e Zingales 2019) – o, detto altrimenti, dalla scarsita’ di meritocrazia nella selezione del management stesso e dalla sua eta’ elevata, dato che la gerontocrazia che caratterizza il paese impregna anche l’impresa […]
Il livello di istruzione degli occupati classificati come manager (imprenditori e alta dirigenza) nel nostro paese e’ aumentato negli ultimi anni, ma il differenziale rispetto agli altri paesi europei e’ ancora oggi enorme. Le classifiche Eurostat sono istruttive: nel 2018, il 26,5% dei manager italiani e’ in possesso di un titolo di istruzione terziario (nel 2006 era il 14,5%), mentre il 26,7% e’ in possesso di un titolo di scuola dell’obbligo (nel 2006 era il 39,2%). La media europea (UE 28) ci restituisce un quadro molto diverso: ben il 58,2% dei manager risulta laureato (piu’ del doppio che in Italia!) e solo l’8,9% ha un titolo di istruzione obbligatoria (un terzo rispetto all’Italia!). Differenze impressionanti, che il primo a non voler vedere e’ il mondo stesso dell’impresa, perche’ significherebbe mettere in discussione se’ stesso e le proprie capacita’. Sempre dimostrate dall’esistenza stessa delle imprese: se ci sono e producono utili, l’imprenditore tende comprensibilmente a considerarsi bravo. Piu’ raramente e’ capace di ammettere che potrebbe essere piu’ bravo, se migliorasse, tra le altre cose, la dotazione di capitale umano dell’impresa, a cominciare dal proprio, per continuare con quello dei propri dipendenti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139868
http://www.avantionline.it/la-spirale-del-sottosviluppo-pesa-sul-futuro-dellitalia/

Stato/Kelton

Stephanie Kelton – Il mito del deficit. La teoria monetaria moderna per un’economia al servizio del popolo – Fazi (2020)

Secondo la visione convenzionale, al centro dell’universo monetario si trova il contribuente, in ragione della credenza per la quale lo Stato, di per se’, non possiede denaro.
Ne consegue che gli unici soldi disponibili per finanziare lo Stato devono provenire in ultima istanza dalle persone comuni come noi.
La MMT  [Modern Monetary Theory] cambia radicalmente questa nostra comune rappresentazione riconoscendo il fatto che non e’ il contribuente a finanziare le spese dello Stato bensi’ l’istituto di emissione monetaria, cioe’ il governo centrale stesso; e che l’idea per la quale sono le tasse a finanziare le spese dello Stato e’ pura e semplice fantasia […]
Solo perche’ non esistono vincoli finanziari al bilancio dello Stato non significa che non vi siano limiti reali a cio’ che il governo puo’ (e dovrebbe) fare. Ogni economia ha i propri limiti di velocita’ interni, regolati dalla disponibilita’ delle sue risorse produttive reali: lo stato della tecnologia e la quantita’ e qualita’ delle sue terre, dei suoi lavoratori, delle sue fabbriche, dei suoi macchinari e delle altre risorse materiali.
Se lo Stato spende troppo in un’economia che sta gia’ correndo a piena velocita’, l’inflazione comincera’ ad accelerare.
Dei limiti quindi esistono. Questi, pero’, non stanno nella possibilita’ del nostro governo di spendere soldi o nel deficit, ma nelle pressioni inflazionistiche e nelle risorse presenti all’interno dell’economia reale.
La MMT distingue dunque nettamente i limiti reali dai vincoli immaginari e autoimposti.

Info:
http://osservatorioglobalizzazione.it/recensioni/il-mito-del-deficit-kelton/
https://www.lafionda.org/2020/09/27/il-mito-del-deficit/
https://fazieditore.it/catalogo-libri/il-mito-del-deficit/
https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/19308-brian-cepparulo-il-mito-del-deficit-stephanie-kelton-e-la-nuova-frontiera-della-mmt.html

Capitalismo/Fisher

Mark Fisher – Realismo capitalista – Produzioni Nero (2018)

Oggi in Gran Bretagna la depressione e’ la condizione piu’ trattata dal sistema sanitario nazionale […]
Ritengo che il crescente problema dello stress (e dell’angoscia) nelle societa’ capitaliste vada reinquadrato; anziche’ scaricare sugli individui la risoluzione dei loro problemi psicologici – vale a dire, anziche’ accettare la generalizzata privatizzazione dello stress che ha preso piede negli ultimi trent’anni – quello che dovremmo chiederci e’: com’e’ potuto diventare tollerabile che cosi’ tante persone, e in particolare cosi’ tante persone giovani, siano malate?
La «piaga della malattia mentale» che affligge le societa’ capitaliste lascia intendere che, anziche’ essere l’unico sistema che funziona, il capitalismo sia innatamente disfunzionale; il
prezzo che paghiamo per dare l’impressione che il capitalismo fili liscio e’ davvero molto alto.
L’altro fenomeno che vorrei evidenziare e’ la burocrazia.
Nella loro polemica contro il socialismo, gli ideologi neoliberali hanno volentieri puntato il dito contro quel verticismo burocratico che nelle economie pianificate si e’ tradotto in inefficienza generalizzata e sclerosi istituzionale; col trionfo del neoliberismo la burocrazia e’ stata quindi relegata a retaggio obsoleto, quasi fosse la reliquia di un passato stalinista verso cui nessuno poteva certo provare nostalgia.
Questa interpretazione pero’ non coincide con l’esperienza della maggior parte delle persone che vivono e lavorano sotto il tardo capitalismo, per le quali la burocrazia resta una parte importante della vita di tutti i giorni. La realta’ e’ che, piuttosto che scomparire, la burocrazia ha cambiato aspetto, ed e’ proprio questo suo aspetto inedito e decentralizzato che le ha permesso di proliferare.

Info:
https://open.luiss.it/2018/08/09/prigionieri-della-realta-che-cose-il-realismo-capitalista-secondo-mark-fisher/
https://www.iltascabile.com/recensioni/realismo-capitalista-fisher/
https://www.glistatigenerali.com/filosofia/il-realismo-capitalista-mark-fisher/

 

Economia di mercato/Ardeni

Pier Giorgio Ardeni – Le radici del populismo. Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia – Laterza (2020)

Oggi, il reddito di un italiano e’ in media il
74,5% di quello tedesco (era stato il 94,6% nel
1996) e l’80,3% di quello francese (era stato il
97% nel 1996). E anche nei confronti della Spagna la distanza si e’ accorciata – sono loro che corrono mentre noi arranchiamo: il nostro reddito era del 47% superiore a quello spagnolo nel 1985 (la distanza maggiore di sempre), ma poi ha iniziato a calare e oggi il reddito pro capite italiano e’ appena maggiore del 6,8%.
Molto si e’ discusso in questi anni sulle ragioni di tale rallentamento dell’economia italiana, se esso sia dovuto ad una piu’ lenta dinamica della domanda aggregata – consumi privati, investimenti e spesa pubblica – e delle esportazioni o se, viceversa, non dipenda da fattori piu’ “strutturali”, che hanno a che fare con cio’ che produciamo e come: ovvero dalla produttivita’.
Nelle considerazioni di studiosi, commentatori e finanche rappresentanti delle istituzioni – come quelle del governatore
della Banca d’Italia, Ignazio Visco – il tema della
bassa crescita della produttivita’ appare ormai ricorrente: «l’Italia non cresce perche’ non cresce la produttivita’» […]
Quali sono le cause dello scarso aumento della produttivita’?
Se maggiore produttivita’ vuol dire maggiore efficienza e redditivita’ dei fattori impiegati e’ quindi una questione di tecnologia, di organizzazione e di competitivita’ sistemica, che vuol dire nuove idee, innovazioni nei prodotti, nei processi e nell’organizzazione.
Le imprese italiane e l’economia nel suo complesso hanno potuto sopravvivere negli ultimi anni grazie alla diminuzione dei salari – si e’ prodotto piu’ valore (poco) aumentando l’occupazione ma diminuendo i salari, invece di innovare, riorganizzare e rendere il sistema piu’ efficiente.
Cosa vuol dire tutto questo? Che si e’ investito poco.
Gli investimenti pubblici e privati sono calati e sono bassi da piu’ di due decenni. E soprattutto, sono calati gli investimenti in ricerca e sviluppo (dove nasce l’innovazione), sia quelli pubblici (ricerca e universita’) sia quelli privati.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858141779
https://www.letture.org/le-radici-del-populismo-disuguaglianze-e-consenso-elettorale-in-italia-pier-giorgio-ardeni

Populismo/Levitsky

Steven Levitsky, Daniel Ziblatt – Come muoiono le democrazie – Laterza (2019)

Il populismo e’ la reazione all’impatto della globalizzazione (e della rivoluzione tecnologica da essa favorita) su ceti sociali privi degli strumenti cognitivi per riqualificare la propria capacita’ lavorativa.
Con la globalizzazione, merci e beni prodotti a costi bassi nelle economie non occidentali sono entrati nei mercati occidentali, mettendo in crisi le tradizionali attivita’ produttive di questi ultimi. Il populismo si e’ proposto come lo strumento politico con il quale i lavoratori bianchi negli Stati Uniti o la classe operaia poco qualificata in Europa hanno cercato di arrestare il declino della loro condizione economica, spingendo verso politiche protezionistiche e redistributive.
Per alcuni scienziati politici, invece, il populismo riflette una crisi di identita’ dei ceti sociali che hanno subito il processo di globalizzazione. Secondo questa interpretazione, il sostegno al populismo nasce da una perdita di senso della vita di milioni di cittadini occidentali. Le diseguaglianze sociali sono rilevanti ma in quanto accentuano la percezione di marginalizzazione sociale di importanti settori delle societa’ occidentali. […]
Vi e’ infine una terza interpretazione del populismo, elaborata da sociologi e scienziati della comunicazione. Secondo questa interpretazione, il populismo e’ il risultato di una trasformazione epocale della comunicazione politica,dovuta alla diffusione di social media che hanno superato i tradizionali canali informativi tra cittadini e potere, accentuando un processo gia’ in corso di disintermediazione sociale e culturale.
Le societa’ disintermediate non hanno bisogno di passare attraverso la mediazione dei giornalisti per rapportarsi con il potere. Cosi’ come non hanno bisogno della mediazione dei rappresentanti di partiti o di associazioni di interesse per comunicare con il potere.
Secondo questa interpretazione, e’ stata la rivoluzione dell’informazione a creare le condizioni per collegare direttamente il popolo ai leader populisti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858135280
https://www.stroncature.com/2019/10/08/come-muoiono-le-democrazie/
https://www.eunews.it/2019/09/20/muoiono-le-democrazie/120948

Europa/Piketty

Thomas Piketty – Capitale e ideologia. Ogni comunita’ ha bisogno di giustificare le proprie disuguaglianze – La Nave di Teseo (2020)

Come spiegare questo forte divario che separa le classi popolari (nel senso piu’ ampio) dal progetto di costruzione europea?
Mi sembra che la spiegazione piu’ plausibile risieda nella percezione (in gran parte giustificata) che il grande mercato unico europeo avvantaggi soprattutto gli attori economici piu’ potenti e i gruppi sociali piu’ favoriti.
Di fatto, e’ poco contestabile che la concorrenza fiscale induca i paesi europei a modificare il proprio sistema di tassazione a vantaggio degli operatori piu’ dinamici, a scapito dei piu’ umili. L’idea che i gruppi sociali piu’ modesti sarebbero per natura irrazionalmente nazionalisti (o addirittura razzisti) – ipotesi molto comoda, che permette alle elite “progressiste” di giustificare la propria missione civilizzatrice – non regge a un’analisi approfondita […]
Fino a quando l’Unione Europea non sara’ al servizio di una politica chiara e tangibile di giustizia sociale e fiscale (per esempio, con un’imposta europea sui redditi e sui patrimoni piu’ elevati), non si vede quale altro fattore potrebbe riuscire a ricomporre il profondo divario che si e’ venuto a creare tra classi popolari e progetto di costruzione europea […]
Gli sviluppi osservati in questi ultimi anni non fanno che accrescere il divario tra l’UE e le classi popolari.
In Francia, chi e’ arrivato al potere con le elezioni del 2017 dice di essere a favore dell’Europa, mettendo ancora una volta, e in modo particolarmente grossolano la costruzione europea al servizio di una politica a favore delle classi agiate. Le due principali misure fiscali votate nell’autunno 2017 [imposta sul patrimonio immobiliare e l’introduzione di un’aliquota d’imposta proporzionale sui redditi da capitale …] sono state adottate in larga misura in nome della “concorrenza europea”. Provvedimenti che sono stati giustificati anche in ossequio all’ideologia dei “primi della cordata” (secondo la definizione data da Macron), per cui l’intera popolazione trarrebbe beneficio dagli sgravi fiscali accordati ai piu’ ricchi (considerati, in questo caso, i piu’ meritevoli e i piu’ utili). Una prospettiva che ricorda la teoria del trickle-down (“gocciolamento”) propagandata da Ronald Reagan negli anni ottanta del secolo scorso, o quella dei job creators sviluppata da Donald Trump e dai repubblicani statunitensi negli anni dieci del Duemila.

Info:
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/06/24/thomas-piketty-capitale-ideologia
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/capitale-e-ideologia-intervista-a-thomas-piketty/
https://www.ilmessaggero.it/libri/capitale_e_ideologia_il_nuovo_saggio_di_piketty_star_dell_economia_pop-5299153.html
http://temi.repubblica.it/micromega-online/piketty-il-capitalismo-non-e-piu-in-grado-di-giustificare-le-sue-disuguaglianze/
https://www.huffingtonpost.it/2018/09/08/lincubo-social-nativista-italiano-potrebbe-molto-rapidamente-riguardarci-da-vicino-piketty-avverte-le-democrazie-europee_a_23520935/

Societa’/Pallante

Francesco Pallante – Contro la democrazia diretta – Einaudi (2020)

Per pigrizia intellettuale, oggi continuiamo a chiamare «partiti» entita’ che nulla piu’ hanno a che spartire con il dettato costituzionale.
Le forze politiche si sono tramutate in franchising di potentati personali o locali, essenzialmente rivolti all’occupazione del potere. Il piano ideale ha perduto significato; spesso sono vicende contingenti, prive di valore generale, a determinare le appartenenze. In molti si muovono, spensierati, tra una formazione e l’altra. Esponenti politici, anche di livello nazionale, si vendono all’asta. Ridicoli personaggi assurgono, per qualche tempo, a fulcro del sistema. Gli elettori sono cartolarizzati in pacchetti di voti compravendibili.
Ormai privo di punti di riferimento ideali, l’elettorato oscilla paurosamente, come una folla impazzita, all’inseguimento dell’imbonitore di turno. I consensi s’impennano e precipitano come sulle montagne russe. Vince chi la spara piu’ grossa. La credibilita’ delle proposte politichesi e’ tramutata in disvalore.
Nessuno piu’ prova a immaginare il futuro, a fissare lo sguardo sull’orizzonte: con il naso schiacciato sui sondaggi, sgomitano tutti per essere i primi a ripetere quel che gli elettori, abbandonati a se stessi, credono di voler sentirsi dire (cio’ che Rodota’ aveva efficacemente definito «sondocrazia»).
Da risorsa, i partiti sono divenuti una minaccia per la democrazia

Info:
https://www.letture.org/contro-la-democrazia-diretta-francesco-pallante
https://www.questionegiustizia.it/articolo/sul-libro-di-francesco-pallante-contro-la-democrazia-diretta
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-scommessa-della-rappresentanza-perche-la-democrazia-diretta-non-e-la-soluzione-alla-crisi-della-politica/

Geoeconomia/Mason

Paul Mason – Il futuro migliore. In difesa dell’essere umano – il Saggiatore (2019)

C’erano 2,4 miliardi di persone sul pianeta quando venne firmata la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, nel 1949: un quarto di loro viveva in paesi sviluppati e democratici, con elite sociali plasmate dalle tradizioni dell’Illuminismo.
Oggi ci sono 7,5 miliardi di persone nel mondo e la maggioranza di loro vive al di fuori di sistemi democratici stabili, in societa’ dove i diritti umani sono negati.
Peggio ancora, le ideologie ufficiali di questi Stati sono totalmente antiumanistiche, per esempio la miscela di confucianesimo e scienza contabile che viene spacciata per «marxismo» in Cina, lo sciovinismo indu’ del regime di Modi in India e il nazionalismo da Grande Russia che anima Putin […]
Non meno importante, c’e’ l’attacco all’umanesimo portato avanti negli ultimi quattro decenni in nome delle teorie economiche del libero mercato.
Imponendoci nuove routine, costringendoci ad adottare nuovi comportamenti e valori unicamente per sopravvivere, riducendoci a entità economiche bidimensionali, il modello economico noto come neoliberismo ha spazzato via le nostre difese comportamentali e intellettuali contro le varie forme di antiumanesimo da cui siamo bersagliati in questo inizio di XXI secolo.
Il punto di svolta, che ha materializzato tutti questi pericoli e li ha accelerati, e’ stata la vittoria di Trump, e l’ondata mondiale di populismo di destra che ha contribuito a scatenare.

Info:
https://www.ilsaggiatore.com/libro/il-futuro-migliore/

Lavoro/Fana

Marta Fana, Simone Fana – Basta salari da fame – Laterza (2019)

Il vero problema dellʼintroduzione del reddito di cittadinanza e’ che rischia di disincentivare la ricerca di unʼoccupazione pagata con salari da fame.
Un modo neanche troppo velato per affermare la piena subalternita’ dei salari alla dinamica dei profitti, che tradotto significa piena disponibilita’ dei lavoratori e delle lavoratrici ad accettare salari sotto la soglia di sussistenza.
Non stupisce, allora, che a questo coro si sia aggiunta la Lega che propose – la scorsa estate – di arrivare a una legge
che fissi in 9 euro lʼora lordi (comprensivi di Tfr, ferie, tredicesima mensilità) il nuovo minimo orario.
Per non farsi mancare nulla la Lega aggiunse la volonta’ di garantire le imprese con un taglio del cuneo fiscale per compensare “lʼaggravio” del salario minimo.
Lo schema e’ quello classico. Si fissa un minimo salariale basso e al contempo le imprese vengono aiutate con un imponente taglio di tasse, finanziato immancabilmente dalla fiscalita’ generale: meno scuola, meno sanita’, meno asili nido.
Un vero e proprio furto di reddito dai salari ai profitti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
https://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/