Populismo/Nichols

Tom Nichols – La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia – Luiss (2018)

Oggi a colpirmi non e’ tanto il fatto che la gente rifiuti la competenza, ma che lo faccia con tanta frequenza e su cosi’ tante questioni, e con una tale rabbia.
Di nuovo, forse gli attacchi alla competenza sono piu’ evidenti per via dell’onnipresenza di internet, dell’indisciplina che governa le conversazioni sui social media o delle sollecitazioni poste dal ciclo di notizie ventiquattr’ore su ventiquattro.
Ma l’arroganza e la ferocia di questo nuovo rifiuto della competenza indicano, almeno per me, che il punto non e’ piu’ non fidarsi di qualcosa, metterla in discussione o cercare alternative: e’ una miscela di narcisismo e disprezzo per il sapere specialistico, come se quest’ultimo fosse una specie di esercizio di autorealizzazione.
Cio’ rende molto piu’ difficile per gli esperti ribattere e convincere la gente a ragionare. A prescindere dall’argomento, la discussione viene sempre rovinata da un rabbioso egocentrismo e termina senza che nessuno abbia cambiato posizione, a volte con la compromissione di relazioni professionali o perfino di amicizie.
Invece di dibattere, oggi ci si aspetta che gli esperti accettino queste espressioni di dissenso, come se fossero, nel peggiore dei casi, un’onesta divergenza di opinioni. Dovremmo “accettare di non essere d’accordo” (agree to disagree), espressione che ormai e’ usata in modo indiscriminato come una specie di estintore quando una conversazione tende a infiammarsi.
E se insistiamo nel dire che alcune cose non sono questioni di opinione, che ci sono cose giuste e altre sbagliate… be’, a quanto pare ci stiamo solo comportando da rompiscatole […] Negli Stati Uniti e in altre nazioni sviluppate, persone altrimenti intelligenti denigrano i risultati conseguiti dagli intellettuali e rifiutano i pareri degli esperti […]
Si tratta di qualcosa in piu’ che un naturale scetticismo nei confronti degli esperti. Temo che stiamo assistendo alla fine dell’idea stessa di competenza, un crollo – alimentato da Google, basato su Wikipedia e impregnato di blog – di qualsiasi divisione tra professionisti e profani, studenti e insegnanti, conoscitori informati e fantasiosi speculatori; in altre parole, tra coloro che hanno ottenuto un qualche risultato in un’area e coloro che non ne hanno raggiunto nessuno […]
La crescita di questa ostinata ignoranza in piena era dell’informazione non si puo’ spiegare soltanto come l’esito di ignoranza bella e buona. Molti di coloro che conducono campagne contro il sapere consolidato sono cittadini capaci e di successo nella vita quotidiana. In un certo senso, siamo di fronte a qualcosa di peggio dell’ignoranza: si tratta di un’arroganza infondata, dello sdegno di una cultura sempre piu’ narcisistica che non riesce a sopportare neanche il minimo accenno di diseguaglianza, di qualsiasi tipo essa sia.

Info:
https://www.glistatigenerali.com/scienze-sociali/la-conoscenza-i-suoi-nemici/
http://www.spazioterzomondo.com/2019/04/recensione-tom-nichols-la-conoscenza-e-i-suoi-nemici-luiss/

Societa’/Ardeni

Pier Giorgio Ardeni – Le radici del populismo. Disuguaglianze e consenso elettorale in Italia – Laterza (2020)

Il grado di alfabetizzazione degli individui e’ importante dal punto di vista della partecipazione sociale e professionale.
Ebbene, se in Italia l’analfabetismo strumentale e’ stato sostanzialmente ridotto a quasi zero, e’ pero’ vero che ancora all’ultimo censimento (2011) ben 4,9 milioni di italiani erano analfabeti o privi di licenza elementare.
Se a questi aggiungiamo i possessori di sola licenza elementare – poco più di 11 milioni – allora si ha che in Italia gli illetterati (cosi’ li definisce l’OCSE) compongono quasi il 30% della popolazione.
Ma, come sottolineano molte indagini sui livelli di istruzione degli adulti, alla mancanza di istruzione oggi si aggiunge l’analfabetismo funzionale, ovvero «l’incapacita’ di un individuo di usare in modo efficiente le abilita’ di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana» […]
Se, tuttavia, prendiamo in esame quello che l’OCSE considera «il livello di competenze alfabetiche e numeriche considerate necessarie per interagire in modo efficace nella societa’ del XXI secolo», nel complesso, il 71% della popolazione italiana non raggiunge quel livello, un dato drammatico.
Piu’ di sette italiani su dieci, quindi, sono analfabeti funzionali o hanno capacita’ cognitive e di elaborazione minime! Inoltre, il confronto tra l’Italia e la media OCSE, per le diverse classi di eta’, evidenzia ancor di piu’ la distanza del nostro paese dagli altri.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858141779
https://www.letture.org/le-radici-del-populismo-disuguaglianze-e-consenso-elettorale-in-italia-pier-giorgio-ardeni

Economia di mercato/Kelton

Stephanie Kelton – La Teoria Monetaria Moderna per un’economia al servizio del popolo – Fazi (2020)

Falchi del deficit o colombe del deficit.
I falchi erano gli integralisti. Prevalentemente repubblicani, ma non solo, i falchi guardavano ai disavanzi fiscali come alla prova schiacciante di una clamorosa mala gestione delle nostre finanze pubbliche. I bilanci devono essere in pareggio. Punto. Qualsiasi squilibrio tra spese e tassazione gli faceva drizzare i capelli. Paventavano un’incombente crisi del debito e reclamavano un’azione rapida per frenare il deficit.
L’etichetta di “falchi” stava a simboleggiare la loro determinazione – almeno retorica – a voler riportare il bilancio in pareggio e azzerare il debito nazionale.
I falchi schernivano i loro avversari, le colombe del deficit, accusandoli di essere troppo accondiscendenti (per l’appunto, pacifici come colombe) nei confronti della minaccia posta dall’accumularsi del debito pubblico.
Secondo i falchi la colpa era da rinvenire soprattutto nei programmi per la protezione sociale – Social Security, Medicaid e Medicare –, mentre le colombe additavano come principali responsabili del debito nazionale i tagli alle tasse per i ricchi e le guerre da migliaia di miliardi di dollari […]
Entrambi consideravano le prospettive fiscali a lungo termine un problema che doveva essere risolto; le loro differenze si riducevano a un disaccordo di fondo su chi (e cosa) ci avesse messo in questo pasticcio e su quanto velocemente avremmo dovuto agire per riparare il danno […]
Quando non si ha l’opzione di una svalutazione esterna (cioe’ della moneta), i paesi perseguono spesso una svalutazione interna come strada per provare a “vincere” nel commercio. Il termine tecnico neoliberale utilizzato per indicare questa particolare strategia e’ riforme strutturali.
Un modo educato di descrivere un’agenda volta a ridurre il costo del lavoro (salari e pensioni) al fine di aumentare la competitivita’ riducendo i costi di produzione. In sostanza, cio’ significa che, invece di indebolire la moneta, un paese decide di indebolire il lavoro.
L’emblema europeo di questa strategia e’ la Germania. Dopo che il governo tedesco ha intrapreso tale strategia all’inizio degli anni Duemila essa e’ riuscita a trasformare i suoi prolungati deficit commerciali in enormi surplus commerciali

Info:
http://osservatorioglobalizzazione.it/recensioni/il-mito-del-deficit-kelton/
https://www.lafionda.org/2020/09/27/il-mito-del-deficit/
https://fazieditore.it/catalogo-libri/il-mito-del-deficit/
https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/19308-brian-cepparulo-il-mito-del-deficit-stephanie-kelton-e-la-nuova-frontiera-della-mmt.html

Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Dal 1999 al 2008, in Germania, il costo unitario del lavoro nel settore manifatturiero (trainato dalle esportazioni) e’ diminuito del 9 per cento.
Tra il 2000 e il 2005 la domanda interna tedesca e’ addirittura diminuita in termini reali. Com’era prevedibile, nello stesso periodo il tasso medio annuo di crescita nominale dei ricavi delle importazioni tedesche dagli altri paesi dell’Eurozona e’ a sua volta bruscamente diminuito.
L’approccio tedesco si e’ tradotto in una vera e propria svalutazione interna, effettuata nell’arco di un decennio e resa possibile da un ampio consenso sociale. I sindacati dei lavoratori hanno scelto la moderazione salariale per salvaguardare il numero assoluto dei posti lavoro, accettando un calo delle retribuzioni. E le imprese ne hanno raccolto i risultati, in termini di aumento dei ricavi.
L’opinione pubblica tedesca si e’ pavoneggiata per i successi della propria macchina dell’export, ammirata in tutto il mondo.
E le leggi dell’Unione europea, che vietano l’erogazione di sussidi a singole aziende, non proibivano questa strategia di assistenza su larga scala a chi e’ in situazioni di bisogno.
E’ stato questo sostegno a spianare la strada alle riduzioni di salari e redditi. Ma queste ultime hanno avuto ripercussioni anche fuori della Germania. Il fatto che il governo offrisse alla societa’ un cuscinetto per attutire le conseguenze peggiori dovute ai salari e ai redditi bassi produceva effetti non molto lontani da quelli che sarebbero risultati dall’erogazione di puri e semplici sussidi alle imprese, che sarebbero stati tacciati di concorrenza sleale e forse perfino vietati dalle regole europee sugli aiuti di Stato.
Le profonde spaccature nell’Eurozona erano praticamente preordinate. L’atteggiamento tedesco era una riedizione delle politiche di beggar-thy-neighbor [impoverisci il tuo vicino] che avevano afflitto il sistema delle valute in Europa negli anni novanta (e il mondo dopo lo scoppio della Grande depressione).
Anziche’ deprezzare la propria moneta per promuovere le esportazioni, la Germania ora svalutava una variabile che, nonostante l’euro, poteva ancora controllare direttamente: il prezzo del proprio lavoro.

Info:
https://www.linkiesta.it/2020/05/nobel-stigliz-come-riscrivere-economia-europea/
http://temi.repubblica.it/micromega-online/al-capezzale-dell-europa/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/riscrivere-leconomia-europea/

Lavoro/Ferrera

Maurizio Ferrera – La societa’ del Quinto Stato – Laterza (2019)

Nei paesi nordeuropei, la transizione alla condizione di adulto e’ rapida: meta’ dei ragazzi e delle ragazze esce di casa fra i diciotto e i venticinque anni.
I sostegni alle famiglie con figli sono generosi ma si esauriscono al compimento dei vent’anni. In compenso lo Stato aiuta direttamente i giovani che costituiscono unita’ di convivenza autonome.
Chi frequenta l’universita’ ha una borsa di studio. Tutti possono accedere a sussidi abitativi. Quando escono di casa, i ventenni o poco piu’ hanno la possibilita’ di mantenersi, formare presto nuove unioni e fare figli (in media entro i trent’anni). Anche l’inserimento lavorativo e’ rapido e organizzato dai servizi pubblici; gli studenti combinano precocemente studio e lavoro, seguono programmi di formazione e orientamento. […]
I paesi continentali come Germania e Francia hanno un modello piu’ imperniato sulla famiglia. I sostegni per i figli a carico possono estendersi fino ai venticinque anni; la vita con i genitori dura un po’ piu’ a lungo, anche se quasi mai oltre i
trent’anni. Il familismo non impedisce pero’ l’inserimento lavorativo. La scuola e’ congegnata in modo da accompagnare i giovani verso quelle professioni di cui le imprese hanno maggior bisogno.
Nei paesi germanici piu’ della meta’ dei ragazzi segue percorsi di istruzione con una forte componente professionale gia’ nella scuola secondaria, per poi entrare nelle imprese come apprendista. La transizione scuola-lavoro e’ governata in modo relativamente efficace.
Rispetto a quelli del Centro e Nord Europa, il modello di gioventu’ sudeuropeo (e italiano in particolare) ha due spiccate anomalie: l’iperfamilismo e l’assenza di percorsi ordinati di inserimento lavorativo. L’uscita dalla famiglia e’ molto tardiva: fra i venticinque e i trentotto anni meta’ dei giovani italiani vive ancora in casa, record assoluto in Europa […]
Sul fronte dell’inserimento lavorativo la distanza rispetto agli altri paesi e’ colossale: nelle scuole del Sud Europa si fa pochissimo orientamento, soprattutto nello snodo cruciale fra medie inferiori e superiori. In Italia l’alternanza obbligatoria fra scuola e lavoro e’ stata introdotta nel 2015: con una legge, ma senza risorse, senza organizzazione, sperando nell’iniziativa spontanea e volontaria di insegnanti e imprese.
Peraltro la legge del 2015 e’ stata depotenziata nel 2018.
I corsi di prima formazione sono pochi e mal gestiti, questa funzione e’ praticamente delegata alle aziende. Il costo del lavoro per i contratti stabili resta fra i piu’ alti del mondo.
E’ anche per questo che la quota di studenti che riescono a trovare un impiego subito dopo la maturita’ o la laurea e’ inferiore al 50%. E solo a un terzo di questi viene offerto un contratto stabile.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139790
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-societa-del-quinto-stato-di-maurizio-ferrera/
https://maurizioferrera.wordpress.com/2018/07/16/il-quinto-stato/
Ferrera

Geoeconomia/Levitsky

Steven Levitsky, Daniel Ziblatt – Laterza (2019)

Oggi le condizioni internazionali sono chiaramente meno favorevoli alla democrazia rispetto agli anni dopo la fine della Guerra Fredda.
Negli anni Novanta le democrazie liberali occidentali non avevano rivali quanto a potere militare, economico e ideologico, e la democrazia all’occidentale era generalmente vista come «l’unica scelta sulla piazza». A vent’anni di distanza, tuttavia, l’equilibrio del potere a livello mondiale e’ mutato. L’influenza mondiale dell’UnioneEuropea e degli Stati Uniti e’ diminuita, mentre la Cina e la Russia sembrano in costante ascesa.
E con l’affermazione di nuovi modelli autoritari in Russia, Turchia, Venezuela e altri paesi, la democrazia non appare piu’ inattaccabile come un tempo […] l’ascesa di Trump, gia’ in se’, puo’ rappresentare un problema per la democrazia mondiale.
Tra la caduta del Muro di Berlino e la presidenza Obama, le varie amministrazioni americane hanno mantenuto in generale una politica estera favorevole alla democrazia.
Le eccezioni non sono mancate: laddove erano in gioco gli interessi strategici dell’America, come in Cina, in Russia e in Medio Oriente, la democrazia e’ sparita dall’agenda. Ma in gran parte dell’Africa, dell’Asia, dell’Europa orientale e dell’America Latina, le amministrazioni statunitensi hanno usato la pressione diplomatica, l’assistenza economica e altri strumenti di politica estera per combattere l’autoritarismo e favorire la democratizzazione durante l’era post-Guerra Fredda.
Il periodo 1990-2015 molto probabilmente e’ stato il quarto di secolo piu’ democratico nella storia del pianeta, e una delle ragioni e’ che le potenze occidentali, in linea di massima, hanno sostenuto la democrazia.
Tutto questo ora potrebbe cambiare.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858135280
https://www.stroncature.com/2019/10/08/come-muoiono-le-democrazie/
https://www.eunews.it/2019/09/20/muoiono-le-democrazie/120948

Lavoro/Ricolfi

Luca Ricolfi – La societa’ signorile di massa – La Nave di Teseo (2019)

Quello dell’istruzione e’ l’unico settore della societa’ italiana in cui la produttivita’ e’ in costante diminuzione da oltre mezzo secolo.
Che cos’e’ la produttività dell’istruzione?
Una definizione informale ma intuitivamente chiara e’ la seguente: la produttivita’ e’ l’inverso del numero di anni necessari per raggiungere un determinato grado di organizzazione mentale.
Supponiamo di assumere, come metro, il livello di organizzazione mentale – conoscenze, padronanza del linguaggio, capacita’ logiche – di un diplomato di terza media del 1962, l’ultimo anno prima dell’introduzione della scuola media unica. A lui erano occorsi otto anni di studio per raggiungere quel livello. Quanti ne occorrono oggi per raggiungere un livello comparabile? […]
Ognuno avra’ la sua risposta, la mia ad esempio
e’ che per ottenere quel livello di organizzazione mentale oggi siano necessari da un minimo di cinque anni in piu’ (se si e’ frequentato un buon liceo classico) a un massimo di tredici anni in piu’ (se occorre addirittura un dottorato di ricerca per recuperare pessimi studi precedenti). E se proprio devo buttare li’ un numero, giusto per fissare le idee, direi che otto anni in piu’, rispetto agli otto anni necessari a conseguire la licenza media, e’ gia’ una stima piuttosto benevola dell’abbassamento della produttivita’ dell’istruzione intervenuto negli ultimi cinquant’anni, dalla fine degli anni sessanta a oggi […]
Insomma: in mezzo secolo la produttivita’ dell’istruzione e’, come minimo, dimezzata […]
L’ingente massa di tempo libero regalata dall’aumento della produttivita’ del lavoro non e’ stata usata per innalzare il livello culturale delle persone, la loro sensibilita’ artistica, la loro capacita’ di vivere in modo saggio, piacevole e salutare.
Specie in Italia, dove anche i livelli di istruzione formale sono rimasti bassissimi, il maggiore tempo a disposizione e’ stato impiegato essenzialmente per ampliare lo spettro dei consumi.
Anziche’ usare la cultura per riempire il tempo libero, si e’ scelto di usare i consumi per “attrezzarlo” […]
Di qui l’impressionante sviluppo di beni, servizi e attivita’ il cui scopo primario e’ di aiutarci a “consumare tempo libero”: iPod per la musica, iPad per Internet, smartphone un po’ per tutto, dai messaggi alle foto agli acquisti online; ristoranti, bar, pub, piadinerie, focaccerie, bistrot, paninoteche, gelaterie, tavole calde piu’ o meno etniche, wine store, cocktail bar, sushi bar; spa, palestre, massaggi, centri yoga; corsi di meditazione, cucina, ballo afroamericano, break dance; acquisti online, mercatini dell’usato, mercatini dell’artigianato; maghi alle feste dei bambini, animatori nei villaggi turistici; fiere del formaggio, del risotto, del tartufo, del cioccolato; concerti in piazza, festival di ogni genere e specie, spettacoli all’aperto, megaschermi per gli eventi sportivi e musicali; senza dimenticare l’ampio mondo delle discoteche e dei locali in cui si beve, si ascolta musica, si balla (e qualche volta si sballa) […]
Il tempo libero che il progresso tecnologico ci ha regalato non solo non e’ di tutti, ma e’ inestricabilmente intrecciato al consumo.

Info:
https://luz.it/spns_article/intervista-luca-ricolfi-societa-signorile-massa/
https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2020/01/05/ricolfi-signorile-massa/
https://sbilanciamoci.info/societa-signorile-di-massa-o-societa-signorile-e-basta/

Capitalismo/ Alacevich

Michele Alacevich, Anna Soci – Breve storia della disuguaglianza – Laterza (2019)

Secondo l’Economic Policy Institute di Washington DC, nel 1965 la remunerazione di un amministratore delegato negli Stati Uniti era ventiquattro volte superiore a quella di un lavoratore medio; nel 1978 il rapporto era 35 a 1; nel 2007, 277 a 1; e nel 2010, due anni dopo l’inizio della recessione globale, 243 a 1.
Secondo Raghuram Rajan, ex capo economista del FMI, ancora piu’ preoccupante e’ l’allargamento del divario verificatosi non solo tra i miliardari (che rappresentano lo 0,01% piu’ ricco della distribuzione mondiale del reddito) e il resto della popolazione, ma anche tra il reddito degli appartenenti al 90° percentile (vale a dire chi guadagna piu’ di quanto guadagni il 90% della popolazione) – per esempio gli alti dirigenti – e sia chi si trovi al fondo della scala retributiva sia chi appartenga alla classe media, i cui guadagni sono rimasti di fatto immutati a partire dagli anni Ottanta […]
La disuguaglianza abbraccia dimensioni diverse – come testimonia l’attuale dibattito sui suoi aspetti sociali, politici, economici, di genere, di razza, di salute, di accesso ai livelli di istruzione, ecc. – la cui rilevanza e’ cambiata significativamente dal punto di vista sia storico sia geografico. In molti casi le catagorie di cui oggi facciamo uso sarebbero apparse prive di significato in epoche precedenti e ancora oggi molte forme di disuguaglianza sono lontane dall’essere riconosciute universalmente […]
Le persone, poi, possono avere opinioni molto differenti , non solo sul grado di disuguaglianza da considerare accettabile o inaccettabile ma anche – e si tratta di un punto dirimente – su quali disuguaglianze siano o non siano importanti, giacche’ ognuno mettera’ valori diversi al centro del proprio universo morale.
Poiche’ gli esseri umani sono animali sociali e la disuguaglianza indica, per definizione, una dimensione razionale, le discussioni sull’uguaglianza e sulla disuguaglianza riguardano a loro volta la struttura di una societa’ […]
Una delle tematiche della piu’ ampia questione della diseguaglianza, tuttavia, fa da sostegno e al contempo si affianca alle altre forme di disuguaglianza.
Ci riferiamo alla disuguaglianza economica .
In pochi negherebbero che essa pone sfide drammatiche alle societa’ moderne, siano queste economicamente avanzate o meno sviluppate.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858136249
https://www.letture.org/breve-storia-della-disuguaglianza-michele-alacevich-anna-soci

 

Stato/Piketty

Thomas Piketty – Capitale e ideologia. Ogni comunita’ ha bisogno di giustificare le proprie diseguaglianze – La Nave di Teseo (2020)

Il fatto che le classi popolari e medie versino tasse di entita’ significativa ovviamente non costituisce di per se’ un problema.
Se si intende finanziare un livello elevato di spesa sociale e d’investimenti nel settore dell’istruzione, e’ inevitabile che tutti vengano coinvolti. Tuttavia, per far si’ che le imposte siano ben accette e’ indispensabile che il sistema fiscale sia trasparente ed equo. Quando le classi popolari e medie hanno l’impressione di essere maggiormente tassate rispetto alle classi piu’ ricche, vi e’ il rischio che il consenso all’imposizione tributaria e il contratto sociale su cui si fondano le societa’ socialdemocratiche inizino a sgretolarsi. Per questo, l’incapacita’ da queste ultime dimostrata di superare lo Stato nazionale e di promuovere forme transnazionali di giustizia fiscale ne costituisce il principale fattore di fragilita’ […]
Si possono distinguere tre grandi categorie di imposta progressiva: sul reddito, sulle successioni e quella annuale sulla proprieta’.
Queste tre tipologie hanno ciascuna la propria giustificazione e vanno intese come complementari le une alle altre.
In linea di principio, l’imposta progressiva sul reddito grava sull’insieme dei redditi percepiti nel corso di un dato anno, qualunque sia la loro fonte – redditi da lavoro (salari, pensioni, redditi da lavoro autonomo ecc.) o redditi da capitale (dividendi, interessi, affitti, profitti ecc.) –, in modo da permettere a ognuno di contribuire alla spesa pubblica in funzione delle sue capacita’.
L’imposta sulle successioni – che generalmente comprende anche le donazioni – si applica al momento delle trasmissioni patrimoniali, permettendo di ridurre la perpetuazione intergenerazionale dei beni e la concentrazione dei patrimoni.
L’imposta annuale sulla proprieta’ – detta anche imposta sulla ricchezza, o imposta sul capitale, o imposta sul patrimonio – viene riscossa ogni anno sulla base del totale dei beni posseduti, un dato che puo’ considerarsi un indice di capacita’ contributiva piu’ rivelatore e duraturo (e in certa misura meno facilmente manipolabile) rispetto al reddito annuale […]
A partire dagli anni ottanta e novanta del secolo scorso, l’aumento del debito pubblico e’ l’esito (in parte) di una strategia deliberata, volta a ridurre il peso dello Stato. L’esempio tipico e’ dato dalla strategia di bilancio seguita da Reagan negli anni ottanta: si sceglie di ridurre fortemente le imposte sui redditi piu’ elevati, con un aumento del deficit e la conseguente diminuzione della spesa sociale.
In molti casi, la riduzione delle imposte ai contribuenti piu’ ricchi e’ stata poi finanziata con la privatizzazione di beni pubblici, il che in sostanza corrisponde a un trasferimento “gratuito” dei titoli di proprieta’ (ovvero, si abbassano le tasse per 10 miliardi di dollari ai piu’ ricchi, che utilizzano poi questi 10 miliardi per acquistare i beni in questione). Questa strategia e’ proseguita, negli Stati Uniti e in Europa, fino a oggi e risulta strettamente legata alla traiettoria di aumento delle disuguaglianze e di concentrazione crescente della proprieta’ privata.

Info:
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/06/24/thomas-piketty-capitale-ideologia
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/capitale-e-ideologia-intervista-a-thomas-piketty/
https://www.ilmessaggero.it/libri/capitale_e_ideologia_il_nuovo_saggio_di_piketty_star_dell_economia_pop-5299153.html
http://temi.repubblica.it/micromega-online/piketty-il-capitalismo-non-e-piu-in-grado-di-giustificare-le-sue-disuguaglianze/
https://www.huffingtonpost.it/2018/09/08/lincubo-social-nativista-italiano-potrebbe-molto-rapidamente-riguardarci-da-vicino-piketty-avverte-le-democrazie-europee_a_23520935/

Populismo/Urbinati

Nadia Urbinati – Io il popolo. Come il populismo trasforma la democrazia – Il Mulino (2020)

Il populismo e’ una rivolta contro la struttura pluralista delle relazioni partitiche non nel nome di una «democrazia senza partiti», ma nel nome del governo di una «parte» che merita un superiore riconoscimento perche’ e’ oggettivamente quella
«buona».
I populisti sostengono di essere dei semplici e oggettivi rappresentanti dei bisogni del popolo qui ed ora, al contrario dei partiti politici che proiettano i loro programmi e le loro soluzioni in un futuro piu’ o meno distante […]
Il populismo coltiva l’ambizione epistemica di dare risposta ai problemi oggettivi che istintivamente i cittadini avvertono ed esprimono, senza orpelli ideologici; chiama in causa «dati» e questioni tangibili, non interpretazioni «predigerite» fatte dai politici.
La sfiducia negli «intellettuali» e negli «esperti» dell’establishment, combinata con la convinzione che vi siano una bonta’ e una saggezza ancestrale nel popolo, e’ un tonico per il populismo.
Queste idee sono andate a braccetto con il populismo fin da quando esso ha fatto la sua apparizione sulla scena politica delle democrazie, negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento.
La rivoluzione tecnologica ha conferito a questo mito antico la certezza della sua realizzazione.
Alcuni esempi vicini a noi possono aiutare a comprendere la specificita’ di questo fenomeno.
Beppe Grillo comincio’ la sua carriera politica piu’ di dieci anni fa con una retorica corrosiva contro la democrazia dei partiti e nel nome di un governo dei molti e per i molti; secondo tale retorica gli esperti avrebbero potuto fare meglio dei politici nel promuovere l’interesse generale che il popolo chiedeva e voleva. Il controllo sui pochi – affermava Grillo – avrebbe potuto essere esercitato piu’ facilmente qualora la politica non fosse stata indiretta e partitica e avesse potuto rendere il governo del tutto trasparente agli occhi dei cittadini.

Info:
http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/05/08/nadia-urbinati-e-il-populismo/
https://www.vaticannews.va/it/osservatoreromano/news/2020-03/la-verita-vi-prego-sul-populismo.html
https://www.fatamorganaweb.unical.it/index.php/2020/01/27/dal-populismo-al-popolo-democrazia-nadia-urbinati/