Green New Deal/Feltri

10 rivoluzioni nell’economia globale (che in Italia ci stiamo perdendo)- Stefano Feltri – Utet (2024)

Per la transizione ecologica servono tanti soldi. Forse troppi […]
Tra il 2019-2020 e il 2020-2021 gli investimenti sono quasi raddoppiati: da 650 miliardi di dollari in un anno a 1300 miliardi. Buona notizia, ma servirebbero tra i 5400 e gli 11700 miliardi all’anno entro il 2030 e tra 9300 e 12300 tra 2030 e 2050. Sono cifre esorbitanti, difficili da trovare, anche perche’ servirebbero solo a prevenire danni futuri, non a spingere la crescita […]
Dobbiamo rinunciare? Fare qualcosa e’ meglio che non fare niente.
E ogni anno a livello mondiale si spendono settemila miliardi di sussidi ai combustibili di origine fossile. Spostarli su tecnologie verdi aiuterebbe, ma gli elettori – prima ancora che le aziende petrolifere – sono disposti a pagare di piu’ i carburanti? Visto che un intervento diretto per legge, con tagli drastici della tassazione favorevole alle industrie inquinanti, e’ molto complicato, oggi lo strumento nel quale si ripongono piu’ aspettative e’ una tassa sulle emissioni.
O meglio, dare un prezzo all’anidride carbonica.
In un intervento congiunto sul “Financial Times”, le tre donne al vertice della globalizzazione hanno presentato le ragioni a sostegno del prezzo alle emissioni. Kristalina Georgieva (Fondo monetario internazionale), Ursula von der Leyen (Commissione europea) e Ngozi Okonjo-Iweala (Organizzazione mondiale del commercio) sostengono che non ci sono molte alternative, visto che le soluzioni sperimentate tra l’accordo di Parigi del 2015 e oggi non stanno funzionando e che i tassi di interesse elevati rendono piu’ costosi e problematici progetti che richiedono emissione di debito […]
Dare un prezzo all’anidride carbonica equivale di fatto a tassare chi inquina. E, per quanto sembri paradossale, questo tipo di tasse e’ l’arma piu’ potente di cui disponiamo per arginare la crisi climatica […]
L’inquinamento e’ il tipico esempio di esternalita’ negativa: la fabbrica che scarica liquami tossici nel fiume vicino risparmia un costo di smaltimento e aumenta i profitti, mentre la collettivita’ non ottiene alcun beneficio ma anzi subisce un danno duraturo e irreversibile […]
Certo, sarebbe piu’ semplice non inquinare affatto, ma molto spesso le nostre societa’ fondate sulla crescita costante del PIL preferiscono accettare una certa dose di comportamenti autodistruttivi per non perdere i benefici economici abbinati: tolleriamo l’esistenza dell’industria del fumo, del gioco d’azzardo o le acciaierie che inquinano l’aria e fanno ammalare gli operai perche’ non vogliamo perdere i posti di lavoro e il gettito fiscale che generano […]
Chi inquina paga, e chi non inquina ma subisce i danni dell’inquinamento viene indennizzato. I posti di lavoro e il gettito fiscale sono salvi, c’e’ l’inquinamento – certo – ma almeno la societa’ nel suo complesso non ci rimette […]
Si puo’ dire che «la tassa ha l’effetto di indurre il produttore a internalizzare il costo sociale dell’inquinamento nella propria funzione di massimizzazione del profitto e dunque determina la quantita’ ottima da produrre rispetto alla funzione di utilita’ sociale»

Info:
https://www.startmag.it/mondo/feltri-economia/
https://appunti.substack.com/p/dieci-rivoluzioni

https://www.settimananews.it/libri-film/raccontare-il-cambiamento/

Geoeconomia/Zizek

La nuova lotta di classe. Rifugiati, terrorismo e altri problemi coi vicini – Slavoj Žižek – Ponte alle Grazie (2016).

Esiste un’economia complessa del trasporto dei rifugiati (un industria che vale miliardi di dollari): dunque chi e’ che la finanzia? Chi la ottimizza? Che aspettano ad esplorare questi oscuri bassifondi i servizi segreti europei?
Il fatto che i rifugiati versino in condizioni disperate non esclude affatto la possibilita’ che il loro flusso faccia parte di un piano ben concertato.
Non si puo’ fare a meno di notare come alcuni paesi meno abbienti del Vicino Oriente (Turchia, Egitto, Iran ecc.) siano molto piu’ aperti ai profughi di quelli davvero ricchi (Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar ecc.). L’Arabia Saudita e gli Emirati quasi non ne hanno accolti, anche se confinano con l’area di crisi, e sono altrettanto ricchi e culturalmente molto piu’ vicini ai rifugiati, per lo piu’ musulmani, di quanto lo sia l’Europa [..]
Bisogna anche tenere a mente che la stessa Arabia Saudita, dal punto di vista economico, e’ del tutto integrata nell’Occidente: economicamente parlando, Arabia e Emirati sono o no puri avamposti del capitale occidentale, Stati che dipendono in tutto e per tutto dai loro ricavi petroliferi tanto per la loro ricchezza quanto per la loro reputazione mondiale?
La comunita’ internazionale dovrebbe esercitare un’ingente pressione sull’Arabia Saudita (e su Kuwait, Qatar ecc.) perche’ facciano il loro dovere e accolgano ampi contingenti di profughi.

 

Finanziarizzazione/Galli

Arricchirsi impoverendo. Multinazionali e capitale finanziario nella crisi infinita – Giorgio Galli, Francesco Bochicchio – Mimesis (2018)

Il capitale finanziario domina i mercati e la politica: la riforma essenziale e’ quella di una sua regolamentazione al fine di responsabilizzarlo e razionalizzarlo, ma tale riforma diventa pressoche’ impossibile nel momento in cui lo stesso, per la posizione di dominio in cui versa, rifiuta ogni forma di controllo seria, effettiva, e incisiva […]
Conseguentemente, si pone la necessita’ di inserire tale riforma in un processo lungo di programmazione democratica dell’economia che ponga il capitale finanziario sotto il controllo pubblico.
Facile l’obiezione che lo Stato-nazione e’ troppo debole per realizzare tale ambiziosissimo risultato, di modo che, evidentemente, occorrerebbe quanto meno aspettare la costruzione effettiva dell’Unione europea su basi socialdemocratiche, il che e’ ben lungi dall’essere anche solo delineato […]
In definitiva, la finanza non va criminalizzata e nemmeno nazionalizzata, in quanto e’ necessaria per lo sviluppo dell’economia e deve essere dinamica e profittevole, ma e’ necessaria una direzione pubblica con controlli e indirizzi non burocratici e dirigisti ma tali da vincolare la finanza stessa alla sua funzione di selezione razionale degli investimenti da finanziare.

Info:
https://www.mimesisedizioni.it/rassegna/marchesi-libero-arricchirsi-impoverendo-galli-bochicchio.pdf
https://www.mimesisedizioni.it/rassegna/quotidiano-sud-arricchirsi-impoverendo-galli-bochicchio.pdf

Europa/Streeck

Globalismo e democrazia – Wolfgang Streeck – Feltrinelli (2024)

La riconversione sentimentale dell’“Europa” in una terra dei desideri con proprieta’ riadattabili a piacimento permette alla politica in senso pratico di poter pretendere, cinicamente, una “soluzione europea” a tutto cio’ che essa, non volendosene o non potendosene piu’ occupare, ha trasferito verso l’alto, al governo tecno- e mercatocratico europeo; le permette cioe’ di usare l’“Europa” come un’arma politica atta a risolvere problemi di ogni tipo, dalla crescita economica alle finanze dello stato, dai flussi migratori a questioni di sicurezza interna ed esterna, dalla crisi bancaria alla crisi climatica e pandemica.
I politici piu’ accorti possono allora scegliere come muoversi nella struttura multilivello di quest’Europa solidamente neoliberale, nell’intercapedine tra politica nazionale e il sottobosco di istituzioni europee tanto opache come mai nessun’altra, e decidere cosi’ se derogare al proprio impegno a livello nazionale in nome dell’“Europa”, se additare quest’ultima come responsabile dei fallimenti della politica nazionale, se lasciare all’“Europa” l’onere di dettare loro la linea da preferire e sgravarsi cosi’ di qualunque responsabilita’ democratica, riparando se stessi e le proprie scelte a priori da qualunque forma di resistenza politica interna.
Uno spettacolo, questo, che si consuma davanti a un pubblico di persone cui manca qualunque forma di comprensione intuitiva del significato, delle regole e degli eventi comunitari europei […]
Quando si tratta di Bruxelles e del suo nuovissimo sistema istituzionale, tanto sintetico come privo di tradizioni, essi possono al massimo fare professione di fede identitaria ed esprimere devote speranze, mentre solo a quanti, con un duro sforzo conformista, si sono guadagnati lo status di specialisti e’ dato sapere quel che realmente accade o non accade nelle segrete stanze delle sedute europee o capire quel che gli esperti di comunicazioni incaricati lasciano trapelare da quegli incontri.

Info:
https://www.fondazionedivittorio.it/lezione-streeck-limiti-potenzialita-della-ue-egemonie-planetarie-popoli-crisi
https://www.doppiozero.com/wolfgang-streeck-neoliberalismo-e-poi

https://www.corriere.it/la-lettura/24_giugno_21/come-sonnambuli-la-guerra-la-lettura-anteprima-nell-app-1af31e72-2fe1-11ef-8a97-996e27b017a2.shtml
https://ilmanifesto.it/uneuropa-svizzera

Economia di mercato/Volpi

I padroni del mondo – Alessandro Volpi – Laterza (2024)

L’emergenza e’ stata la chiave di volta di questo passaggio “finale” dal mercato al turbocapitalismo e ora all’economia artificiale: la gravita’ e la rapidita’ delle crisi, la loro origine finanziaria, la veloce distruzione di valore reale, l’incapacita’ degli ordinamenti pubblici e persino delle grandi strutture private di riformarsi in maniera profonda hanno favorito soluzioni all’insegna dell’emergenza a cui si e’ abbinata la dimensione, costante, della deroga.
Emergenza e deroga hanno di fatto fornito i materiali economici, giuridici e di legittimazione politica per restare dentro i confini teorici e pratici del capitalismo, generando tuttavia, in larga parte del pianeta, una nuova forma di funzionamento dei sistemi sociali che non ha piu’ molti legami con le tante tradizioni del passato.
In regime di emergenza, si sono prodotti fiumi di liquidita’ ad opera delle banche centrali che hanno alimentato le speculazioni e le scommesse. Poi, sempre in regime di emergenza, si sono introdotte politiche monetarie restrittive, ma senza mai, ancora in nome dell’emergenza, aver limitato il perimetro degli strumenti finanziari considerati necessari a far crescere un’economia reale in crisi. Con la legittimazione dell’emergenza, infine, si e’ consentito ai grandi fondi di comprarsi di tutto per evitare il tracollo imprenditoriale e per garantire alti rendimenti ai risparmiatori che a tali fondi avevano destinato e destinano le loro risorse.
Con l’emergenza dei conti pubblici diventano possibili le privatizzazioni e, sempre per l’emergenza, si celebrano le ricchezze accumulate con estrema rapidita’ tra una crisi e l’altra, magari sapientemente costruite proprio per mantenere l’emergenza perenne.

Info:
https://www.thedotcultura.it/alessandro-volpi-ecco-chi-sono-i-padroni-del-mondo/
https://valori.it/fondi-padroni-mondo-libro-alessandro-volpi/

https://altreconomia.it/chi-controlla-i-padroni-del-mondo/
https://sbilanciamoci.info/i-fondi-dinvestimento-padroni-del-mondo/

Capitalismo/Palermo

Il mito del mercato totale. Critica delle teorie neoliberiste – Giulio Palermo – Manifestolibri (2004)

[Consideriamo] qualche dato sui grandi successi economici e sociali del capitalismo nella realizzazione concreta di questi alti principi di razionalita’ ed efficienza.
Sul nostro pianeta, ormai quasi tutto capitalista, circa meta’ della popolazione (tre miliardi di persone) vive – o forse sarebbe piu’ corretto dire “sopravvive” – con meno di due dollari al giorno.
Le persone che vivono con meno di un dollaro al giorno sono invece un miliardo e trecento milioni. Un miliardo e trecento milioni e’ anche il numero di persone (tutte nei paesi in via di sviluppo) che non ha accesso a fonti d’acqua potabile (quasi un terzo della popolazione totale di questi paesi). Due miliardi di persone, un terzo dell’umanita’, non hanno accesso all’elettricita’.
Due miliardi di individui soffrono di anemia. 790 milioni di persone dei paesi poveri soffrono di sottoalimentazione cronica, di esse i due terzi risiedono in Asia e nell’area del Pacifico. Ogni anno 30 milioni di persone muoiono di fame (eppure le derrate alimentari crescono ad un tasso superiore a quello della popolazione e non sono mai state cosi’ abbondanti come oggi).
Per ogni dollaro di sussidio ricevuto, i paesi in via di sviluppo spendono 13 dollari per ripagare il debito.
Sette milioni di bambini muoiono ogni anno a causa della crisi del debito pubblico del loro paese. Quasi un miliardo di persone non sa leggere, ne’ scrivere il proprio nome [dati Banca Mondiale 1999, Jubilee 2000, Ramonet 1998, Pnud 2000, Unicef 1999, World Resources Institute 2001 ] […]
Per assicurare a tutta la popolazione mondiale l’accesso al soddisfacimento dei bisogni di base (cibo, acqua potabile, istruzione e assistenza sanitaria) basterebbe prelevare meno del 4% dal patrimonio dei 225 individui piu’ ricchi del mondo (cosa che difficilmente comporterebbe un pur minimo cambiamento nel tenore di vita di questa elite di ultramiliardari) [Milanovic 2002 e Ramonet 1998, su dati della Banca Mondiale] […]
La democrazia funziona attraverso il principio “una testa, un voto”, il mercato attraverso il principio “un dollaro, un voto […] ogni volta che diciamo che “il mercato rispetta la volonta’ di tutti”, dovremmo sempre aggiungere “in base alla loro capacità di spesa”.
E dovremmo anche ricordarci che mai nella storia dell’umanita’ le disuguaglianze sono state cosi’ pronunciate come nel capitalismo (il quale, tuttavia, secondo una concezione tanto diffusa quanto infondata, continua ad essere considerato sinonimo di democrazia.

Stato/Streeck

Globalismo e democrazia – Wolfgang Streeck – Feltrinelli (2024)

Tre quarti di secolo dopo la fine del conflitto, la differenza tra nazione e stato nazionale sembra ormai assodata, almeno in Europa.
Le nazioni o popoli sono comunita’ di esperienze e interpretazioni condivise formatesi nel corso della storia. Le loro memorie, conservate in una lingua comune, fanno da base a identita’ collettive tenute insieme da legami affettivi, immancabilmente “monoculturali”, tra esse e il loro paesaggio, la lingua materna, il dialetto, la musica, la cucina ecc.
Quanto piu’ tali legami si distinguono da quelli di nazioni vicine, tanto piu’ un gruppo si considerera’ particolare o sara’ considerato tale dalle comunita’ confinanti: meno, dunque, tra renani e vestfaliani, che tra (sud)tirolesi e italiani.
Gli stati nazionali, viceversa, sono istituzioni stabilite non attraverso linee di discendenza, ma da lotte politiche e sociali e diritti civili che con esse si sono affermati, tra questi il diritto alla partecipazione democratica.
Stati nazionali e nazioni sono si’ in relazione tra loro, ma non coincidono; per quanto le maggioranze etniche fatichino ad accettare o a considerare la cosa, gli stati includono in se’ quasi ovunque realta’ linguistiche, etniche e culturali tra loro non identiche.
Inoltre, mentre i confini tra stati nazionali sono tendenzialmente convenzionali, i gruppi che si pensano come “nazioni”, e tali vogliono essere considerati, possono ritrovarsi a far parte di uno stato nazionale che essi non sentono proprio, rivendicando una propria statualita’ autonoma […]
Uno dei mezzi consolidati, seppur non adottato ovunque, per evitare fenomeni di secessione in stati nazionali che racchiudono molte nazioni e’ il passaggio a una costituzione di tipo federale – formula di successo in Svizzera, con i suoi quattro gruppi etnici, in Belgio (finora) con tre o in Canada (a partir dagli anni settanta) con due, o ancora dell’India con i suoi ventotto stati membri e ventiquattro lingue ufficiali.
Nell’epoca di pace dal 1945 in avanti, molti stati nazionali europei hanno tratto dall’esperienza delle catastrofi del periodo tra le due guerre la giusta lezione, rispondendo alla diversita’ etnica all’interno dei loro paesi, non con la negazione e la repressione di essa, bensi’ con il decentramento e l’autonomia sancita sul piano costituzionale, a garanzia della pace sociale; parallelamente, essi si sono preoccupati di assicurare la pace all’esterno, con il riconoscimento reciproco dei rispettivi confini, stabiliti su base storica, e rinunciando a qualunque rivendicazione territoriale anche li’ dove, come in Tirolo, in Alto Adige o nell’enclave germanofona in Belgio orientale, comunita’ etniche si vedono divise tra uno stato e l’altro per via di tali confini.

Info:
https://www.fondazionedivittorio.it/lezione-streeck-limiti-potenzialita-della-ue-egemonie-planetarie-popoli-crisi
https://www.doppiozero.com/wolfgang-streeck-neoliberalismo-e-poi

https://www.corriere.it/la-lettura/24_giugno_21/come-sonnambuli-la-guerra-la-lettura-anteprima-nell-app-1af31e72-2fe1-11ef-8a97-996e27b017a2.shtml
https://ilmanifesto.it/uneuropa-svizzera

Societa’/De Benoist

I demoni del bene. Dal nuovo ordine morale all’ideologia del genere – Alain de Benoist – Controcorrente (2015)


La societa’ economica si risolve oggi in societa’ di controllo.
Si dispiega una logica del dominio che non e’ la vecchia logica dello sfruttamento, ma una logica quotidiana e reticolare, ordinata a procedure di seduzione, schedatura e condizionamento.
«Gli individui non sono spogliati della loro individualita’ da una costrizione esterna, ma dalla razionalita’ stessa nella quale vivono» (Marcuse).
Per soddisfare il bisogno «securitario» (neologismo apparso all’inizio degli anni Ottanta), si dispiegano procedure fondate sulla segnalazione, la schedatura e la tracciabilita’[…]
La Nuova Classe vuole addomesticare il popolo perche’ ne ha paura, e ne ha paura perche’ le sue reazioni sono imprevedibili e incontrollabili. Per porre rimedio a questa paura, cerca di inculcarne un’altra al popolo: la paura di derogare alle norme, di pensare da solo, di ribellarsi contro il disordine costituito […]
La Nuova Classe non e’ una “classe” nel senso marxista della sua relazione con i mezzi di produzione, ma soltanto in un senso generale, metaforico. Essa designa coloro che detengono un capitale culturale (un sapere) e che utilizzano questo capitale per garantirsi una posizione sociale privilegiata rispetto a coloro che ne sono sprovvisti […]
Gli stessi membri della Nuova Classe possono provenire tanto dalla «sinistra» quanto dalla «destra» […]: lo spartiacque destra-sinistra funziona oggi come una cortina fumogena che dissimula l’unica vera distinzione che oppone, da un lato, i liberali, considerati nel loro insieme, che propendono per una vita politica neutralizzata e proceduralizzata, uno Stato terapeutico, una governance mondiale, una democrazia puramente rappresentativa e un discorso fondato sui «diritti dell’uomo», e, dall’altro lato, tutti coloro che, al contrario, insistono sull’autonomia locale, la democrazia diretta, le particolarita’ culturali e i valori tradizionalmente non negoziabili di appartenenza e solidarieta’.

Info:
https://www.ilfoglio.it/articoli/2014/01/22/news/i-banali-demoni-del-bene-51782/
https://www.barbadillo.it/38725-libri-i-demoni-del-bene-di-de-benoist-critica-al-pensiero-unico-e-al-gender/

https://ilmangiacarte.wordpress.com/2021/05/20/demoni-del-bene/
https://ilpensierostorico.com/de-benoist-demoni-del-bene/

Populismo/Todd

La sconfitta dell’Occidente – Emmanuel Todd – Fazi (2024)

Resta da spiegare perche’ la maggior parte [degli americani] scelga di votare per Trump invece di mettere fine ai propri giorni; e perche’ anche i ceti popolari dell’Europa occidentale siano scivolati nel voto “populista, xenofobo, d’estrema destra” perfino la’ dove l’immigrazione di massa e incontrollata non rappresenta una minaccia.
Perche’ le popolazioni che sono sopravvissute allo smantellamento delle loro industrie sono adesso di destra? E’ molto semplice.
I partiti di sinistra, socialdemocratici o comunisti, si basano sulle classi operaie sfruttate. I partiti populisti si basano invece sulle plebi il cui tenore di vita deriva in gran parte dal lavoro sottopagato dei proletari cinesi, bengalesi, nordafricani e cosi’ via.
Sono sorpreso io stesso nel pensare quanto segue: gli elettori dei ceti popolari che votano il Rassemblement National sono, secondo la piu’ elementare teoria marxista, estrattori di plusvalore su scala globale. E’ dunque normale che siano di destra.
Come avevano previsto Engels e Lenin, il libero commercio corrompe. Ma potremmo anche aggiungere: il libero commercio assoluto corrompe in modo assoluto.
Questa analisi crudele ci consente anche di comprendere perche’ e’ cosi’ difficile reindustrializzare.
Se da un lato la delocalizzazione di un gran numero di attivita’ produttive ha contribuito a prostrare sempre di piu’ le nostre province e le nostre periferie, dall’altro il libero scambio ha mantenuto la sua promessa: favorire il consumatore a scapito del produttore, trasformare il produttore in consumatore e il cittadino produttivo in un plebeo parassita, con poca voglia in fondo di ritornare al percorso e alla disciplina di fabbrica.

Info:
https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2024/10/todd-il-fatto-quotidiano.pdf?
https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2024/10/todd-il-riformista.pdf?

https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2024/10/todd-il-manifesto.pdf?
https://fazieditore.it/wp-content/uploads/2024/10/todd-il-giornale.pdf?
https://contropiano.org/interventi/2024/11/11/la-sconfitta-delloccidente-oligarchico-e-nichilista-0177418
https://www.quotidiano.net/magazine/libri/emmanuel-todd-gli-oligarchi-e-il-nichilismo-hanno-distrutto-le-democrazie-e-la-sconfitta-delloccidente-fd56b6be

Lavoro/Feltri

10 rivoluzioni nell’economia reale (che in Italia ci stiamo perdendo) – Stefano Feltri – Utet (2024)

Che ci sia qualcosa di diverso nel rapporto con il lavoro lo percepiamo un po’ tutti: a un certo punto ci siamo trovati circondati di storie di persone che hanno lasciato posizioni ben pagate per seguire qualche passione poco remunerativa o, al contrario, di ragazzi e ragazze che hanno rifiutato condizioni di lavoro degradanti e hanno preferito il rischio della disoccupazione piuttosto che piegarsi a richieste inaccettabili.
Su TikTok ha avuto un breve momento di gloria l’hashtag #lazygirljob: giovani donne della Generazione Z che raccontavano di preferire lavori senza prospettive di carriera ma a basso stress rispetto all’eterna gavetta con prospettive incerte e molte ansie che richiedono i percorsi di carriera di solito piu’ ambiti […]
L’ideale del lazy job non riguarda tanto lo scarso impegno – per il quale sono emersi altri eufemismi tipo quiet quitting, le “dimissioni silenziose” – quanto il limitato investimento emotivo, che puo’ derivare da una valutazione razionale di cosa realisticamente ci si attende dalla parte della vita dedicata al lavoro.
Se la dedizione alla carriera non promette altro che frustrazioni e redditi deludenti, non e’ meglio indirizzare le proprie energie altrove?
Magari su una vita con minori disponibilita’ economiche, ma anche con meno stress e piu’ tempo libero.

Info:
https://www.startmag.it/mondo/feltri-economia/
https://appunti.substack.com/p/dieci-rivoluzioni

https://www.settimananews.it/libri-film/raccontare-il-cambiamento/