Finanziarizzazione/Boitani

Andrea Boitani – Sette luoghi comuni sull’economia – Laterza (2015)

Fino agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, le banche erogavano prestiti a imprese e famiglie, finanziandoli con i depositi ricevuti dalla clientela in proporzioni rigidamente regolamentate (dovevano garantire una certa riserva obbligatoria). I prestiti generavano interessi piu’ alti di quelli pagati sui depositi e questa differenza remunerava il rischio sopportato dalle banche.
Negli USA e poi in altri paesi si era pero’ diffuso un altro modo di fare banca, che consentiva a chi erogava prestiti di distribuire il rischio, invece di tenerselo.
Cosi’, la banca erogava (per esempio) mutui, garantiti dall’ipoteca sugli immobili; poi «cartolarizzava» i mutui, cioe’ li radunava insieme e li poneva collettivamente come garanzia di titoli obbligazionari da essi «derivati», che collocava presso investitori alla ricerca di alti rendimenti.
Mediante questa cartolarizzazione, le banche erano in grado di recuperare dal mercato i fondi prestati, con la conseguente possibilita’ di erogare nuovi mutui o altri prestiti.
Il credito, quindi, poteva espandersi molto piu’ rapidamente di quanto fosse possibile nei decenni precedenti. Allo stesso tempo, crescevano i debiti delle banche, giacche’ tutti i titoli «derivati» emessi non erano altro che debiti nei confronti degli investitori.
Spesso le banche, soprattutto 
americane, affidavano le operazioni di cartolarizzazione a una societa’ «veicolo» appositamente creata, che – trovandosi al di fuori del settore bancario ufficiale – poteva sfuggire alla regolazione e accrescere liberamente l’indebitamento.
In questo modo, un intero nuovo mondo di finanza creativa si era potuto sviluppare, in maniera accelerata, negli anni Novanta e nei primi anni del nuovo secolo.
Con la possibilita’ di trasferire il rischio, per le banche si riduceva l’incentivo a esercitare severi controlli di solvibilita’ dei mutuatari. Anzi, si creava l’incentivo opposto: quello a prestare a condizioni sempre piu’ favorevoli a soggetti sempre meno capaci di ripagare il debito.
Cosi’ sono nati e si sono diffusi i famosi e famigerati mutui subprime, cioe’ mutui concessi a famiglie con redditi bassi e incerti.
La diffusione di questi mutui era favorita dal continuo aumento del prezzo delle abitazioni (a sua volta spinto da un continuo aumento della domanda di case), che forniva la garanzia ipotecaria alla banca concedente e, indirettamente, a tutti coloro che acquistavano titoli «derivati» dai mutui.
Si era venuto a creare, insomma, un singolare equilibrio poggiante sulla convinzione che il castello di carta finanziario non potesse crollare perche’ il sottostante castello di legno, acciaio e cemento aumentava costantemente di valore. In realta’, la possibilita’ di distribuire il rischio finiva per rendere facile moltiplicarlo e diffonderlo in modo assai poco trasparente.

Info:
https://www.anobii.com/books/Sette_luoghi_comuni_sull%27economia/9788858124581/012e4b7607f103e80f
https://www.lavoce.info/archives/tag/i-sette-luoghi-comuni-sulleconomia/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858124581

Lavoro/Formenti

Carlo Formenti – La variante populista. Lotta di classe nel liberismo – Derive Approdi (2016)

Le tesi sulla deindustrializzazione italiana e sulla «smaterializzazione» del lavoro non reggono all’analisi
empirica.
E’ vero che i dati ci dicono che il Pil italiano e’ prodotto per il 2% dall’agricoltura, per il 6% dalle costruzioni, per il 18,6% dall’industria e per il 73,4% dai servizi ma, a un piu’ attento esame, cio’ che appare come un radicale processo di terziarizzazione del lavoro non coincide affatto con un processo di deindustrializzazione perche’ […]:
1) a crescere sono soprattutto i servizi legati all’industria in settori come le comunicazioni, l’informatica, la Ricerca e Sviluppo, i trasporti e la logistica mentre altre tipologie di servizi, come il turismo e la distribuzione, non hanno subito variazioni significative;
2) le fasi del processo produttivo industriale che sono state esternalizzate in seguito ai processi di finanziarizzazione delle imprese, vengono attualmente contabilizzate come servizi, ma in realta’ sono integrate nella produzione industriale, per cui gli operai vengono descritti «operatori dei servizi» anche se il loro lavoro non e’ affatto cambiato;
3) il «terziario» che e’ cresciuto in misura maggiore non e’ quello dei lavoratori «cognitivi», bensi’ quello legato alla manifattura.

Info:
https://sinistrainrete.info/teoria/9639-alessandro-visalli-la-variante-populista-di-formenti.html
https://www.lacittafutura.it/cultura/la-variante-populista-secondo-formenti

Populismo/De Benoist

Alain De Benoist – Populismo. La fine della destra e della sinistra – Arianna (2017)

Abbiamo […] assistito alla quasi scomparsa delle famiglie sociologiche, in cui si votava alla stessa maniera di generazione in generazione. Ancora alla meta’ degli anni Sessanta, piu’ si era cattolici, piu’ si votava a destra e, sul piano sociale, piu’ ci si identificava con la classe operaia, piu’ si votava a sinistra.
Da molto tempo non e’ piu’ cosi’.
La volatilita’ elettorale non ha smesso di accentuarsi, a tal punto che non e’ raro incontrare persone che, nel corso della loro vita, hanno praticamente votato per tutti i partiti […]
A questa apparente “destrutturazione” dell’elettorato corrisponde, al livello degli stati maggiori politici e delle squadre di governo, un prodigioso spostamento verso il centro, cui per natura spinge il bipartitismo.
Convinti che le elezioni “si vincono al centro” […] e non avendo ancora compreso che le classi medie si stanno decomponendo, i grandi partiti continuano, come all’epoca del “trentennio glorioso”, a far convergere al centro i loro discorsi per raggiungere
gli elettori esitanti, il che li porta a formulare programmi sempre piu’ simili […]
Alcuni se ne rallegravano, in nome dei benefici del “consenso […] Ma se il consenso fa sparire il dibattito stesso, allora allo stesso tempo sparisce la democrazia perche’, per definizione, essa implica, se non la pluralita’ dei partiti, almeno la diversita’ delle opinioni e delle scelte, insieme con il riconoscimento della legittimita’ di un conflitto tra queste opinioni e queste scelte[…] Se le une e le altre non si distinguono piu’ ne’ sugli obiettivi e nemmeno sui modi di raggiungerli, insomma se i cittadini non si vedono piu’ presentare alternative reali e vere possibilita’ di scelta, allora il dibattito non ha piu’ ragion d’essere e il quadro istituzionale che gli permetteva di avere luogo diventa un guscio vuoto, dal quale non e’ sorprendente vedere allontanarsi una maggioranza di elettori. Il prezzo del “consenso” e’ la diserzione civica […] Non si deve infatti dimenticare che […] il voto e’ anzitutto una modalita’ di rappresentazione e affermazione di se’.
Ora, e’ chiaro che l’elettorato, se ha la sensazione che non gli venga offerta alcuna alternativa dai partiti che si disputano il potere, non potra’ che disinteressarsi di un gioco politico che non gli permette piu’ di esprimere, attraverso il suffragio un’appartenenza o un’affiliazione. […]
Crescera’ allora il rischio di veder realizzare non una societa’ pacificata dal “consenso”, ma al contrario una societa’ pericolosa e potenzialmente belligena, in cui non ci si dovra’ sorprendere di vedere un ritorno vigoroso, in forme talvolta patologiche, di altre modalita’ di affermazione identitaria (religiosa, etnica, nazionale ecc.), che non deriveranno da chissa’ quale desiderio di “pericolosa purezza”, ma saranno la conseguenza logica del fatto che ormai non e’ piu’ possibile affermarsi come cittadini.

Info:
https://www.anobii.com/books/Populismo/9788865881897/01e2818c0646349dc7
http://www.opinione.it/cultura/2017/09/13/teodoro-klitsche-de-la-grande_de-benoist-populismo/

Europa/Boitani

Andrea Boitani – Sette luoghi comuni sull’economia – Laterza (2017)

Nel periodo 2011-2014, il rapporto debito/PIL e’ aumentato di oltre 5 punti in media nei paesi dell’Eurozona. La spiegazione piu’ semplice e’ che l’austerita’ ha finito per far ridurre la crescita del PIL reale piu’ di quanto abbia frenato la crescita del debito pubblico e percioì il rapporto tra debito e PIL e’ cresciuto di piu’ proprio nei paesi che hanno fatto una piu’ intensa cura di austerita’.
L’austerita’, dunque, ha fatto si’ ridurre il deficit primario (e in molti paesi anche quello complessivo), ma non ha permesso di migliorare il […] rapporto debito/PIL, e quindi non ha aiutato a migliorare la sostenibilita’ del debito […]. «L’austerità – scriveva Enrico Berlinguer nel 1977 – a seconda dei contenuti che ha e delle forze che ne governano l’attuazione puo’ essere adoperata o come strumento di depressione economica, di repressione politica, di perpetuazione delle ingiustizie sociali, oppure come occasione per uno sviluppo economico e sociale nuovo, per un rigoroso risanamento dello Stato, per una profonda trasformazione dell’assetto della societa’, per la difesa ed espansione della democrazia: in una parola […] come mezzo di giustizia e di liberazione dell’uomo e di tutte le sue energie  oggi mortificate, disperse, sprecate».
In Europa e’ stata adoperata nel primo modo.
Il secondo non sappiamo ancora se sia destinato a rimanere un sogno.

Info:
https//www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858124581
https://www.anobii.com/books/Sette_luoghi_comuni_sull%27economia/9788858124581/012e4b7607f103e80f
https://www.lavoce.info/archives/tag/i-sette-luoghi-comuni-sulleconomia/

Economia di mercato/Fazi

Thomas Fazi, Guido Iodice – La battaglia contro l’Euripa. Come un’elite ha preso in ostaggio un continente. E come possiamo riprendercelo – Fazi (2016)

Impazzimento collettivo o guerra di classe? […]
Il quadro si semplifica, almeno in parte, se, rinunciando alla chiave degli “errori” e dell’“impazzimento collettivo”, si suppone che quella che stiamo vivendo sia una transizione, e che le politiche adottate dai sovrani della troika e dai governi nazionali piu’ forti, Germania in testa, rientrino in un processo governato di ristrutturazione delle nostre societa’: in una distruzione creatrice, finalizzata alla sostituzione del modello sociale postbellico (il capitalismo democratico incentrato sul welfare pubblico e sulla riduzione delle sperequazioni in un’ottica inclusiva) con un modello oligarchico (postdemocratico) affidato alla «giustizia dei mercati globali» e caratterizzato dal binomio poverta’ pubblica-ricchezza privata. […]
La scelta, per esempio, di costringere gli Stati membri ad accumulare enormi avanzi primari per assicurare che questi siano in grado di garantire il servizio degli interessi sul debito pregresso – esemplificata dal fiscal compact – e’ molto piu’ di una semplice “stupidita’”. Secondo alcuni, si tratterebbe addirittura del «piu’ grande trasferimento di risorse dalle classi medio-basse a quelle alte nella storia».
Lo stesso vale per le misure di privatizzazione o di compressione salariale, che vanno tutte a beneficio dei grandi gruppi industriali, europei e non, che infatti hanno visto il loro margine di profitto tornare ai livelli pre-crisi.
L’austerita’, pero’, non produce solo un trasferimento di risorse da alcune classi sociali verso altre; produce anche un trasferimento di risorse da alcuni paesi verso altri, come vedremo piu’ avanti. E’ difatti sotto gli occhi di tutti come la scelta di ridurre gli squilibri commerciali intereuropei costringendo i paesi in deficit a tagliare i salari e a ridurre la domanda, senza perO’ chiedere ai paesi in surplus di fare la loro parte stimolando la domanda interna, abbia determinato enormi benefici per i secondi (Germania in primis) a scapito dei primi.
In definitiva, possiamo ragionevolmente ipotizzare che quello a cui stiamo assistendo non sia un incidente di percorso o il semplice prodotto di politiche “sbagliate”, ma piuttosto il risultato di un disegno preciso. Di una vera e propria “guerra di classe”.

Info:
https://fazieditore.it/catalogo-libri/la-battaglia-contro-leuropa/
https://keynesblog.com/2016/07/08/michele-salvati-recensisce-la-battaglia-contro-leuropa-di-thomas-fazi-e-guido-iodice/

Stato/Zielonka

Jan Zielonka – Contro-rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale – Laterza (2018)

E’ finito il tempo in cui i parlamenti pretendevano di proporsi come l’agora’ in cui si svolgeva il confronto delle idee, in cui si profondeva ispirata eloquenza a dosi massicce; oggi, i parlamenti sono votifici disciplinati dai capigruppo di partito. Nei parlamenti si continuano a tenere i dibattiti, che vengono spesso trasmessi sui canali televisivi, ma che assomigliano poco all’ideale della democrazia deliberativa.
I membri del parlamento seguono la linea del partito e si lanciano reciprocamente insulti, che a volte sfociano persino in risse violente.
Gli esempi di compromesso e mediazione fra la maggioranza parlamentare di governo e la minoranza sono scarsi di questi tempi.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/contro-rivoluzione-jan-zielonka/
https://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/440518/chi-ha-lasciato-senza-difese-la-democrazia/
https://www.pandorarivista.it/articoli/contro-rivoluzione-jan-zielonka/3/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858129937
http://www.atlanticoquotidiano.it/recensioni/rivoluzione-la-disfatta-delleuropa-liberale-jan-zielonka/
https://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/440518/chi-ha-lasciato-senza-difese-la-democrazia/

Geoeconomia/Khanna

Parag Khanna – Connectography. Le mappe del futuro ordina mondiale – Fazi (2016)

C’e’ una dinamica concettuale che dovremmo prendere a prestito dalla fisica: quella di flusso e attrito.
Esistono tanti tipi di flussi nel sistema connesso globale: risorse, beni, capitale, tecnologia, persone, dati, idee. E ci sono tanti tipi di attrito: frontiere, conflitti, sanzioni, distanza, regolamentazioni.
I flussi sono il modo in cui distribuiamo la grande energia del nostro ecosistema e della nostra civilta’ – si tratti di materie prime, tecnologie, forza lavoro o conoscenza – e la mettiamo a lavorare in qualche parte del pianeta. Gli attriti sono le barriere, gli ostacoli e i crolli che intervengono nel processo, come guerre, epidemie, depressioni.
Sul lungo periodo i flussi hanno la meglio sugli attriti; l’offerta si connette alla domanda; lo slancio trionfa sull’inerzia. […] Maggiori flussi, tuttavia, amplificano i rischi.
I migranti possono essere terroristi, i network hawala che permettono alle rimesse degli emigrati di arrivare nei paesi poveri possono anche finanziare il crimine organizzato, persone e animali che si spostano possono portare pandemie, dalle email passano i virus e gli investimenti finanziari alimentano le bolle. Il punto di rottura in cui ognuno di questi flussi puo’ rovesciare il sistema puo’ essere altrettanto  imprevedibile della precisa posizione di un fulmine […]
Ogni paese che rifiuta di aprirsi ai flussi e’ destinato a fallire; al tempo stesso, devono esserci attriti sufficientemente sottili da permettere di cogliere tutti i pro minimizzando i contro: ad esempio, controlli di capitale sugli investimenti speculativi, limiti alla liberalizzazione per garantire la competitivita’ industriale nazionale, body scanner nei porti d’ingresso, quote d’immigrazione per evitare un’eccessiva pressione sui servizi pubblici, controlli dei passaporti incrociati con i dati Interpol, filtro sugli Internet Service Providers (ISP ) per contrastare i virus digitali e ulteriori misure.

Info:
https://.pandorarivista.it/articoli/connectography-parag-khanna-connettivita/
https://www.anobii.com/books/Connectography/9788893250566/011e9f0a9e3362e2e0
https://www.intrattenimento.eu/recensioni/connectography-recensione-parag-khanna/

Europa/Balibar

Etienne Balibar – Crisi e fine dell’Europa? – Bollati Boringhieri (2016)

Decine di migliaia di migranti – uomini, donne e bambini – provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente […] stanno travolgendo i sistemi di controllo e di accoglienza dei Paesi europei (prima di quelli mediterranei, poi anche di altri, sempre piu’ a nord).
Taglieggiati, deportati, parcheggiati in campi di transito o abbandonati nella no man’s land delle zone portuali o ferroviarie, a volte mitragliati o affondati nelle loro imbarcazioni di fortuna, muoiono o vanno a incagliarsi in qualche barriera, ma si ostinano a tentare, e ormai sono qui. Che cosa possiamo fare?
Che cosa fanno i governi, quando non sono piu’ soltanto i militanti di associazioni di difesa dei diritti umani o i responsabili delle strutture nazionali di registrazione e di
soccorso, ma anche alcuni funzionari europei a parlare della piu’ grande ondata di rifugiati e della piu’ grande sciagura che arriva sul continente europeo dalla seconda guerra mondiale? Srotolano chilometri di filo spinato. Mandano l’esercito e la polizia per respingere nei Paesi vicini questi diseredati che nessuno vuole, annunciando contemporaneamente delle «concertazioni» e facendo appello a soluzioni «pragmatiche». Il problema, dicono, e’ europeo.
Ma quando il presidente della Commissione chiede ai Paesi membri di accordarsi su quote di ripartizione dei rifugiati in base alla loro popolazione e alle loro risorse, tutti o quasi tutti respingono la proposta con argomenti vari.
In questo modo l’Europa rivela quello che e’ diventata, con l’approvazione o sotto la pressione diretta di una parte dei suoi cittadini, ma contro il sentimento profondo di molti altri: una coalizione di egoismi in gara per il trofeo della xenofobia.
Non e’ esagerato parlare di indegnita’, dal momento che 500 milioni di «ricchi» europei (certo con molte diseguaglianze) non possono e non vogliono accogliere 500000 rifugiati (o anche dieci volte tanti) che bussano alla loro porta.
Per di piu’, questi sventurati fuggono da massacri, guerre
civili, regimi di torturatori o carestie le cui cause sono molte: ma chi si puo’ azzardare a dire che l’Europa e’ estranea a tutto questo?
Basta pensare al ruolo storico dei Paesi europei, ma anche alle politiche piu’ recenti: le alleanze diplomatiche ciniche, gli interventi militari avventati (e illegittimi), il flusso continuo di vendite d’armi. […]
E questa indegnita’, come spesso avviene, non e’ neppure compensata da qualche vantaggio sul terreno della sicurezza o dell’economia. Al contrario, sta portando lentamente ma inesorabilmente l’Unione europea verso il crollo di un pilastro del suo edificio comunitario: il sistema Schengen di controllo comune delle frontiere e degli ingressi e delle uscite nello spazio europeo.

Info:
https://www.illibraio.it/libri/etienne-balibar-crisi-e-fine-delleuropa-9788833928449/
https://www.lindiceonline.com/osservatorio/economia-e-politica/balibar-crisi-europa-ordoliberale/

Economia di mercato/Reich

Robert B. Rech – Come salvare il capitalismo – Fazi (2015)

Poche idee hanno cosi’ profondamente avvelenato la mente di tante persone quanto la nozione di un “libero mercato” esistente da qualche parte nell’universo e con il quale il governo “interferisce”.
In questa concezione, qualunque disuguaglianza o insicurezza generata dal mercato viene vista come la conseguenza naturale e inevitabile di “forze impersonali” del mercato […]
Secondo tale visione, qualunque cosa si faccia per ridurre la disuguaglianza o l’insicurezza economica – far funzionare l’economia per la maggior parte di noi – rischia di distorcere il mercato, rendendolo meno efficiente, o di produrre conseguenze involontarie che potrebbero finire per danneggiarci.
Anche se imperfezioni del mercato come l’inquinamento o la scarsa sicurezza dei posti di lavoro, o la necessita’ di beni pubblici come la ricerca di base o persino gli aiuti ai poveri, possono richiedere di quando in quando l’intervento del governo, si tratta di eccezioni alla regola generale per cui il mercato ne sa di piu’.
La visione prevalente e’ cosi’ dominante che oggi e’ data quasi per scontata. Viene insegnata pressoche’ in ogni corso di principi di economia. Ha fatto breccia nel discorso pubblico quotidiano. La si sente in bocca a politici di destra come di sinistra […]
Ma la visione prevalente, cosi’ come il dibattito che ha prodotto, e’ completamente fallace. Non ci puo’ essere alcun “libero mercato” senza un governo. Il “libero mercato” non esiste in natura, lontano dalla civilta’.
La competizione in natura e’ una lotta per la sopravvivenza in cui di solito vince il piu’ grande e il piu’ forte. La civilta’, al contrario, e’ definita da regole; sono le regole a creare i mercati, e i governi a generare queste regole.

Info:
https://www.artapartofculture.net/2015/09/24/come-salvare-il-capitalismo-robert-reich-racconta-le-difficili-dinamiche-delleconomia/
https://www.criticaletteraria.org/2015/12/reich-come-salvare-il-capitalismo-fazi.html

Lavoro/Crouch

Colin Crouch – Identita’ perdute. Globalizzazione e nazionalismo – Laterza (2019)

Si e’ spesso sostenuto che gli immigrati determinano una riduzione nei salari, poiche’ dalla teoria economica elementare sembra chiaro che un aumento dell’offerta di lavoro senza un concomitante aumento della domanda porti a una riduzione del suo prezzo.
Ma nel presente caso l’immigrazione e’ solo una delle potenziali cause dell’aumento improvviso dell’offerta di lavoro. Tra le altre cause bisogna considerare l’incremento dell’occupazione femminile e la migrazione interna dalle citta’ e regioni depresse a quelle fiorenti […]
Ad esempio, nell’agricoltura stagionale (un settore importante per il lavoro degli immigrati), ci sono spesso carenze di manodopera locale, se non altro perche’ per chi vive in una societa’ ricca e’ difficile sopravvivere con salari stagionali.
Sara’ piu’ facile, invece, per un immigrato proveniente da un paese povero, che puo’ rientrare a casa nella fase di fuori-stagione e vivere in un’economia meno costosa grazie ai risparmi derivanti dal reddito ricevuto. Questi lavoratori non hanno alcun impatto negativo sulle retribuzioni locali nella nazione in cui si spostano, ma la loro spesa nell’economia
locale potrebbe aumentare i salari degli altri.
Inoltre, contribuiscono al pagamento delle tasse per
l’economia nazionale. Il fatto che siano disposti a lavorare secondo uno schema stagionale e per salari inaccettabili per chi vive in quelle regioni permette di mantenere bassi i prezzi di frutta e verdura, aumentando il valore dei salari degli altri.
Se venisse meno il lavoro degli immigrati, il settore si
trasferirebbe probabilmente in un altro Stato, con il primo che perderebbe l’aumento nei consumi e le imposte pagate dagli immigrati che ha scelto di respingere […]
In altri settori gli immigrati svolgono mansioni altamente o moderatamente qualificate in cui vi e’ carenza di manodopera locale, o perche’ vi e’ stata una formazione inadeguata o perche’ il lavoro e’ scarsamente attraente.
E’ il caso di molte attivita’ nei settori delle attivita’ ospedaliere, della salute e dell’assistenza. Se non ci fosse disponibilita’ di
lavoratori immigrati disponibili, i datori di lavoro sarebbero forse costretti ad aumentare i salari per assumere il personale locale. Ma la domanda dei consumatori (o, nel caso dei servizi pubblici, la disponibilità del governo al finanziamento) potrebbe essere insufficiente per sostenere un aumento dei salari. In tal caso una carenza di manodopera produrrebbe semplicemente una riduzione nell’offerta del servizio in questione. Molti ristoranti e centri di assistenza sarebbero chiusi se gli immigrati non fossero disposti a lavorare al loro interno.

Info:
https://www.sinistrainrete.info/politica/14268-alessandro-visalli-colin-crouch-identita-perdute-globalizzazione-e-nazionalismo.html
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858134061