Stato/Balibar

Etienne Balibar – Crisi e fine dell’Europa? – Bollati Boringhieri (2016)

E’ impossibile rafforzare la capacita’ degli Stati (o delle coalizioni di Stati come l’Europa) di limitare i rischi sistemici e di aumentare il loro potere di regolazione del mercato finanziario senza sviluppare contemporaneamente da una parte una nuova capacita’ istituzionale di governo dell’economia e dall’altra un insieme di politiche di crescita anticicliche, il contrario dunque delle misure di riduzione del debito, di deflazione e di depressione misurata con le quali l’ortodossia liberista intenderebbe cancellare i debiti insolvibili che sono stati trasferiti dal privato al pubblico dall’inizio della crisi.
Ma e’ molto difficile, per non dire impossibile, realizzare queste due condizioni senza mettere in discussione radicalmente il regime attuale del potere politico-economico, che si e’ in buona misura allontanato dai suoi luoghi giuridici, amministrativi e parlamentari ufficiali, affidando le scelte cruciali a una governance-ombra, di cui il ruolo del Fondo monetario internazionale nell’ideazione del piano europeo di salvataggio delle finanze greche e’ un buon esempio.
Ed e’ tanto piu’ difficile se la tendenza all’aumento delle diseguaglianze di ricchezza […] continua ad accentuarsi.

Info:
https://www.lindiceonline.com/osservatorio/economia-e-politica/balibar-crisi-europa-ordoliberale/
https://www.illibraio.it/libri/etienne-balibar-crisi-e-fine-delleuropa-9788833928449/
https://left.it/2019/04/13/balibar-leuropa-va-rifondata-aprendo-i-confini/

Populismo/De Benoist

Alain De Benoist – Populismo.Lafine della destra e della sinistra – Arianna (2017)

Da diversi decenni il popolo constata che la sua vita quotidiana e’ stata sconvolta in profondita’ da evoluzioni sulle quali non e’ mai stato consultato e che la classe politica, di tutte le tendenze, non ha mai cercato di modificare o frenare […]
In primo luogo, l’immigrazione.
Nello spazio di due generazioni, tramite il meccanismo del ricongiungimento familiare e dell’afflusso migratorio, la vecchia immigrazione temporanea ha assunto il carattere di un’immigrazione di popolamento.
Massiccia, rapida, malaccolta e mal controllata, essa ha generato in tutti i campi (scuola, vita quotidiana, mondo del lavoro, sicurezza, delinquenza) una serie di patologie sociali, creato o esacerbato fratture culturali o confessionali, minato i costumi e trasformato in profondita’ la composizione della popolazione […]
In secondo luogo, l’Unione europea.
Dall’inizio degli anni Ottanta la costruzione europea si e’ saldata con la scomparsa di interi pezzi di sovranita’ degli Stati, senza che quest’ultima fosse riportata a un livello superiore. L’aumento vertiginoso del debito pubblico, causato inizialmente dalla volonta’ di salvare le banche minacciate
dalla crisi finanziaria del 2008, ha posto gli Stati in una posizione di dipendenza dai mercati finanziari nel momento stesso in cui la creazione dell’euro li privava della possibilita’ di decidere sovranamente sulla loro politica monetaria.
Gia’ dipendenti dalla NATO sul piano militare, sottomessi ai vincoli di bilancio decretati dall’Unione europea, gli Stati sono titolari di una sovranita’ di pura facciata.
Le istituzioni europee, inoltre, sono state realizzate procedendo dall’alto verso il basso.
I popoli non sono stati associati alla costruzione europea, e le poche volte in cui sono stati consultati la loro opinione non e’ stata tenuta in alcuna considerazione […]
Infine, la globalizzazione.
Resa possibile dal crollo del sistema sovietico, che simboleggiava la divisione del mondo in due sistemi, ha rappresentato una rivoluzione simbolica fondamentale che ha cambiato il nostro rapporto con il mondo ponendo fine alla lenta ascesa delle classi medie e rendendo insostenibili le conquiste sociali concesse al mondo del lavoro, all’epoca del
“trentennio glorioso” di crescita economica successivo al secondo dopoguerra (1945-1975).
Attraverso il gioco delle delocalizzazioni e della messa in
concorrenza, in condizioni di dumping, con il monte salari sottopagato del Terzo Mondo, ha distrutto il potere di contrattazione collettiva dei lavoratori e contemporaneamente ha attentato alla sovranita’ degli Stati, cui si e’ ingiunto di non fare piu’ uso della loro volonta’ politica.
E’ stato cosi’ costruito un mondo senza esterno, senza alternativa, ordinato alla sola legge del profitto.

Info:
https://www.anobii.com/books/Populismo/9788865881897/01e2818c0646349dc7
http://www.opinione.it/cultura/2017/09/13/teodoro-klitsche-de-la-grande_de-benoist-populismo/

Economia di mercato/Reich

Robert B. Reich – Come salvare il capitalismo – Fazi (2015)

Le donazioni filantropiche dei benestanti sono in aumento […] E’ affar loro come donano i propri soldi, naturalmente.
Ma non del tutto.
I benefattori possono dedurre queste donazioni dal loro reddito imponibile, e le fondazioni o i lasciti caritatevoli che le ricevono non devono pagare imposte sul reddito che generano.
In termini economici, queste deduzioni e queste entrate al netto delle imposte sono l’equivalente di sovvenzioni governative. Nel 2011, l’ultimo anno per cui sono disponibili dati affidabili, raggiunsero circa 54 miliardi di dollari. […]
Queste sovvenzioni pubbliche sono normalmente erogate sotto gli occhi vigili dei ricchi che fanno le donazioni, senza dover rendere conto ai cittadini […]
Inoltre, anche se viene chiamata “deduzione filantropica”, ben poco di questa sovvenzione pubblica finisce ai poveri. Un’analisi del 2005 del Center on Philanthropy della Indiana University mostro’ che anche nella migliore delle ipotesi solo un terzo delle donazioni “filantropiche” e’ destinato ad aiutare i poveri.
Una grossa fetta va a compagnie liriche, musei d’arte,
orchestre sinfoniche e teatri: tutte iniziative degne, certo, ma non “opere di carità” nell’accezione normale del termine […] Un’altra parte va alle scuole secondarie e alle universita’ d’elite che i benefattori a loro tempo frequentarono, o che adesso vogliono far frequentare ai loro figli.

Info:
https://www.artapartofculture.net/2015/09/24/come-salvare-il-capitalismo-robert-reich-racconta-le-difficili-dinamiche-delleconomia/
https://www.criticaletteraria.org/2015/12/reich-come-salvare-il-capitalismo-fazi.html

 

Finanziarizzazione/Chang

Ha-Joon Chang – Economia. Istruzioni per l’uso – il Saggiatore (2016)

Purtroppo, l’avvento della «nuova finanza» negli ultimi tre decenni ha trasformato il sistema finanziario in una forza negativa.
Le imprese finanziarie sono diventate molto abili nel generare alti profitti per se stesse anche a costo di creare bolle di cui
si nasconde l’insostenibilita’ mediante cartolarizzazioni, strutturazione e altre tecniche.
Quando la bolla scoppia, queste societa’ usano sapientemente il proprio peso economico e l’influenza politica per ottenere sussidi e salvagente economici dalle casse pubbliche, che poi devono essere rifornite dalla gente comune attraverso aumenti di imposta e tagli di spesa.
Questo scenario ha assunto proporzioni gigantesche dopo la crisi finanziaria globale del 2008, ma negli ultimi tre decenni si era gia’ ripetuto su scala ridotta decine di volte in tutto il mondo.

Info:
http://giustiziaintergenerazionale.it/tag/ha-joon-chang/
http://temi.repubblica.it/micromega-online/critica-dell%E2%80%99espertocrazia-economica/?printpage=undefined

Lavoro/Fazi

Thomas Fazi, Guido Iodice – La battaglia contro l’Europa. Come un’elite ha preso in ostaggio un continente. E come possiamo riprendercelo – Fazi (2016)

Due strumenti intesi a contrastare il crescente impoverimento della societa’ sono il reddito di cittadinanza e il reddito minimo garantito.
Il primo consiste nel garantire un reddito incondizionato, universale e illimitato nel tempo a tutti i residenti, indipendentemente dalla condizione lavorativa del soggetto; il secondo – gia’ diffuso, in forme diverse, in vari Stati europei – verrebbe invece devoluto solo a chi dispone di un reddito inferiore a una determinata soglia ritenuta di poverta’, dunque ai working poor (coloro che pur disponendo di un lavoro retribuito vivono in ristrettezze economiche) e ai disoccupati, per un periodo temporale definito e condizionato dall’effettiva attivita’ di ricerca lavorativa. Inoltre, il reddito minimo non e’ solitamente garantito su base individuale ma assegnato sulla base dei redditi dell’intero nucleo familiare […]
I due strumenti, a prima vista simili, sono in realta’ radicalmente diversi, e per questo al centro di un acceso dibattito in ambito politico e accademico: la differenza fondamentale del reddito di cittadinanza rispetto al reddito minimo garantito consiste nel fatto che, laddove quest’ultimo si inserisce nella logica dei sistemi di welfare oggi esistenti (generalmente finalizzati a ridurre la poverta’ nei periodi di disoccupazione), il reddito di cittadinanza si inserisce in un paradigma radicalmente diverso, in cui il reddito viene di fatto sganciato dal lavoro.
Secondo i fautori della proposta, questo avrebbe il beneficio, tra le altre cose, di favorire lo sviluppo di tutti quei “lavori” che sono svincolati dalla logica del mercato, tra cui quello degli artisti, dei genitori e dei volontari; secondo i critici, invece, il reddito di cittadinanza, oltre ad andare a beneficio di una larga fetta della popolazione che non ne ha bisogno, avrebbe l’effetto di “depotenziare” la battaglia per una piu’ equa ripartizione dei profitti in ambito lavorativo, prefigurandosi dunque come una forma di “elemosina sociale” finalizzata a portare avanti il processo di svalutazione del lavoro in corso.
Entrambe le posizioni hanno le loro ragioni e i loro torti e meritano di essere approfondite.

Info;
https://fazieditore.it/catalogo-libri/la-battaglia-contro-leuropa/
https://keynesblog.com/2016/07/08/michele-salvati-recensisce-la-battaglia-contro-leuropa-di-thomas-fazi-e-guido-iodice/

Capitalismo/Crary

Jonathan Crary – 24/7 il capitalismo all’assalto del sonno -Einaudi (2015)

Una riorganizzazione cosi’ relativamente fulminea e capillarmente estesa dell’ordine temporale e delle attivita’ umane come quella che ha accompagnato la diffusione della televisione e’ un evento che si riscontra raramente nel corso della storia. Il cinema e la radio non erano stati che anticipazioni in scala ridotta dei cambiamenti strutturali introdotti poi con la televisione.
Nel giro di appena una quindicina d’anni, vi fu una ricollocazione di massa, per intere popolazioni, in stati prolungati di relativa immobilizzazione.
Centinaia di milioni di individui cominciarono dall’oggi al domani a trascorrere molte ore del giorno e della notte seduti, piu’ o meno a lungo, di fronte a oggetti che emettevano un bagliore tremolante. […]
Si potrebbe affermare che, fra gli anni Cinquanta
e Sessanta, la televisione abbia introdotto nell’ambiente domestico strategie disciplinari concepite per altri contesti. Benche’ nel dopoguerra fossero in auge stili di vita ispirati a una maggiore indipendenza e mobilita’, la televisione aveva effetti antitetici al nomadismo: individui immobili, isolati gli uni dagli altri e deprivati di qualsiasi efficacia politica.
Almeno in parte, e’ uno schema che corrisponde alla scena lavorativa tipica di un modello industriale.
Sebbene non vi si esegua materialmente alcun lavoro, e’ una situazione organizzativa in cui il controllo degli individui si identifica con la produzione di plusvalore, giacche’ l’accumulazione si incrementa attraverso l’innalzamento dei livelli di audience televisiva.

Info:
https://www.doppiozero.com/rubriche/3/201510/jonathan-crary-247
http://www.leparoleelecose.it/?p=21278

Stato/Formenti

Carlo Formenti – La variante populista. Lotta di classe nel neoliberismo – Derive Approdi (2016)

Il mercato non viene piu’ identificato con lo scambio bensi’ con la concorrenza.
Si tratta di un cambiamento epocale, a partire dal quale viene rovesciato l’assunto del liberalismo classico, secondo cui lo Stato doveva astenersi dall’intervenire in economia.
Oggi si chiede viceversa allo Stato di costruire, mantenere e difendere l’ordine della concorrenza contro ogni interferenza (ecco perche’ il super Stato europeo vieta ai singoli Stati nazionali di sovvenzionare direttamente o indirettamente le proprie imprese per proteggerle dalla concorrenza globale) […]
Non a caso Lenin definiva lo Stato il «comitato d’affari della borghesia». Nelle attuali condizioni storiche, tuttavia, nemmeno questa definizione riesce a descrivere la realta’ di un sistema di potere che si fonda su un’integrazione pressoche’ totale fra elite economiche ed elite politiche.
Una realta’ che emerge in modo sfacciatamente evidente in fenomeni come quello che negli Stati Uniti e’ stato battezzato il «sistema delle porte girevoli», vale a dire la pratica per cui i manager di grandi imprese private, banche e societa’ finanziarie (sia sotto le amministrazioni democratiche che sotto quelle repubblicane) rivestono importanti incarichi pubblici o vengono addirittura nominati ministri.
Questi rapporti incestuosi fra economia e politica rispecchiano la convergenza di interessi fra soggetti che condividono gli stessi valori, idee, convinzioni, linguaggi, abitudini e, non di rado, sono legati da relazioni di parentela, amicizia o hanno seguito gli stessi percorsi formativi.

Info:
https://sinistrainrete.info/teoria/9639-alessandro-visalli-la-variante-populista-di-formenti.html
https://www.lacittafutura.it/cultura/la-variante-populista-secondo-formenti

Europa/Balibar

Etienne Balibar – Crisi e fine dell’Europa? – Bollati Boringhieri (2016)

Vorrei [..] ricavare tre lezioni strutturali relative all’articolazione capitalistica dello Stato e del mercato […]
Prima lezione: la crisi delle finanze pubbliche non e’ un
fenomeno contabile al quale si possa attribuire una grandezza assoluta, ma e’ relativa alle decisioni momentanee dei mercati finanziari, alla loro valutazione delle capacita’ degli Stati di pagare gli interessi dei debiti e al tasso di interesse richiesto sui nuovi prestiti di cui gli Stati debitori hanno bisogno per far fronte alle scadenze.
Dunque il grado di indebitamento degli Stati, il loro grado di autonomia o di sovranita’ economica fluttuano in base al modo in cui sono costantemente valutati dai mercati, allo stesso modo di societa’ quotate in borsa.
Ma chi dice «mercato» dice un sistema di scambio e di valorizzazione i cui protagonisti principali (dominanti se non onnipotenti) sono le grandi banche e i principali fondi speculativi. Questi di conseguenza sono diventati, in senso forte, dei protagonisti politici, in quanto dettano a tutta una serie di Stati e anche alle banche centrali la loro politica sociale, economica e monetaria.
La situazione ha un impatto enorme sulla capacita’ dei corpi politici tradizionali (popoli o nazioni di cittadini) di determinare il proprio sviluppo. Oggi forse soltanto la Cina, grazie alla posizione virtualmente egemonica che sta conquistando nell’economia mondiale, sfugge a questo rovesciamento del rapporto tra la capacita’ politica degli Stati e quella degli attori finanziari deterritorializzati […]
Seconda lezione: […] nel caso dei mercati finanziari la concorrenza non porta a un equilibrio tra domanda e offerta, ma al contrario a una fuga in avanti nella capitalizzazione degli attivi, il cui valore aumenta indefinitamente con l’estensione del credito… finche’ non crolla.
O il potere pubblico impone alle operazioni speculative regole di prudenza e di trasparenza, oppure il bisogno illimitato di capitali liquidi, destinati alle speculazioni piu’ redditizie a breve termine, costringe a una deregolazione sempre piu’ totale: le due cose non possono andare insieme.
Anche qui ci si trova di fronte a un’alternativa politica nel campo dell’economia (prodotta dalla finanza), che si avvicina a un conflitto di sovranita’. […]
La difficolta’, contro cui evidentemente l’Europa va a cozzare, sta nel fatto che gli Stati (anche quelli ricchi) non sono piu’ in grado di costituire da soli delle autorita’ di regolazione efficace dei mercati finanziari, senza che d’altra parte si riesca a istituire politicamente un’autorita’ e dei poteri pubblici sovrastatali o transtatali. […]
Un terza lezione […] e’ che a lungo termine esiste una correlazione fondamentale tra il modo in cui si distribuiscono le diseguaglianze sociali tra i territori nazionali o all’interno di questi territori (diseguaglianze di reddito – salari diretti o indiretti – e dunque, date le condizioni storiche e culturali, diseguaglianze di livello e di qualita’ della vita) e le politiche attuate per aumentare la competitivita’ dal punto di vista dell’attrazione di capitali internazionali (con la pressione sul livello salariale – grazie all’immigrazione o ad accordi Stato-sindacati, o a entrambi – e la diminuzione dei prelievi fiscali, destinata inevitabilmente a minacciare le politiche di protezione sociale).
In questo quadro, gli Stati riconquistano almeno una parte della loro capacita’ di determinare politicamente le condizioni economiche della politica, che, come si e’ detto, tendono a sfuggire loro a vantaggio degli attori finanziari nel gioco del credito.

Info:
https://www.illibraio.it/libri/etienne-balibar-crisi-e-fine-delleuropa-9788833928449/
https://www.lindiceonline.com/osservatorio/economia-e-politica/balibar-crisi-europa-ordoliberale/

Geoeconomia/Khanna

Parag Khanna – Il secolo asiatico?- Fazi (2019)

Il modo in cui gli asiatici vedono gli Stati Uniti: non come una potenza egemone ma come un fornitore di servizi.
Le armi, i capitali, il petrolio e la tecnologia statunitensi rappresentano dei servizi in un mercato globale.
Gli Stati Uniti sono dei venditori, e l’Asia e’ diventata al tempo stesso il loro principale cliente e concorrente.
C’e’ stato un tempo in cui gli Stati Uniti avevano praticamente il monopolio della fornitura di sicurezza, capitali ed energia, ma ora i paesi asiatici stanno iniziando sempre piu’ a fornirsi questi servizi l’un l’altro.
Gli Stati Uniti sono meno indispensabili di quanto pensino.

Info:
https://www.iltascabile.com/societa/secolo-asiatico/
http://www.mangialibri.com/libri/il-secolo-asiatico

Capitalismo/Zielonka

Jan Zielonka – Contro-rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale – Laterza (2018)

A differenza dell’Italia o della Grecia, la Spagna e l’Irlanda avevano livelli modesti di debito prima della crisi e quindi non possono essere accusate di aver vissuto al di sopra dei loro mezzi; il loro problema e’ nato da una bolla immobiliare, che segnala deficienze del mercato o l’avidita’ dei promotori delle proprieta’ immobiliari.
La disuguaglianza e’ causata da molti fattori diversi; e’ semplicistico pensare che sia solo il frutto del fatto che alcune persone sono impregnate di un’etica protestante del lavoro mentre altre indulgono al divertimento.
Puo’ darsi che l’euro sia stato costruito male, ma ha funzionato bene prima della tempesta finanziaria, che nacque a New York, non a Francoforte o a Bruxelles.
Puo’ darsi che le banche greche siano state guidate male, ma non sono responsabili del fatto che il debito sovrano della Grecia sia diventato insostenibile e obiettivo allettante per gli speculatori.
La generosa spesa sociale non ha impedito alla Svezia o alla Finlandia di essere campioni della produttivita’ del lavoro.
La bassa spesa sociale della Romania chiaramente non ha accresciuto la produttività del paese.
Gli economisti cercano di spiegare diverse tessere del puzzle, ma se mi chiedi qual e’ il fattore primario che sta dietro la serie di crisi nelle quali si dibatte attualmente l’Europa, ce n’e’ uno che emerge sopra tutti.
Il suo nome è neoliberismo.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/contro-rivoluzione-jan-zielonka/
https://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/440518/chi-ha-lasciato-senza-difese-la-democrazia/
https://www.pandorarivista.it/articoli/contro-rivoluzione-jan-zielonka/3/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858129937
http://www.atlanticoquotidiano.it/recensioni/rivoluzione-la-disfatta-delleuropa-liberale-jan-zielonka/
https://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/440518/chi-ha-lasciato-senza-difese-la-democrazia/