Stato/Judt

Tony Judt – Quando i fatti (ci) cambiano – Laterza (2020)

Finche’ l’obiettivo primario dei socialdemocratici era convincere gli elettori che rappresentavano una scelta radicale rispettabile all’interno della societa’ liberale, questa posizione difensiva aveva senso. Oggi pero’ quella retorica e’ incoerente.
Non e’ un caso che Angela Merkel, democratico-cristiana, possa vincere le elezioni in Germania contro i rivali socialdemocratici – persino all’apice di una crisi finanziaria – con un insieme di politiche che ricalca, in tutti i suoi elementi essenziali, il loro stesso programma […]
Il problema non e’ nelle politiche socialdemocratiche, ma nel linguaggio in cui sono formulate.
Da quando la sfida autoritaria da sinistra e’ venuta meno, dare risalto alla «democrazia» e’ quasi sempre superfluo. Oggi siamo tutti democratici.
Ma «sociale» ha ancora un significato, oggi forse piu’ di qualche decennio fa, quando il ruolo del settore pubblico era inconfutabilmente riconosciuto da tutte le parti. Che cosa c’e’ di particolare, dunque, riguardo alla sfera «sociale», nell’approccio socialdemocratico? […]
Il futuro prossimo sara’ caratterizzato da insicurezza economica e incertezza culturale.
Di sicuro la fiducia che riponiamo nei nostri fini collettivi, nel nostro benessere ambientale o nella nostra sicurezza personale non e’ mai stata cosi’ bassa dalla fine della seconda guerra mondiale.
Non abbiamo idea del tipo di mondo che lasceremo in eredita’ ai nostri figli, ma non possiamo piu’ cullarci nell’illusione che assomigliera’ al nostro in maniera rassicurante. Dobbiamo riconsiderare le soluzioni adottate dalla generazione dei nostri nonni in risposta a sfide e minacce analoghe.
La socialdemocrazia in Europa, il New Deal e la Great Society negli Stati Uniti erano risposte esplicite alle insicurezze e alle sperequazioni dell’epoca.
Pochi in Occidente sono abbastanza vecchi per ricordare cosa significa vedere il proprio mondo crollare. Per noi e’ difficile concepire un collasso completo delle istituzioni liberali, la dissoluzione totale del consenso democratico.
Ma fu proprio un simile sfacelo a provocare il dibattito fra Keynes e Hayek, dal quale nacquero il consenso keynesiano e il compromesso socialdemocratico: il consenso e il compromesso in cui siamo cresciuti e il cui fascino è stato appannato dal loro stesso successo.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858126479
https://ilmanifesto.it/tony-judt-e-la-responsabilita-della-storia/

Stato/Arlacchi

Pino Arlacchi – I padroni della finanza mondiale. Lo strapotere che ci minaccia e i contromovimenti che lo combattono – Chiarelettere (2018)

I fattori che stanno alla base del miracolo economico dell’Asia orientale formano un modello cui sono stati dati vari nomi, il più diffuso tra i quali e’ quello di «developmental state». Questo modello e’ stato creato nel Giappone del dopoguerra ed e’ stato poi seguito nei decenni successivi, con diverse varianti ma senza modifiche sostanziali, dagli altri paesi della regione fino all’entrata in scena della Cina negli anni Novanta.
Il modello si fonda sulla centralita’ dello Stato come regista a tutto campo dello sviluppo, come attore di prima grandezza dell’economia e come responsabile del mutevole negoziato tra le forze della produzione e le varie componenti sociali.
Il developmental state ha un centro propulsore nei ministeri economici del governo centrale e in alcune agenzie specializzate dello sviluppo settoriale – come il celebre Miti giapponese – rette da una tecnocrazia indipendente e altamente qualificata che elabora i piani di crescita e ne controlla l’esecuzione. […]
Il developmental state non e’ uno Stato keynesiano che interviene a colmare le deficienze intrinseche dei mercati dal lato della creazione di domanda e del potere d’acquisto, ma un’istituzione che guida direttamente i mercati e si sostituisce a essi nell’offerta di lavoro, beni e capitali.
Non deve sfuggire l’anomalia di questa situazione rispetto alle condizioni operative del capitalismo occidentale, dove il rialzo delle retribuzioni e dei redditi finisce – come nell’eta’ d’oro del keynesismo – col deprimere i profitti, interrompere il ciclo di crescita e scatenare una controffensiva che ripristina la subordinazione della manodopera e la disuguaglianza sociale preesistente.

Info:
https://www.interris.it/news/esteri/chi-sono-i-padroni-della-finanza-mondiale/
https://www.edizionipolis.it/magazine/2019/03/29/economia-e-finanza-mondiale-arlacchi-il-neoliberalismo-oggi-vive-una-profonda-crisi/

Stato/Fana

Marta Fana, Simone Fana – Basta salari da fame – Laterza (2019)

Nel 1981 viene sancito il divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro.
La Banca d’Italia diventa un organo indipendente, liberato da qualsiasi meccanismo di controllo politico-democratico.
Il nuovo assetto istituzionale esprime una rottura piu’ ampia, che riguarda direttamente il rapporto tra democrazia e capitalismo. Le istituzioni democratiche si liberano dagli intralci del conflitto sociale e divengono mere esecutrici dei dettami “tecnici” delle oligarchie economiche.
A farne le spese sara’ ancora una volta la classe lavoratrice.
L’opera di smantellamento delle conquiste sociali degli anni precedenti viene portata a termine tra il 1983 e il 1984.
La notte del 22 gennaio del 1983 con il primo accordo tra governo, sindacato e industriali si apre il processo di revisione della scala mobile, con la previsione del taglio del 15% del punto di contingenza. Nell’anno seguente il governo presieduto da Bettino Craxi propone un ulteriore taglio della scala mobile.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Stato/Pallante

Francesco Pallante – Contro la democrazia diretta – Einaudi (2020)

I sistemi elettorali sono mezzi. Di per se’, nulla dicono sui fini: dipende da come vengono utilizzati.
Cosi’ come il proporzionale puo’ generare partecipazione o degenerare in partitocrazia, allo stesso modo il sistema maggioritario puo’ assumere le caratteristiche della democrazia d’indirizzo o d’investitura.
Indirizzo e investitura producono entrambi una premiership personalizzata, ma altro e’ che la scelta del leader avvenga in esito alla costruzione dell’identita’ politica di un collettivo organizzato (modello dell’indirizzo), altro che l’identita’ del gruppo si esaurisca nella scelta del leader (modello dell’investitura).
In Italia e’ fin da subito la seconda prospettiva a prevalere […]
Gli effetti della trasformazione maggioritaria, amplificati dal sistema dei media, sono pervasivi.
Lo scontro tra i leader degli schieramenti contrapposti diventa il fulcro di campagne elettorali incentrate sulla personalita’ dei contendenti piu’ che sui programmi da realizzare.
L’aspetto, la storia, il privato dei candidati diventano decisivi elementi di valutazione della loro credibilita’.
Per chi si candida, l’avere un profilo pubblico, l’avere esperienza politica, diventa, improvvisamente, un handicap. L’esserne totalmente a digiuno un vantaggio. Chi ha saputo ben coltivare le proprie cose private si trasforma, per cio’ solo, nel piu’ appetibile dei candidati a occuparsi della cosa pubblica. L’importante e’ che si presenti bene.

Info:
https://www.letture.org/contro-la-democrazia-diretta-francesco-pallante
https://www.questionegiustizia.it/articolo/sul-libro-di-francesco-pallante-contro-la-democrazia-diretta
http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-scommessa-della-rappresentanza-perche-la-democrazia-diretta-non-e-la-soluzione-alla-crisi-della-politica/

Stato/Deneault

Alain Deneault – Governance. Il management totalitario – Neri Pozza (2018)

La privatizzazione del bene pubblico non e’ ne’ piu’ ne’ meno che un processo di privazione.
Mentre il liberalismo economico promuove quest’arte della privazione negli ambienti di chi ne trae profitto, la governance serve ad ammortizzarne lo choc, peraltro solo per lo spirito, in quanto non si oltrepassera’ mai su questo punto l’ambito del lavoro retorico.
Privare, in latino, designa l’azione di mettere da parte – il contrario di spartire.
Privatizzare un bene consiste nel privare qualcuno di qualcosa a vantaggio di qualcun altro, dal momento che non viene pagato nessun diritto di cessione. Il privatus designa di conseguenza colui che e’ privato di qualcosa […]
Dallo stesso privare latino proviene del resto l’espressione “privilegio”.
La parola letteralmente significa legge (lex) privata (privus): il privilegio corrisponde all’atto di privare (escludere) un altro di un bene o di un favore in virtu’ di una regola generale (legge).

Info:
https://www.doppiozero.com/materiali/dopo-la-democrazia-la-governance
https://ilmanifesto.it/il-prezzo-senza-volto-di-un-ingranaggio/

Stato/Marsili

Lorenzo Marsili, Yanis Varoufakis – Il terzo Spazio. Oltre establishment e populismo – Laterza (2017)

Secondo l’OCSE, dagli anni Ottanta la diseguaglianza economica e’ cresciuta del 33% in Italia (il dato piu’ alto fra i paesi OCSE).
Al punto che nel 2016 i sette paperoni nazionali hanno una ricchezza pari ai 20 milioni piu’ poveri, il famigerato 1% detiene il 25% del reddito nazionale e il 20% delle persone piu’ ricche possiede piu’ di quanto detenuto dal 67% della popolazione […]
Il problema e’, senz’altro, globale. Alcune delle misure necessarie – come la chiusura dei paradisi fiscali, dato che il 50% delle aziende italiane quotate in borsa ha una presenza in un paradiso offshore – possono essere portate avanti principalmente a livello europeo. Ma molte altre possono e devono essere messe in campo a livello nazionale. Non e’ un intervento divino che ha reso l’Italia il paese piu’ iniquo fra le democrazie dell’Europa occidentale, con la piu’ grande forbice di ricchezza fra chi ha troppo e chi troppo poco. Ma chiare scelte politiche: la detassazione delle grandi eredità – laddove, come ha dimostrato Piketty, i grandi patrimoni si trasferiscono non per merito ma per eredita’; la detassazione della prima casa anche per i piu’ abbienti; un sistema fiscale iniquo che schiaccia lavoratori, autonomi e partite IVA ma che abbassa la tassazione sui profitti d’impresa e inventa condoni fiscali sempre piu’ improbabili; e poi l’assenza di una vera tassazione patrimoniale, di natura fortemente progressiva e non punitiva, capace di mettere in circolazione la ricchezza accumulata nelle mani di pochissimi e tenuta ferma a moltiplicarsi attraverso investimenti finanziari improduttivi […]
Oltre all’economia la grande ricchezza puo’ bloccare la democrazia. Lungi dall’essere solo un problema economico e sociale, questo e’ infatti un problema politico di primo piano. Chi accumula una posizione economica dominante acquisisce di fatto anche un potere decisionale che mina alla radice l’autonomia dei singoli cittadini, permettendo quelle forme di cattura della democrazia nazionale da parte delle grandi oligarchie di potere che sequestrano la sovranita’ popolare e snaturano il senso stesso della rappresentanza politica.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858128282
https://www.sns.it/it/evento/terzo-spazio
https://www.estetica-mente.com/recensioni/libri/lorenzo-marsili-yanis-varoufakis-terzo-spazio-oltre-establishment-populismo/73210/
http://www.mangialibri.com/libri/il-terzo-spazio

 

Stato/Fana

Marta Fana, Simone Fana – Basta salari da fame – Laterza (2019)

La diffusione del lavoro nero non e’ un fenomeno recente in Italia.
Dal dopoguerra ad oggi lo sviluppo dualistico dell’economia italiana e’ strettamente legato alla persistenza di ampi settori produttivi dediti all’elusione e all’evasione contributiva […]
L’evasione contributiva pesa sulle tasche dei lavoratori e delle lavoratrici, che vengono privati di quella quota del salario funzionale al calcolo della pensione. Si tratta di un fenomeno antico che continua ad essere rappresentato nel dibattito pubblico con formule caricaturali, che finiscono spesso e volentieri per relegarlo a un tratto caratteristico e specifico del Mezzogiorno.
Un tentativo volto a dipingere l’Italia come un paese attraversato da una divisione antropologica tra un Nord sviluppato e un Sud culturalmente avvezzo all’irregolarita’ e al malaffare.
Questa diffusa tendenza a rappresentare in forma stilizzata e folcloristica i problemi di fondo dello sviluppo economico e sociale del paese ha funzionato come strumento per sviare l’attenzione dagli intrecci tra economia formale ed economia informale. In breve, e’ servita come arma di distrazione di massa per spostare lo sguardo dalla direzione consapevole dello sviluppo del capitalismo italiano, che si nutre del rapporto opaco tra economia regolare e sfruttamento e lavoro nero.
Infatti il fenomeno del lavoro irregolare non e’ mai stato una prerogativa del Mezzogiorno […]
Una prassi che attraversa trasversalmente la penisola, dalle campagne pugliesi e siciliane sino alla “moderna” Emilia-Romagna […]
Un vero e proprio cancro che corrode l’economia e lo sviluppo del paese e genera effetti distributivi distorti, a vantaggio dei profitti e delle rendite e a discapito dei salari e del welfare.
Una dinamica che, come abbiamo gia’ visto, e’ stata fotografata dal “New York Times” nell’inchiesta che ha raccontato la diffusione del lavoro a domicilio nel settore del lusso delle aziende tessili pugliesi. Una storia di sfruttamento, in cui donne di ogni eta’ lavorano per i grandi marchi del Made in Italy per salari che si aggirano tra i 5 e i 6 euro orari. Un viaggio nel passato che non passa, che e’ presente e futuro per generazioni schiacciate dal peso della disoccupazione e della sottoccupazione, costrette a obbedire a condizioni lavorative paragonabili a quelle delle prime industrie tessili inglesi.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Stato/Deneault

Alain Deneault – Governance. Il management totalitario – Neri Pozza (2018)

“GOVERNANCE”… termine apparentemente inoffensivo, ma  con conseguenze  nefaste. La governance cancella il nostro patrimonio di riferimenti politici per sostituirli con i termini tendenziosi del management. […]
Introdotta nell’ambito della vita pubblica da Margaret Thatcher all’inizio degli anni Ottanta, la governance dara’ cosi’ giustificazione a un mutamento del ruolo dello Stato […]
Col pretesto di riaffermare la necessita’ di una sana gestione delle istituzioni pubbliche, il termine designera’ non solo la messa in opera di meccanismi di sorveglianza e di controllo, ma anche la volonta’ di gestire lo Stato secondo modalita’ di efficienza aziendale.
I tecnocrati della prima ministra «affibbiarono percio’ il grazioso nome di governance alla gestione neoliberale dello Stato, che si tradusse in una deregulation e in una privatizzazione dei servizi pubblici, oltre che in un richiamo all’ordine delle organizzazioni sindacali» […]
Contrariamente ai termini “democrazia” o “politica” che essa tende a occultare, “governance” non definisce niente in modo netto e rigoroso. L’estrema malleabilita’ della parola elude il senso, e questo sembra precisamente il suo scopo. Tutto avviene come se si sapesse cio’ che si vuol dire proprio nel bel mezzo di una totale vanita’ semantica. Ci si convince.
A causa della sua indeterminatezza, l’espressione offre scarsi appigli alla discussione o alla disputa, pur rilasciando un messaggio fondamentale: si tratta di una politica “senza governo”, promossa a livello mondiale, che membri sociali isolati in rappresentanza di interessi diversi praticano secondo una modalita’ gestionale o commerciale I fattori che stanno alla base del miracolo economico dell’Asia orientale formano un modello cui sono stati dati vari nomi, il più diffuso tra i quali e’ quello di «developmental state». Questo modello e’ stato creato nel Giappone del dopoguerra ed e’ stato poi seguito nei decenni successivi, con diverse varianti ma senza modifiche sostanziali, dagli altri paesi della regione fino all’entrata in scena della Cina negli anni Novanta.
Il modello si fonda sulla centralita’ dello Stato come regista a tutto campo dello sviluppo, come attore di prima grandezza dell’economia e come responsabile del mutevole negoziato tra le forze della produzione e le varie componenti sociali.
Il developmental state ha un centro propulsore nei ministeri economici del governo centrale e in alcune agenzie specializzate dello sviluppo settoriale – come il celebre Miti giapponese – rette da una tecnocrazia indipendente e altamente qualificata che elabora i piani di crescita e ne controlla l’esecuzione. […]
Il developmental state non e’ uno Stato keynesiano che interviene a colmare le deficienze intrinseche dei mercati dal lato della creazione di domanda e del potere d’acquisto, ma un’istituzione che guida direttamente i mercati e si sostituisce a essi nell’offerta di lavoro, beni e capitali.
Non deve sfuggire l’anomalia di questa situazione rispetto alle condizioni operative del capitalismo occidentale, dove il rialzo delle retribuzioni e dei redditi finisce – come nell’eta’ d’oro del keynesismo – col deprimere i profitti, interrompere il ciclo di crescita e scatenare una controffensiva che ripristina la subordinazione della manodopera e la disuguaglianza sociale preesistente.

Info:
https://www.doppiozero.com/materiali/dopo-la-democrazia-la-governance
https://ilmanifesto.it/il-prezzo-senza-volto-di-un-ingranaggio/

Stato/Crouch

Colin Crouch – Combattere la postdemocrazia – Laterza (2020)

L’esternalizzazione di servizi pubblici viene generalmente presentata come trasferimento di quel servizio dal monopolio statale al mondo della scelta del consumatore.
Ma la realta’ e’ che gli appalti vengono aggiudicati da istituzioni pubbliche: semmai, quindi, i clienti sono quelle istituzioni, non il pubblico degli utenti, che di fatto sono pseudoclienti e hanno interessi spesso non coincidenti con quelli dell’istituzione pubblica cui devono invece rispondere i concessionari […]
Le istituzioni pubbliche che subappaltano i propri servizi perdono le professionalita’ lentamente maturate al proprio interno attraverso la gestione di quei servizi, e ben presto si ritrovano del tutto incapaci di valutare le competenze e le prestazioni delle aziende cui li hanno affidati.
Cio’, oltre a ridurre quasi certamente la qualita’ del servizio offerto, aumenta la dipendenza dell’amministrazione da un ristretto numero di imprese private, che finiscono per diventare le uniche depositarie delle necessarie conoscenze professionali.
Queste attivita’ sono troppo politiche, e troppo oligopolistiche, per far parte di una vera economia di mercato; e si fondano su reti che appaiono del tutto impenetrabili per la democrazia. Ormai e’ chiaro da anni che, per quanto carenti possano essere a volte i servizi pubblici, affidarne la fornitura a privati non garantisce, in linea di principio, alcun vantaggio.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139882
https://www.arci.it/il-libro-combattere-la-postdemocrazia-di-colin-crouch/
https://www.ilfoglio.it/cultura/2020/02/09/news/postdemocrazia-no-300300/

Stato/Crouch

Colin Crouch – Combattere la postdemocrazia – Laterza (2020)

Spesso viene fatto notare che in tedesco la parola Schuld significa sia “debito” che “colpa”.
Ma anche il termine Glaubiger vuol dire sia “creditore” che “credulone” (del resto, “creditore” deriva dal latino credo).
Di solito chi decide di credere viene ritenuto corresponsabile al pari della persona alla quale da’ credito.
Il prestito e’ un rischio condiviso tra chi presta e chi riceve: e la teoria contabile ritiene responsabili entrambi i soggetti, incentivandoli cosi’ ad agire con prudenza […].
Ma nel lessico dei protagonisti dei mercati monetari contemporanei non c’e’ posto per la prudenza: si direbbe anzi che essi, con la crisi greca, abbiano voluto dimostrare che non soltanto sono “troppo grandi per fallire”, ma che lo sono anche per essere chiamati a rispondere dei propri comportamenti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139882
https://www.arci.it/il-libro-combattere-la-postdemocrazia-di-colin-crouch/
https://www.ilfoglio.it/cultura/2020/02/09/news/postdemocrazia-no-300300/