Stato/Barberis

Mauro Barberis – Come internet sta uccidendo la democrazia. Populismo digitale – Chiarelettere (2020)

La democrazia, il governo di tutto il popolo, non solo di quella parte che e’ il popolino populista, e’ un governo nel quale, certo, tutti decidono a maggioranza chi governera’, ma sapendo gia’ che a governare saranno poi politici professionali e non dilettanti allo sbaraglio.
E, soprattutto, e’ il governo continuamente controllato da istituzioni contromaggioritarie […]
Sono contromaggioritari, in questo senso, non solo il potere giudiziario, corti costituzionali comprese, ma tutte le istituzioni oggetto del livore populista: presidente della Repubblica, agenzie indipendenti, organi sovranazionali…
Bisognerebbe spiegare al popolo che sono proprio gli organi contromaggioritari a fare i suoi interessi, non i governi populisti che, come tutti i governi, fanno i propri interessi.
Le istituzioni contromaggioritarie sono contro i governi, non contro il popolo.
Il primo rimedio alla politica populista, di tipo istituzionale o costituzionale, e’ appunto difendere le istituzioni contromaggioritarie distintive della liberaldemocrazia. […]
Nella storia dello Stato moderno si sono accumulate tre progressive limitazioni del potere.
Prima la sovranita’ dei monarchi e la stessa sovranita’ popolare sono state limitate imponendo loro di rispettare la legge (Stato legislativo). Poi, alla stessa legislazione democratica e’ stato imposto di rispettare la Costituzione (Stato costituzionale).
Oggi si tratta di limitare un ulteriore potere, piu’ pervasivo
e sfuggente dei precedenti, che taluno chiama sovranità della rete.
La rete e’ sovrana, oggi, perche’ conferisce legittimita’ e potere, togliendoli agli Stati nazionali.
Gli Stati avevano i monopoli di tre beni: forza, moneta e comunicazioni. Ma le comunicazioni sono ormai passate alla rete, almeno da quando il governo americano ha regalato quest’ultima ai giganti del web. La moneta potrebbe farlo a sua volta se andasse in porto il progetto Libra, la valuta digitale di Facebook.
Manca solo il monopolio della forza, ma il populismo digitale sta provvedendo anche a questo.

Info:
https://www.illibraio.it/libri/mauro-barberis-come-internet-sta-uccidendo-la-democrazia-9788832962741/
https://www.lankenauta.it/?p=18988

Stato/Barberis

Mauro Barberis – Come internet sta uccidendo la democrazia. Populismo digitale – Chiarelettere (2020)

Il XX secolo forse non ha cambiato il concetto di democrazia […]
Ma le istituzioni democratiche – non solo il Parlamento, la tutela dei diritti fondamentali e la separazione dei poteri, ma anche i partiti, la stampa, i media… –, quelle si’ sono profondamente cambiate e funzionano in modo del tutto diverso da quelle sette-ottocentesche.
Ci si e’ accorti del mutamento solo dopo che il populismo era ormai esploso, attribuendo il fenomeno a cause contingenti come globalizzazione, crisi economiche, migrazioni, risentimento, rivoluzione digitale. In realtà c’e’ una causa politico-istituzionale del populismo che viene da molto piu’ lontano e coincide appunto con i mutamenti che hanno interessato la democrazia parlamentare […]
Il primo mutamento, tanto consolidato da passare ormai inavvertito, e’ la concentrazione dei poteri nell’esecutivo. E si badi che non si parla delle democrazie illiberali, ma proprio delle democrazie liberali.
Intanto, gli studiosi si occupano prevalentemente dei due poteri normativi, legislativo e giudiziario, e ignorano non tanto l’esecutivo quanto l’amministrazione: l’unico potere statale che dura anche quando cambiano maggioranze e governi, e senza il quale gli altri poteri non potrebbero funzionare.
Poi, e di conseguenza, non si riflette mai abbastanza sulle conseguenze prodotte, sulle istituzioni democratiche stesse, da due guerre mondiali, una guerra fredda, apparentemente chiusa dalla caduta del Muro di Berlino (1989), e un numero imprecisato di guerre asimmetriche, dalla Corea al Vietnam, dall’Afghanistan all’Iraq, spesso mascherate da interventi umanitari, esportazioni della democrazia o guerra al terrore. Tutti conflitti non dichiarati dai parlamenti, e gestiti direttamente dagli esecutivi.
Tutte queste guerre, scatenate nonostante il, o forse addirittura grazie al, principio del rifiuto della guerra come soluzione dei conflitti internazionali, hanno comportato uno spostamento enorme di poteri dal legislativo all’esecutivo, e da questo all’amministrazione […]
Si governa per decreti governativi, e l’ultima parola non tocca affatto ai giudici, come qualcuno crede, ma all’amministrazione […]
Il secondo mutamento che ha interessato le istituzioni democratiche e’ chiamato costituzionalizzazione ma dovrebbe chiamarsi anche internazionalizzazione della democrazia […]
Si tratta della democrazia, detta appunto costituzionale, in cui il potere statale incontra limiti sia interni (costituzioni rigide, corti costituzionali, interpretazione costituzionale) sia esterni (trattati internazionali, corti internazionali).
La democrazia costituzionale, impostasi in Occidente con la giurisprudenza delle grandi corti costituzionali e internazionali, si era estesa ai paesi dell’Est dopo la caduta del Muro di Berlino […]
Infine, c’è un terzo mutamento istituzionale da registrare, molto differente dai precedenti: lo svuotamento neoliberista della democrazia.
Si comincia a parlare di crisi della democrazia nel 1975: gli Stati nazionali, si dice, non sono piu’ in grado di assicurare la «governabilita’», ossia di adempiere le promesse fatte negli anni del boom economico.
«Governabilita’», governance (governo pubblico- privato) e sovranita’ del consumatore (decide chi compra) sono poi divenuti i mantra del neoliberismo, di destra e di sinistra.

Info:
https://www.illibraio.it/libri/mauro-barberis-come-internet-sta-uccidendo-la-democrazia-9788832962741/
https://www.lankenauta.it/?p=18988

Stato/Zielonka

Jan Zielonka – Contro-rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale – Laterza (2018)

La democrazia quale la conosciamo venne alla luce in un processo di formazione dello Stato e della nazione che difficilmente puo’ essere replicato in contesti diversi.
E’ difficile, per esempio, che il sistema di rappresentanza democratica funzioni adeguatamente senza un demos chiaramente definito, e noi non abbiamo un simile demos al di sopra degli Stati-nazione. Al piu’, abbiamo un insieme di demoi che non formano un tutto coerente.
Oltre a cio’, la democrazia non richiede solo la creazione di alcune istituzioni democratiche come parlamenti, elezioni, costituzioni; richiede anche confini territoriali che corrispondano e coincidano con confini funzionali sistemici, e che siano in linea con le consolidate gerarchie sociopolitiche all’interno delle relative popolazioni.
Solo gli Stati-nazione sono in grado di realizzare quest’ultimo requisito.

Info:
https://ilmiolibro.kataweb.it/recensione/catalogo/440518/chi-ha-lasciato-senza-difese-la-democrazia/
https://www.pandorarivista.it/articoli/contro-rivoluzione-jan-zielonka/3/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858129937
http://www.atlanticoquotidiano.it/recensioni/rivoluzione-la-disfatta-delleuropa-liberale-jan-zielonka/

Stato/Fana

Marta Fana, Simone Fana – Basta salari da fame! – Laterza (2019)

Il teorema secondo cui il taglio del cuneo fiscale delle imprese favorirebbe la crescita dell’economia italiana e i salari dei lavoratori e’ falso.
Cosi’ come falsa e’ la relazione tra meno tasse alle imprese e maggiori investimenti.
I fatti presentati nell’ultimo rapporto Ocse sulle imposte sul lavoro raccontano una realta’ molto diversa da quella in auge nel dibattito pubblico nostrano. In primo luogo, non e’ vero che l’Italia e’ il paese con il cuneo fiscale piu’ alto tra i paesi Ocse.
Prima dell’Italia si posizionano, infatti, il Belgio con un cuneo fiscale del 53,3%, la Germania con un valore che si attesta al 49,7% e solo al terzo posto c’e’ l’Italia, dove esso raggiunge quota 47,7%, molto simile a quello registrato in Francia (47,6 %) e in Austria (47,4 %).
Insomma, l’Italia e’ in buona compagnia per quanto riguarda le imposte sul lavoro; peccato che il ritmo con cui crescono redditi e salari dei lavoratori francesi, austriaci, tedeschi
e belgi sia da due decenni ormai ben al di sopra di quelli registrati in Italia.
Inoltre, sempre l’Ocse afferma che in Italia dal 2016 al 2017 la componente non salariale del costo del lavoro e’ continuata a diminuire. Un trend che e’ iniziato proprio nel primo decennio del secolo con le manovre di taglio al costo del lavoro, portate avanti dai governi di diverso colore politico.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Stato/Judt

Tony Judt – Quando i fatti (ci) cambiano. Saggi 1995-2010 – Laterza (2020)

La stessa sfida – comprendere che cosa era successo tra le guerre e impedirne il ripetersi – fu affrontata da John Maynard Keynes. Il grande economista inglese, nato nel 1883 (come Schumpeter), era cresciuto in una Gran Bretagna stabile, sicura, prospera e potente […]
Anche Keynes si sarebbe posto la domanda che si erano fatti Hayek e i suoi colleghi austriaci. Ma propose una risposta assai diversa […]
Se c’era una lezione da trarre dalla depressione, dal fascismo e dalla guerra, era questa: l’incertezza, elevata a livello di insicurezza e di paura collettiva, era la forza corrosiva che aveva minacciato e avrebbe potuto minacciare di nuovo il mondo liberale.
Keynes auspicava quindi un ruolo piu’ incisivo dello Stato assistenziale, compreso, ma non solo, l’intervento economico in funzione anticiclica […]
Per i trent’anni successivi, la Gran Bretagna (come gran parte del mondo occidentale) fu governata sulla base delle preoccupazioni di Keynes […]
Lo Stato sociale poteva vantare notevoli risultati. In alcuni paesi era socialdemocratico, fondato su un programma ambizioso di legislazione socialista; in altri – per esempio in Gran Bretagna – consisteva in una serie di politiche pragmatiche volte ad alleviare gli svantaggi e a contenere i livelli estremi di ricchezza e di indigenza. Il tema comune e il risultato universale dei governi neokeynesiani del dopoguerra era il notevole successo ottenuto nel ridurre la disuguaglianza.
Se confrontiamo il divario fra ricchi e poveri, in base al reddito o al patrimonio, vedremo che in tutti i paesi dell’Europa continentale, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti si riduce drasticamente nella generazione successiva al 1945.
La maggiore uguaglianza era accompagnata da altri benefici.
Col tempo, la paura di un ritorno dell’estremismo politico – la politica della disperazione, la politica dell’invidia, la politica dell’insicurezza – si attenuo’. Il mondo occidentale industrializzato entro’ in un’epoca felice di prospera sicurezza: una bolla, forse, ma una bolla confortevole in cui la maggior parte delle persone se la passava molto meglio di quanto potesse mai aver sperato in passato e aveva buone ragioni per guardare al futuro con fiducia […]
Fu la socialdemocrazia a saldare il legame tra i ceti medi e le istituzioni liberali (uso qui «ceti medi» nel senso europeo) […]
Cosi’, quella stessa classe sociale che era stata tanto esposta alla paura e all’insicurezza negli anni interbellici adesso era stabilmente integrata nel consenso democratico del dopoguerra.
Alla fine degli anni Settanta, tuttavia, queste considerazioni venivano sempre piu’ trascurate.
A partire dalle riforme fiscali e del lavoro introdotte nel periodo Thatcher-Reagan, seguite a distanza ravvicinata dalla deregolamentazione del settore finanziario, la disuguaglianza e’ tornata a essere un problema nella societa’ occidentale.
Dopo il notevole calo registrato tra gli anni Dieci e gli anni Set- tanta del Novecento, negli ultimi tre decenni l’indice di disuguaglianza e’ sistematicamente aumentato.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858126479
https://ilmanifesto.it/tony-judt-e-la-responsabilita-della-storia/

Stato/Marsili

Lorenzo Marsili, Yanis Varoufakis – Il terzo spazio. Oltre establishment e populismo – Laterza (2017)

Le privatizzazioni sono un simbolo chiave della perdita di sovranita’ popolare e della resa dello Stato a governare l’economia a favore di una maggioranza.
In alcuni casi, poi, diventano una forma di rendita garantita per azionisti: succede quando si tratta di aziende che operano in settori regolati e naturalmente monopolistici.
Privatizzazioni, queste, che hanno creato una nuova categoria di imprenditori rentier che estraggono valore da aziende ex pubbliche protette senza fare nessun investimento.
E’ ovvio che le privatizzazioni vadano immediatamente fermate e, dove possibile, invertite.
Ma si deve fare di piu’. Perche’ il punto non e’ nazionalizzare ma democratizzare il sistema economico.
Negli ultimi trent’anni si e’ esteso a dismisura quello shareholder capitalism, il capitalismo dell’azionista, che ha fatto dell’aumento dei dividendi l’unico fine aziendale, anche e soprattutto a scapito dei lavoratori, dell’impatto sociale e ambientale.
Molto spesso questo avviene attraverso un aumento fittizio del valore azionario con processi quali il buyback, l’utilizzo dei profitti aziendali per l’acquisto di azioni proprie invece che per investimenti.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858128282
http://www.minimaetmoralia.it/wp/terzo-spazio-intervista-yanis-varoufakis/

Stato/Boitani

Andrea Boitani – Sette luoghi comuni sull’economia – Laterza (2017)

Guardando all’Italia, le riforme forse piu’ importanti […] riguardano il codice di procedura civile (per migliorare la qualita’ oltre che la rapidita’ della giustizia); il sistema dell’istruzione e della formazione professionale.
Una seria e sistematica guerra alla corruzione e alla criminalita’ organizzata (molto piu’ intrecciate di quanto si pensi) farebbe, credo, piu’ di tante altre riforme strutturali nel ristabilire un clima di fiducia capace di spingere nuovamente le imprese a investire e di attrarre investimenti dall’estero.
Il tempo ci dira’ se il nuovo Codice degli appalti (varato nel 2016) ha dato i frutti sperati.
Con calma e rigore bisognerebbe cercare anche di affrontare alcuni tabu’, cominciando da alcune competenze attribuite alla Corte dei Conti e al Consiglio di Stato.
Quanto rallentano la pubblica amministrazione (e quindi l’economia) i loro pareri obbligatori, i loro controlli di legittimita’, le loro registrazioni di decreti?
E mettere sull’altro piatto della bilancia quali miglioramenti al processo legislativo e amministrativo essi garantiscano. Insomma pesare costi e benefici e poi tirare le somme e riformare in maniera chirurgica.
Sono, nel complesso, riforme il cui costo di carico sul bilancio pubblico e’ relativamente basso, ma alto e’ quello politico (in alcuni casi si richiedono anche modifiche costituzionali) e per questo non si fanno, o si fanno a spizzichi e bocconi.

Info:
https://www.anobii.com/books/Sette_luoghi_comuni_sull%27economia/9788858124581/012e4b7607f103e80f
https://www.lavoce.info/archives/tag/i-sette-luoghi-comuni-sulleconomia/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858124581

Stato/Marsili

Lorenzo Marsili, Yanis Varoufakis – Il terzo spazio. Oltre establishment e populismo – Laterza (2017)

0,005%. E’ questa la tassazione a cui sono stati soggetti buona parte dei profitti europei di Apple grazie a un accordo con il fisco irlandese.
E non si tratta di un’eccezione.
In Europa si e’ generata una competizione al ribasso tra paesi che spinge i governi ad abbassare la tassazione per le grandi imprese in modo da ‘scipparle’ al vicino.
Alcuni, come il Lussemburgo, l’Olanda, l’Irlanda, il Regno Unito e Cipro, corteggiano esplicitamente l’elusione fiscale pur di attirare le multinazionali – e, non a caso, vengono considerati paradisi fiscali da molte ONG internazionali.
Di fatto, il sistema europeo legittima un doppio regime fiscale riservando alle multinazionali un trattamento di favore. Danneggiando fortemente, allo stesso tempo, le capacita’ fiscali di tutti gli Stati europei. Anche l’Italia non e’ immune da questo fenomeno, tutt’altro […]
Ma come funziona tutto questo e chi lo consente?
Le procedure sono varie, ma le piu’ comuni hanno dei nomi evocativi: Double Irish e Dutch Sandwich. Nomi che rimandano ai responsabili di tutto questo: i governi nazionali.
Il Double Irish e’ usato da molte aziende oltre che dalla Apple, e fra queste Google, Pfizer, Adobe, Johnson & Johnson e Yahoo!
Si tratta – va ricordato, anche perche’ e’ precisamente questo il problema – di una procedura assolutamente legale. Innanzitutto, bisogna registrare due compagnie separate in Irlanda. La prima servira’ a raccogliere tutti i profitti dalle vendite europee; la seconda sara’ invece titolare dei brevetti relativi ai prodotti venduti.
La prima fara’ transitare la maggior parte dei profitti alla se- conda, sotto forma di royalties, cioe’ di diritti per l’utilizzo del brevetto. La seconda compagnia, infatti, potra’ evitare qualsivoglia imposizione fiscale grazie a una legge speciale che stabilisce gli introiti da royalties per le aziende multinazionali con sede in Irlanda.
Cosa accade con tutto questo denaro?
Riportarlo negli Stati Uniti significherebbe pagare la corporate tax americana – che, anche se molto bassa, e’ pur sempre piu’ di zero. Meglio trasferirli, invece, la’ dove e’ pari a zero: le Bermuda […]
Il Parlamento e la Commissione europea sono, va detto, ben consapevoli delle ingiustizie che questo sistema produce.
Da molti anni stanno spingendo per una maggiore armonizzazione fiscale e per normative piu’ rigide contro l’evasione fiscale a livello comunitario: non sarebbe infatti cosi’ difficile attaccare alla radice il problema.
Ma fino ad oggi non e’ stato concordato nulla se non riforme di facciata. […]
E’ lampante la responsabilita’ e la connivenza di una classe politica che silenziosa, gettando il sasso e nascondendo la mano, catturata da interessi oligarchici e attraversata da una tragica mediocrita’, persegue politiche controproducenti e contrarie agli interessi di una maggioranza.
Risultato?
Calo drastico del gettito fiscale, aumento delle diseguaglianze e distorsione del mercato.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858128282
http://www.minimaetmoralia.it/wp/terzo-spazio-intervista-yanis-varoufakis/

Stato/De Benoist

Alain De Benoist – Populismo. La fine della destra e della sinistra – Arianna (2017)

L’importanza attribuita alla societa’ civile e’, in effetti, un modo di consacrare l’azione dei gruppi di interesse e delle lobby, tutti ugualmente rappresentativi di questa “societa’ civile”, tutti portati a difendere interessi o privilegi categoriali con, come conseguenza, una tirannia non piu’ della maggioranza sulle minoranze, ma delle minoranze sulla maggioranza.
Lo sviluppo della “societa’ civile” equivale, da questo punto di vista, alla crescente pressione dell’opinione pubblica.
La “democrazia di opinione” e’ quella in cui i sondaggi hanno piu’ importanza delle elezioni reali e le immagini veicolate dalla televisione piu’ importanza delle idee e persino degli atti.
Secondo Regis Debray, «questa dittatura sondaggistico-mediatica trasforma il governo in un gestore alla giornata, volto verso i supposti desideri dell’opinione pubblica per anticiparli o prevenirli.
Si assiste cosi’, ad esempio, alla nascita di una diplomazia in cui ci si agita istantaneamente per qualsiasi cosa per poi non occuparsi seriamente di niente, in cui si salta da un’immagine all’altra senza memoria e senza un preciso disegno».

Info:
https://www.anobii.com/books/Populismo/9788865881897/01e2818c0646349dc7
http://www.opinione.it/cultura/2017/09/13/teodoro-klitsche-de-la-grande_de-benoist-populismo/

Stato/De Benoist

Alain De Benoist – Populismo. La fine della destra e della sinistra – Arianna (2017)

I due nuovi grandi fenomeni politici sono, da un lato l’emergere della governance e dall’altro l’ascesa dei populismi.
Derivata in origine dalla corporate governance, la tematica della governance, […] tende a trasformare i governi in organismi di gestione ispirati a metodi economici e a sminuirli al rango di strumenti subordinati agli imperativi economici e, soprattutto, finanziari […]
La governance mira alla privatizzazione della societa’ sul modello del mercato. Ora, il mercato non va d’accordo con la democrazia […]
L’uso sempre piu’ ripetitivo della parola governance […], attesta «una volonta’ di rimuovere il concetto di governo, con la sua connotazione politica sinonimo di priorita’ dell’autorita’ pubblica e dell’interesse generale su cio’ che rientra nell’ambito dell’interesse privato e degli attori privati. La governance e’ la fine del politico e, con esso, della democrazia civica» […]
Il populismo e’ anzitutto il segnalatore di una crisi o di una disfunzione grave della democrazia liberale.
Il populismo appare solo quando la democrazia liberale ha dato prova dei suoi limiti, quando non riesce piu’ a rispondere alle domande sociali, quando alimenta un senso di espropriazione democratica e appare solo come una mascherata, se non addirittura un freno alle aspirazioni popolari.

Info:
https://www.anobii.com/books/Populismo/9788865881897/01e2818c0646349dc7
http://www.opinione.it/cultura/2017/09/13/teodoro-klitsche-de-la-grande_de-benoist-populismo/