Societa’/Latouche

Lavorare meno, lavorare diversamente o non lavorare affatto – Serge Latouche – Bollati Boringhieri (2023)

Sicuramente viviamo piu’ a lungo (in media), ma senza aver mai avuto il tempo di vivere.
Abbiamo perduto il contatto con la nostra sostanza originaria. L’organico, il vegetale, l’animale sono pesantemente sostituiti dal meccanico, l’elettronico, il digitale e il robotico.
Stiamo arrivando alla dittatura degli algoritmi.
Dunque liberarsi dalla dipendenza da lavoro significa ritrovare la lentezza, riscoprire i sapori della vita legati al territorio, alla prossimita’ e al prossimo.
Non sarebbe neanche assurdo riassaporare il gusto della flânerie, celebrata da Baudelaire e combattuta da Taylor. In effetti, la scomparsa dei «tempi morti» e’ la morte del tempo.
Tutto questo non vuol dire un ritorno a un passato mitico perduto, ma l’invenzione di una tradizione rinnovata. La riconquista del tempo «libero» e’ una condizione necessaria della decolonizzazione dell’immaginario. È decisamente preferibile promuovere l’otium (il tempo libero) del popolo che l’oppio dei media e del digitale.
La fuoriuscita dall’attuale sistema produttivista e lavorista implica dunque un’organizzazione del tutto diversa, in cui lo svago e il gioco sarebbero valorizzati accanto all’attivita’ lavorativa, in cui le relazioni sociali avrebbero la meglio sulla produzione e il consumo di prodotti usa e getta inutili, se non nocivi […]
«quello a cui aspiriamo e’ una riconquista del tempo personale. Un tempo qualitativo. Un tempo che coltiva la lentezza e la contemplazione, in quanto liberato dal pensiero del prodotto» […]
Per ottenere un risultato del genere e’ necessaria, come gia’ suggeriva Andre’ Gorz, «una politica del tempo che inglobi l’organizzazione dell’ambito di vita, la politica culturale, la formazione e l’educazione, e che rifondi i servizi sociali e le strutture collettive in modo da dare maggiore spazio alle attivita’ autogestite, di mutuo soccorso, di cooperazione e di autoproduzione volontaria».

Info:
https://www.doppiozero.com/latouche-lavorare-meno-o-non-lavorare-affatto
https://www.pressenza.com/it/2024/02/lavorare-meno-o-non-lavorare-affatto/

https://ilregno.it/attualita/2023/22/s-latouche-lavorare-meno-lavorare-diversamente-o-non-lavorare-affatto-luca-miele
https://gognablog.sherpa-gate.com/lavorare-meno-lavorare-diversamente-non-lavorare-affatto/
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/lavorare-meno-lavorare-diversamente-non-lavorare-affatto

Green New Deal/Chomsky

Minuti contati: Crisi climatica e Green New Deal globale – Noam Chomsky – Ponte alle Grazie (2020)

Come descritto in un eccellente studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, di recente pubblicazione, l’agricoltura industriale e’ diventata una delle principali cause di: degrado del suolo (la perdita di sostanze organiche causata da un eccessivo sfruttamento e da una cattiva gestione), desertificazione e scarsita’ di acqua dolce (provocata da una gestione inadeguata del terreno e delle colture), perdita di biodiversita’, resistenza ai parassiti e inquinamento dell’acqua (derivanti da modifiche dell’uso del suolo, eutrofizzazione [ossia un arricchimento eccessivo dell’acqua con minerali e sostanze nutritive, che induce una crescita abnorme di alghe], dilavamento e gestione impropria delle sostanze nutritive).
Queste fonti di degrado del suolo e di inquinamento delle acque contribuiscono a loro volta a una serie di problemi per la salute umana.
Il piu’ grave e’ che centinaia di milioni di lavoratori agricoli in tutto il mondo sono oggi esposti quotidianamente, e a stretto contatto, a pesticidi ed erbicidi tossici. Da li’, le sostanze tossiche finiscono negli alimenti e nell’acqua potabile che arrivano alla popolazione […]
Tornando agli impatti climatici dell’agricoltura industriale, ci sono quattro principali canali interconnessi da evidenziare: 1) la deforestazione; 2) lo sfruttamento del suolo per l’allevamento del bestiame, molto piu’ intensivo in termini di consumo di terra disponibile rispetto a qualsiasi altro utilizzo, inclusa la coltivazione di prodotti destinati all’alimentazione umana; 3) la forte dipendenza dai fertilizzanti azotati a base di gas naturale, in- sieme a pesticidi ed erbicidi sintetici, per aumen- tare la produttività dei terreni; e 4) l’imponente quantità di cibo che viene coltivata ma sprecata. L’enorme spreco di cibo si verifica tanto nei paesi a basso reddito quanto in quelli ad alto reddito, anche se per motivi essenzialmente diversi”

Info:
https://lecopost.it/cultura-sostenibile/minuti-contati/https://duels.it/industria-culturale/con-minuti-contati-noam-chomsky-e-robert-pollin-ci-avvertono-il-nostro-tempo-sta-per-scadere/
https://politicaassociazione.it/dati/8/chomsky-minuti-contat
i.pdf

https://www.sololibri.net/Minuti-contati-Chomsky-Pollin.html

Lavoro/Mattei

L’economia è politica – Clara E. Mattei – Fuoriscena (2023)

Parliamo qui, tecnicamente, del cosiddetto plusvalore relativo.
Il plusvalore relativo puo’ essere generato in modalita’ differenti. Il caso piu’ ovvio, e oggi sempre piu’ diffuso, prevede che i capitalisti taglino direttamente i salari, anche e paradossalmente al di sotto del livello di sussistenza. Basti pensare che in Italia, dove i salari sono in declino da decenni e il costo della vita e’ in aumento, intere famiglie di lavoratori sono ormai piombate nella poverta’ assoluta (1,9 milioni di famiglie nel 2021 secondo l’Istat, e i nuovi dati si preannunciano in crescita), e vi e’ addirittura un’opposizione feroce a introdurre un salario minimo di 9 euro all’ora […]
La dinamicita’ del sistema economico e’ stata assicurata principalmente dall’innovazione tecnologica, volta ad aumentare la produttivita’ del lavoro e dunque ad alimentare la crescita del plusvalore relativo. Aumentare la produttivita’ del lavoro significa che, nello stesso lasso di tempo, ciascun lavoratore produce piu’ valore […]
L’aumento della produttivita’ produce un aumento dell’intensita’, che costituisce la terza strategia per aumentare il plusvalore relativo. Aumento di pro- duttivita’ e aumento di intensita’ sono concettualmente distinguibili ma storicamente quasi inscindibili.
Con aumento della produttivita’ s’intende che il lavoratore produce di piu’, non perche’ sta spendendo piu’ energia muscolare ma perche’ sta lavorando con macchine migliori; con aumento dell’intensita’ invece s’intende che con gli stessi strumenti si lavora piu’ velocemente.
Con il passare degli anni, le aziende hanno investito capitali enormi per affinare le tecniche di supervisione e di monitoraggio dei lavoratori assicurando cosi’ un’alta intensita’ di lavoro. Oggi il colosso di Amazon rappresenta un’avanguardia potentissima sotto questo aspetto […]
Le preoccupazioni per la salute e la sicurezza dei lavoratori non fanno parte della logica dell’accu- mulazione di capitale.

Info:
https://www.pde.it/un-libro-al-giorno/leconomia-e-politica-clara-mattei-fuoriscena/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/11/15/davvero-le-scelte-economiche-sono-neutrali-e-inevitabili-no-e-un-luogo-comune-il-libro-di-clara-mattei-spiega-che-in-realta-e-tutta-politica/7354313/
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/11/13/leconomia-e-politica-parole-antiche-per-conflitti-del-futuro/7351420
https://www.sinistrainrete.info/politica-economica/28826-francesco-tucci-ripoliticizzare-l-economia.html

Societa’/Ambrosini

L’invasione immaginaria. L’immigrazione oltre i luoghi comuni – Maurizio Ambrosini – Laterza (2020)

Va ricordato che non necessariamente i flussi migratori partono da paesi poveri e si dirigono verso paesi ad alto livello di sviluppo.
Su un volume stimato di 272 milioni di immigrati a livello mondiale, 112 milioni si sono trasferiti in paesi classificati dall’ONU come in via di sviluppo, e 159 milioni verso paesi sviluppati (IDOS 2019). Una fetta consistente dei flussi (il 41,3%) viaggia sulla direttrice Sud-Sud, e non mancano neppure le migrazioni Nord-Sud, cosi’ come tra gli ingressi nei paesi ad alto reddito una componente importante proviene da altri paesi del Nord globale. Il fatto e’ che alcuni spostamenti e alcuni tipi di immigrati non risultano visibili come tali ai nostri occhi, ossia non li vediamo o non li classifichiamo come immigrati, o comunque non occupano un posto significativo nelle nostre preoccupazioni e nelle nostre paure.
Tipicamente, quando gli immigrati provengono da paesi sviluppati, non li chiamiamo ne’ li trattiamo da immigrati. E quando arrivano da paesi piu’ poveri, ma sono individualmente riscattati dall’eccellenza in qualche campo di attivita’, come lo sport, la musica, la ricerca scientifica, o anche soltanto dalle dimensioni del loro conto bancario, sfuggono egualmente alla scomoda etichetta di immigrati e alle conseguenze che comporta.
La nostra attenzione, cosi’ come il discorso pubblico, si appunta invece su quelle componenti della popolazione immigrata che suscitano allarme o riprovazione. Sono viste come un fattore di turbamento dell’or
dine sociale […]
La diversita’ in questione e’ quella che si abbina con la poverta’. Gli immigrati sono visti come gli stranieri poveri che si stabiliscono sul territorio nazionale.
Cio’ significa che il termine “immigrati” comporta una valenza implicitamente ansiogena, minacciosa, o comunque peggiorativa: essendo poveri, questi stranieri arrivano per pretendere aiuto, o (peggio) per portarci via qualcosa. In ogni caso, li vediamo come meno civilizzati, progrediti e moderni di noi. Nei notiziari televisivi, nella cronaca nera, negli interstizi della vita urbana, o anche nelle dicerie incessantemente prodotte sull’argomento cerchiamo e troviamo le conferme di questa visione […] Il nostro sguardo, dunque, influisce sulla considerazione pubblica degli immigrati, sulla loro accettazione o esclusione.

Info:
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/linvasione-immaginaria-limmigrazione-oltre-i-luoghi-comuni/
https://www.piuculture.it/2020/11/linvasione-immaginaria-limmigrazione-tra-percezione-e-realta/
https://www.ais-sociologia.it/portfolio/maurizio-ambrosinilinvasione-immaginaria-limmigrazione-oltre-i-luoghi-comuni/

Green New Deal/Chomsky

Minuti contati. Crisi climatica e Green New Deal globale – Noam Chomsky – Ponte alle Grazie (2020)

Non possiamo trascurare il fatto che gli esseri umani si trovano oggi di fronte a problemi spaventosi, che sono radicalmente diversi da qualsiasi altro problema si sia mai verificato nella storia dell’umanita’.
Devono rispondere a un interrogativo cruciale: se la societa’ umana, cosi’ come la conosciamo o in qualsiasi altra forma, sia o meno in grado di sopravvivere.
E il tempo a disposizione per rispondere a questa domanda sta per scadere.
I compiti che ci attendono sono davvero inediti e drammatici. La storia e’ fin troppo ricca di testimonianze di guerre orribili, torture indescrivibili, massacri e ogni immaginabile abuso di diritti fondamentali. Ma la minaccia di distruzione della vita umana organizzata, in qualsiasi forma riconoscibile o accettabile, e’ una novita’ assoluta.
Essa puo’ essere superata solo se il mondo intero unira’ gli sforzi, anche se, ovviamente, le responsabilita’ sono da intendersi commisurate alle rispettive capacita’, e i principi morali elementari esigono che una responsabilita’ speciale ricada su coloro che sono stati i massimi artefici della crisi nel corso dei secoli, arricchendo se’ stessi mentre costruivano un tragico destino per l’umanita’ […]
Le profonde preoccupazioni dei climatologi sono facilmente accessibili a chiunque non sia disposto a nascondere la testa sotto la sabbia.
La CNN ha celebrato il Giorno del Ringraziamento del 2019 con un dettagliato (e accurato) approfondimento su un importante studio, appena apparso su Nature, sui tipping points, i punti di non ritorno raggiunti i quali i nefasti effetti del riscaldamento globale diventeranno irreversibili. Gli autori concludono che l’analisi dei tipping points e delle loro interazioni rivela che «stiamo vivendo un’emergenza climatica» e rafforza «il coro di appelli susseguitisi quest’anno per un’azione urgente in materia di clima. Siamo in una situazione di rischio e gravità estremi […].
La stabilita’ e la resilienza del nostro pianeta sono in pericolo […]«il tempo residuo di intervento per evitare di raggiungere un tipping point potrebbe gia’ essersi azzerato, mentre il tempo di reazione per arrivare all’azzeramento netto delle emissioni e’ di trent’anni, come minimo.
Di conseguenza, potremmo gia’ non essere piu’ in grado di evitare un eventuale tipping point. Per nostra buona sorte, la velocita’ con cui si accumulano i danni causati da un tipping point – e quindi l’entita’ dei rischi – potrebbe ancora essere, in una certa misura, sotto il nostro controllo».
In una certa misura, e non c’e’ tempo da perdere.

Info:
https://lecopost.it/cultura-sostenibile/minuti-contati/
https://duels.it/industria-culturale/con-minuti-contati-noam-chomsky-e-robert-pollin-ci-avvertono-il-nostro-tempo-sta-per-scadere/

https://politicaassociazione.it/dati/8/chomsky-minuti-contati.pdf
https://www.sololibri.net/Minuti-contati-Chomsky-Pollin.html

Societa’/Ambrosini

L’invasione immaginaria – Maurizio Ambrosini – Laterza (2020)

A partire non sono quasi mai i piu’ poveri tra i cittadini dei paesi di provenienza. Le migrazioni sono processi selettivi anche in questo senso.
Bisogna disporre di un po’ di risorse o almeno provenire da un contesto in cui sia possibile raccoglierne, tra prestiti, aiuti e collette.
Influiscono inoltre variabili non economiche: e’ necessario che nell’ambiente di vita si sia formata una cultura favorevole all’emigrazione, che la veda come un’opportunità possibile e desiderabile; che le persone abbiano sviluppato dei saperi adeguati o comunque tali da rendere piu’ realistico il progetto di partire, come la conoscenza di qualche lingua veicolare, una certa istruzione, delle competenze lavorative trasferibili, una mentalita’ curiosa del mondo e aperta al cambiamento […]
Possiamo fissare alcuni punti.
Il nesso tra poverta’ e migrazioni mobilita immaginari apparentemente opposti.
Da una parte coloro che paventano l’esplosione demografica africana e si arroccano dietro i muri delle paure: non possiamo accogliere tutti, non possiamo aiutare tutti i poveri del mondo.
Dall’altra coloro che puntano sul senso di colpa per invocare apertura e accoglienza: abbiamo colonizzato l’Africa, l’abbiamo sfruttata e schiavizzata, ora abbiamo il dovere morale di farci carico della sua poverta’.
In realta’ entrambe le posizioni condividono al fondo il medesimo punto di vista: le migrazioni deriverebbero dalla poverta’ e sarebbero una patologia sociale da curare e rimuovere […]
I punti da discutere sono due. Primo, la maggior parte degli immigrati arrivano e si fermano perche’ noi abbiamo bisogno del loro lavoro […]
Secondo, non c’e’ nessuna prova che miliardi di poveri desiderino sottoporsi a rischi e privazioni per tentare l’avventura dell’emigrazione.
Non esistono i “tutti” che vogliono partire e farsi accogliere. Sradicarsi, abbandonare un mondo noto e familiare, rinunciare a relazioni protettive, per ricominciare da capo in luoghi sconosciuti ed estranei, non e’ affatto un’aspirazione molto diffusa.
L’emigrazione e’ invece un processo selettivo, che per diventare realizzabile e non troppo traumatico richiede delle risorse di vario tipo: economiche, culturali e sociali

Info:
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/linvasione-immaginaria-limmigrazione-oltre-i-luoghi-comuni/
https://www.piuculture.it/2020/11/linvasione-immaginaria-limmigrazione-tra-percezione-e-realta/
https://www.ais-sociologia.it/portfolio/maurizio-ambrosinilinvasione-immaginaria-limmigrazione-oltre-i-luoghi-comuni/

Societa’/De Benoist

I demoni del bene. Dal nuovo ordine morale all’ideologia del genere – Alain de Benoist – Controcorrente (2015)

Il problema e’ che oggi, nel clima compassionevole alimentato nell’impero del Bene, tutti vogliono essere vittime, termine che partecipa anch’esso della stessa confusione mistificatrice, dello stesso garbuglio interclassista (e’ piu’ alla moda essere una «vittima» che essere un proletario o un lavoratore sfruttato dal proprio datore di lavoro) […] Vittima diventa il vero eroe del nostro tempo.
Lo statuto di vittima e’ d’altronde eminentemente redditizio. Essere vittima, essere stato una vittima, essere parente o discendente di vittime da’ diritto prima al riconoscimento e alla considerazione, poi alla compensazione o alla riparazione.
A questo riguardo, il divieto, punito penalmente, di ogni giudizio di valore sfavorevole agli ebrei, ha visibilmente destato invidie in coloro che, aspirando a uno statuto di «prediletti della sventura» vorrebbero beneficiare di una sorta di immunita’ permanente di fronte alle critiche.
Il posto accordato alle vittime nel sistema giudiziario tende ugualmente a trasformare il processo penale in vendetta. Non si tratta piu’ di giudicare un atto, un crimine o un delitto, tenuto conto delle circostanze attenuanti o aggravanti che lo hanno caratterizzato, ma di rendere giustizia al dolore delle vittime, le quali beninteso trovano sempre che le pene pronunciate non sono all’altezza delle sofferenze patite.
L’atto di giustizia, di conseguenza, non mira piu’ tanto a punire un colpevole, quanto a rafforzare lo statuto morale della vittima […]
Lo strumento privilegiato della spirale vittimistica e’ il «dovere di memoria». La memoria si inserisce su uno sfondo di oblio, perche’ si puo’ ricordare solo selezionando cio’ che non deve essere dimenticato (un tale dovere non avrebbe alcun senso se ci si ricordasse di tutto). La memoria e’ dunque eminentemente selettiva. Rientrando nell’ambito del ricordo o della testimonianza, e sussidiariamente dell’intento strumentalizzante, essa e’ anche eminentemente soggettiva e in cio’ contraddice la storia che esige, al contrario, l’approccio oggettivo.

Info:
https://www.ilfoglio.it/articoli/2014/01/22/news/i-banali-demoni-del-bene-51782/
https://www.barbadillo.it/38725-libri-i-demoni-del-bene-di-de-benoist-critica-al-pensiero-unico-e-al-gender/

https://ilmangiacarte.wordpress.com/2021/05/20/demoni-del-bene/
https://ilpensierostorico.com/de-benoist-demoni-del-bene/

Stato/ Streeck

Globalismo e democrazia – Wolfgang Streeck – Feltrinelli (2024)

Tre quarti di secolo dopo la fine del conflitto, la differenza tra nazione e stato nazionale sembra ormai assodata, almeno in Europa.
Le nazioni o popoli sono comunita’ di esperienze e interpretazioni condivise formatesi nel corso della storia. Le loro memorie, conservate in una lingua comune, fanno da base a identita’ collettive tenute insieme da legami affettivi, immancabilmente “monoculturali”, tra esse e’ il loro paesaggio, la lingua materna, il dialetto, la musica, la cucina ecc.
Quanto piu’ tali legami si distinguono da quelli di nazioni vicine, tanto piu’ un gruppo si considerera’ particolare o sara’ considerato tale dalle comunita’ confinanti: meno, dunque, tra renani e vestfaliani, che tra (sud)tirolesi e italiani.
Gli stati nazionali, viceversa, sono istituzioni stabilite non attraverso linee di discendenza, ma da lotte politiche e sociali e diritti civili che con esse si sono affermati, tra questi il diritto alla partecipazione democratica.
Stati nazionali e nazioni sono si’ in relazione tra loro, ma non coincidono; per quanto le maggioranze etniche fatichino ad accettare o a considerare la cosa, gli stati includono in se’ quasi ovunque realta’ linguistiche, etniche e culturali tra loro non identiche.
Inoltre, mentre i confini tra stati nazionali sono tendenzialmente convenzionali, i gruppi che si pensano come “nazioni”, e tali vogliono essere considerati, possono ritrovarsi a far parte di uno stato nazionale che essi non sentono proprio, rivendicando una propria statualita’ autonoma […]
Uno dei mezzi consolidati, seppur non adottato ovunque, per evitare fenomeni di secessione in stati nazionali che racchiudono molte nazioni e’ il passaggio a una costituzione di tipo federale – formula di successo in Svizzera, con i suoi quattro gruppi etnici, in Belgio (finora) con tre o in Canada (a partir dagli anni settanta) con due, o ancora dell’India con i suoi ventotto stati membri e ventiquattro lingue ufficiali.
Nell’epoca di pace dal 1945 in avanti, molti stati nazionali europei hanno tratto dall’esperienza delle catastrofi del periodo tra le due guerre la giusta lezione, rispondendo alla diversita’ etnica all’interno dei loro paesi, non con la negazione e la repressione di essa, bensi’ con il decentramento e l’autonomia sancita sul piano costituzionale, a garanzia della pace sociale; parallelamente, essi si sono preoccupati di assicurare la pace all’esterno, con il riconoscimento reciproco dei rispettivi confini, stabiliti su base storica, e rinunciando a qualunque rivendicazione territoriale anche li’ dove, come in Tirolo, in Alto Adige o nell’enclave germanofona in Belgio orientale, comunita’ etniche si vedono divise tra uno stato e l’altro per via di tali confini.

Info:
https://www.fondazionedivittorio.it/lezione-streeck-limiti-potenzialita-della-ue-egemonie-planetarie-popoli-crisi
https://www.doppiozero.com/wolfgang-streeck-neoliberalismo-e-poi

https://www.corriere.it/la-lettura/24_giugno_21/come-sonnambuli-la-guerra-la-lettura-anteprima-nell-app-1af31e72-2fe1-11ef-8a97-996e27b017a2.shtml
https://ilmanifesto.it/uneuropa-svizzera

Societa’/Kurz

Il capitale mondo.Globalizzazione e limiti interni del moderno sistema produttore di merce – Robrt Kurz – Meltemi (2022)

In passato, nell’eterno conflitto per l’interpretazione dei fatti, sembrava che le parti fossero state assegnate in maniera automatica: gli ideologi protocapitalistici orientati a destra assumevano immancabilmente il ruolo degli irriducibili apostoli della conservazione e della negazione di ogni cambiamento qualitativo; viceversa, “sinistra” era praticamente sinonimo di “progressismo”, addirittura di attesa impaziente del nuovo e di accelerazione del processo storico.
Sia nelle sue espressioni riformistiche, sia in quelle rivoluzionarie, il discorso della sinistra pullulava sempre di metafore proiettate verso il futuro, di “nuovi stadi del capitalismo”, di rotture fondamentali dello sviluppo, di prospettive inaudite etc.
Curiosamente pero’, all’inizio del XXI secolo, sono gli apologeti, gli ideologi e gli istigatori del capitalismo a impossessarsi sfacciatamente della nuova qualita’ sociale della globalizzazione, facendone il loro punto di forza, mentre la sinistra si e’ generalmente ritirata su posizioni di contenimento, conservazione ed esplicita negazione della realta’.
Anche laddove i liberali o i conservatori sembrano manifestare in qualche caso un certo scetticismo sulla globalizzazione, questo si stempera regolarmente all’interno di un discorso sdrammatizzante, accompagnato da un riferimento positivo e ottimistico nei confronti del nuovo; viceversa, lo stesso scetticismo e i falsi paragoni con il passato nei discorsi della sinistra testimoniano l’avvilente ignoranza degli sconfitti della storia, disposti solo a bendarsi gli occhi per non vedere la nuova realta’.
Surclassata dallo sviluppo del capitalismo globale, la sinistra ha perso la sua capacita’ di iniziativa storica, e se ne sta solitaria con i suoi concetti teorici e le sue idee sociali.

Info:
https://sinistrainrete.info/marxismo/22910-massimo-maggini-introduzione-a-il-capitale-mondo.html
https://anatradivaucanson.it/introduzioni/introduzione-a-il-capitale-mondo
https://www.ambienteweb.org/2022/05/21/sinistrainrete-joe-galaxy-il-capitale-mondo-sguardo-su-globalizzazione-complottismi-e-dintorni/
https://ilmanifesto.it/se-la-critica-di-valore-e-denaro-conta-piu-della-lotta-di-classe

Green New Deal/Mancuso

Fitopolis, la città vivente – Stefano Mancuso – Laterza (2023)


Le piante si sono evolute secondo una organizzazione che permette loro di continuare a vivere anche se una parte significativa del proprio corpo viene rimossa.
Il trucco di questa organizzazione cosi’ resistente e’ semplice e consiste nella mancanza di organi singoli o doppi […]
Per vivere millenni bisogna che nessuna parte del corpo sia unica e insostituibile, e perche’ questo sia possibile bisogna che ogni funzione fondamentale per la vita sia distribuita sull’intero corpo e non concentrata all’interno di organi specializzati. L’organizzazione vegetale e’ esattamente cosi’: diffusa e distribuita, in grado di rispondere a catastrofiche limitazioni senza per questo perdere di funzionalita’.
L’esatto opposto dell’organizzazione animale, basata su una rigida gerarchia e specializzazione in cui basta che uno solo degli organi fallisca perche’ l’intera organizzazione collassi.
Un animale infatti e’ costruito sulla base di un’organizzazione gerarchica, che vede il cervello, il capo, governare su una serie di organi singoli o doppi specializzati in specifiche funzioni.
Si tratta dello stesso modello che abbiamo riprodotto in ogni nostra organizzazione umana, basta osservare un qualunque organigramma per accorgersene […]
Quali sono i vantaggi di questa organizzazione animale che replichiamo dappertutto? In realta’ e’ solo uno: la velocita’. Siamo costruiti per rispondere velocemente alle sollecitazioni dell’ambiente. E’ questo l’unico reale vantaggio di un modello piramidale e gerarchico: le risposte sono prese dal capo e percio’ eseguite nel minor tempo possibile. E non e’ importante quale sia il problema, la risposta sara’ sempre la stessa: spostarsi […]
A voler essere pignoli dovremmo dire: problemi diversi che non risolviamo (poiche’ i problemi restano) bensi’ evitiamo grazie al movimento e alla velocita’ decisionale […]
Di fronte ai problemi generati dalle modifiche dell’ambiente, una pianta non avra’ altra possibilita’ che risolverli. La fuga non e’ un’opzione.
E poiche’ per formulare risposte corrette bisogna disporre della maggiore quantita’ possibile di dati corretti su cio’ che sta accadendo, ecco che un’organizzazione distribuita, decentrata, letteralmente radicata al suolo si dimostra quanto di meglio si possa sperare per questo compito […]
Alla luce di queste semplici considerazioni, costruire le citta’ secondo un modello animale creato per il movimento non sembrerebbe davvero una buona idea.
Eppure e’ esattamente cio’ che abbiamo fatto per millenni: abbiamo tentato di assimilare le nostre citta’ immobili ai nostri corpi animali mobili, una scelta sconsiderata di cui paghiamo le conseguenze.
Al contrario, il modello cui affidare la crescita, lo sviluppo e il funzionamento delle citta’ e’, senza dubbio, quello vegetale. Anche le citta’, infatti, non possono fuggire dai problemi ma sono condannate a doverli risolvere. Trasformare i nostri centri urbani secondo un modello vegetale potrebbe rappresentare, ad esempio, un fondamentale contributo per resistere alla crisi climatica […]
Quante citta’ d’arte conosciamo che soltanto fino a pochi decenni fa erano dei magnifici organismi viventi, ricche di diversita’, e che si sono via via immiserite, spente, appiattite verso una pericolosa e sterile uniformita’? Prima e’ toccato agli artigiani che non hanno piu’ avuto modo di lavorare nel centro delle citta’, poi alle universita’ e ai loro studenti che sono stati confinati in apposite aree specializzate; quindi e’ stata la volta degli ospedali, dei tribunali e, infine, dei residenti che inevitabilmente sono stati espulsi dai centri cittadini affinche’ i turisti potessero soggiornare al loro posto. Intere città, ricche di cultura, arte, storia e capacita’ sono state trasformate in aree specializzate per il divertimento dei turisti. Quanto potranno durare prima di spegnersi per sempre? […]
Lo abbiamo visto durante l’epidemia di Covid: sono bastati due soli anni senza turisti e alcune citta’ specializzate nel turismo si sono trovate sull’orlo della bancarotta. Hanno imparato qualcosa? Non sembra. Citta’ cosi’ organizzate potranno resistere alle prossime modifiche dell’ambiente? Quando d’estate fara’ cosi’ caldo che il numero di turisti iniziera’ inevitabilmente a diminuire, cosa ne sara’ dell’economia di queste citta’? Infatti non dobbiamo fare l’errore di dimenticare che il riscaldamento globale modifichera’ drasticamente il clima di tutte le citta’. In questo scenario, citta’ piu’ diffuse, in cui la maggior parte delle necessita’ dei cittadini possano essere soddisfatte senza tragitti molto lunghi e in cui ogni quartiere sia costruito in modo da garantire la piu’ alta biodiversita’ possibile, rappresentano un presupposto necessario per resistere.

Info:
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/mancuso_corsera.pdf
https://www.laterza.it/wpcontent/uploads/recensioni/Robinson_mancuso_19nov23.pdf

https://www.laterza.it/wpcontent/uploads/recensioni/mancuso_avvenire.pdf
https://www.pandorarivista.it/articoli/fitopolis-la-citta-vivente-di-stefano-mancuso/
https://maremosso.lafeltrinelli.it/recensioni/fitopolis-la-citta-vivente-stefano-mancuso-libro