Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Le norme su debito e disavanzo previste dai criteri di convergenza e dal Patto di stabilita’ e di crescita poggiavano su un equivoco di fondo: sull’idea che la gestione delle finanze pubbliche fosse simile a quella di una famiglia, e dunque implicasse restrizioni ferree e conseguenze terribili per chi spendeva al di sopra dei propri mezzi.
Per rampognare i paesi indisciplinati, la cancelliera tedesca Angela Merkel si e’ spinta a evocare il proverbiale personaggio della «massaia sveva», la mitica e gretta matriarca della Germania sudoccidentale.
All’inizio degli anni 2000 l’esperienza secondo cui, quando l’economia si contrae, i prestiti possono trainare la domanda aggregata e aiutare l’economia a tornare alla piena occupazionepareva del tutto dimenticata almeno in Germania e ai piani alti dell’Unione.
I criteri di convergenza e il Patto di stabilita’ erano semplici dichiarazioni di fede, non certo i risultati di un’analisi seria. L’abbandono delle lezioni apprese dagli economisti nel corso del Novecento si e’ ulteriormente aggravato all’arrivo della crisi. Il Patto di stabilita’ (e di crescita, ma di questa ormai non si parlava quasi piu’) ha partorito una creatura orribile: l’austerità […]
In caso di brusca frenata della domanda aggregata, intervenire con la spesa pubblica appariva ormai inconcepibile a un’Unione europea votata anima e corpo alla regola del «tre e sessanta» […]
Il Patto di stabilita’ non ha funzionato ne’ in teoria ne’ in pratica.
A distanza di vent’anni possiamo dire che il Patto di stabilita’ e crescita concordato dai leader europei e’ stato un fallimento dal suo stesso punto di vista: non ha portato ne’ crescita, ne’ stabilita’, ne’ gli altri ingredienti del benessere di una societa’.
Quel patto ha semmai favorito un forte aumento della disoccupazione.
L’osservanza o meno delle regole del «tre e sessanta» si e’ rivelata un pessimo predittore dei risultati economici di un paese.

Info:
https://www.linkiesta.it/2020/05/nobel-stigliz-come-riscrivere-economia-europea/
http://temi.repubblica.it/micromega-online/al-capezzale-dell-europa/
https://www.ilsaggiatore.com/libro/riscrivere-leconomia-europea/

Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Uno degli errori di fondo commessi dall’Unione europea al momento dell’introduzione del mercato unico, che ha liberalizzato la migrazione delle persone e la mobilita’ dei capitali, e’ stato l’insufficiente attenzione dedicata all’armonizzazione fiscale.
Sul piano teorico, l’idea alla base del mercato unico era che avrebbe consentito alle imprese di spostarsi dove i costi erano minori e da li’ spedire le proprie merci verso tutta Europa: cio’ avrebbe provocato un aumento della domanda di lavoro nei paesi a bassi salari, accelerando cosi’ la convergenza delle economie in Europa.
Le imposte possono pero’ distorcere questo processo apparentemente armonico. Per le imprese cio’ che conta sono i rendimenti al netto delle imposte: percio’ esse sono sensibili – oltre che ai salari, all’efficienza del lavoro, al contesto economico generale, ai costi di trasporto e agli altri fattori di produzione – anche alle imposte da pagare. E nel brevissimo termine l’unica variabile che i paesi possono modificare, per attrarre le imprese, e’ proprio l’aliquota sul reddito d’impresa […]
Le prove di questa gara fiscale al ribasso sono davanti ai nostri occhi.
Tra il 1995 e il 2018 l’aliquota media sul reddito delle societa’ in Europa e’ scesa dal 35 al 22 per cento. Ed e’ prevedibile che la discesa prosegua, visto che Francia, Grecia, Olanda e Svezia hanno gia’ annunciato ulteriori riduzioni delle aliquote.
Riducendo le aliquote, un paese punta a guadagnare posti di lavoro e gettito fiscale, sperando che l’incremento della base imponibile compensi ampiamente la perdita di gettito immediata dovuta alla riduzione di aliquote.
Tuttavia, questi guadagni avvengono in gran parte a scapito di altri paesi, soprattutto altri membri dell’Unione europea.
Naturalmente, questa strategia di rob-thy-neighbour [rapina il tuo vicino] e’ del tutto incompatibile con lo spirito di solidarieta’ europeo.

Info:
https://www.linkiesta.it/2020/05/nobel-stigliz-come-riscrivere-economia-europea/
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Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Per aiutare le banche a superare la fase calda della crisi finanziaria, sono state elargite alle banche commerciali centinaia di miliardi di euro: e’ stato il piu’ gigantesco programma di aiuti di Stato al settore privato mai attuato in Europa.
Gran parte di questo denaro e’ stata erogata proprio dalla Bce, sotto forma di prestiti a tassi inferiori a quelli di mercato, erogati senza alcuna decisione dei governi eletti, e nemmeno dei leader Ue.
Nessun programma di assistenza sociale mai realizzato per alleviare le sofferenze dei comuni cittadini puo’ reggere anche solo lontanamente il confronto, per dimensioni, con questo programma.
La Bce e’ arrivata addirittura ad acquistare titoli di grandi aziende, tedesche e non solo, penalizzando in tal modo le piccole e medie imprese, che hanno un ruolo cruciale in paesi periferici come la Grecia e il Portogallo.
Forse gli esempi piu’ inquietanti dell’operato della Bce durante la crisi sono quelli in cui la banca si e’ avvalsa della propria posizione (di potere) per imporre cambiamenti di politiche che esulavano totalmente dal suo mandato di politica monetaria.
Essendo la Bce isolata per legge dal controllo politico democratico, sarebbe stato lecito attendersi che essa, nell’esercitare la propria influenza, restasse rigorosamente nell’ambito della politica monetaria: ma i suoi responsabili non si sono minimamente sognati di attenersi a questo vincolo. Per esempio, la Bce ha fatto pressione sull’Irlanda affinche’ la ristrutturazione finanziaria varata nel 2010 non comportasse perdite per gli obbligazionisti delle banche: lo Stato irlandese ha addossato cosi’ ai propri contribuenti costi che avrebbero dovuto essere sopportati da debitori e obbligazionisti delle banche. Analogamente, nel 2011 la Bce ha preteso dalla Spagna, in cambio dell’aiuto finanziario fornito, un elenco dettagliato di misure di riduzione salariale e liberalizzazione. E nel 2015 ha insistito con la Grecia affinche’ si impegnasse a perseguire un forte avanzo di bilancio, sebbene il Fmi dichiarasse urgentemente necessaria una ristrutturazione del debito greco.
Durante la crisi la Bce, come si e’ visto bene nel caso della Grecia, ha esercitato un potere enorme per imporre le richieste della cosiddetta troika di cui essa stessa faceva parte (insieme alla Commissione europea e al Fmi). Nell’ambito dei suoi poteri, la Bce era in grado di paralizzare il sistema finanziario, e non ha esitato a farlo, costringendo la Grecia nell’estate del 2015 (al culmine dello scontro tra la troika e il governo Tsipras) a limitare fortemente i prelievi di contante dalle banche.
Particolarmente preoccupante e’ che ad avvalersi di queste forme di pressione sia stata un’istituzione soggetta a scarso controllo politico, culturalmente vicina al settore finanziario e con un mandato e una governance su cui gia’ da piu’ parti erano stati sollevati dubbi.

Info:
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Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Il Patto di stabilita’ e crescita non solo impediva ai paesi in crisi di spendere in disavanzo per stimolare la propria economia, ma li costringeva addirittura a varare provvedimenti recessivi.
La frenata dell’economia di questi paesi provocava a sua volta una riduzione del gettito fiscale e un aumento della spesa pubblica (per sussidi di disoccupazione e assistenza sociale). E il limite del 3 per cento di disavanzo rispetto al Pil costringeva quei governi ad aumentare le tasse o ridurre la spesa, aggravando ulteriormente la recessione.
Questi errori macroeconomici hanno finito per compromettere anche il progetto europeo, nel momento in cui i cittadini hanno iniziato a dubitare della bonta’ di politiche e strutture che non avevano portato la promessa prosperita’.
Si puo’ dire che le politiche e le strutture europee abbiano accentuato la frenata dell’economia […]
L’incapacita’ di reagire efficacemente alla crisi, inoltre, ha reso piu’ difficile affrontare alcuni problemi che potrebbero presentarsi in futuro. Per esempio, ha indebolito la solidarieta’ europea. Le continue reprimende ai paesi in crisi, accusati dagli altri, Germania in prima fila, di essere pigri e spendaccioni, hanno alimentato risentimenti e divisioni […]
La realta’ e’ che l’Europa, prima o poi, si trovera’ a dover affrontare un altro forte shock, e non c’e’ ragione di credere che sapra’ affrontarlo meglio.

Info:
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Europa/Allievi

Stefano Allievi – La spirale del sottosviluppo. Perche’ (cosi’) l’Italia non ha futuro – Laterza (2020)

La storia d’Europa e’ stata caratterizzata da importanti movimenti migratori interni, ma anche con l’esterno […]
Quelli interni, pur cambiando molte volte direzione e motivazioni, non hanno conosciuto interruzioni, e sono anzi, come fenomeno, in crescita.
Quanto a quelli esterni, per una lunga prima fase si e’ trattato di migrazioni dall’Europa verso il resto del mondo. E solo in una fase piu’ recente, numericamente – a tutt’oggi – assai meno significativa, verso l’Europa […]
I flussi in uscita dall’Europa, per tutto l’Ottocento e fino allo scoppio della prima guerra mondiale, sono stati di almeno 200-400 mila individui l’anno fino al 1880, per poi salire ai 600-800 mila nel ventennio successivo, e raggiungere infine picchi di oltre 1-1,5 milioni l’anno all’inizio del XX secolo. A titolo di comparazione – diciamo cosi’: speculare – in tempi recenti, solo nel 2015, l’anno della grande crisi dei profughi che ha attraversato i Balcani e del grande esodo dalla Siria, si sono registrati flussi altrettanto significativi in entrata.
Le migrazioni, dunque, sono la costante: la novita’ piu’ significativa e’ l’inversione dei flussi […]
Oggi l’Europa e’ un polo di attrazione quasi quanto il Nord America.
Nei primi quindici anni del secolo, secondo dati delle Nazioni Unite, l’afflusso netto di migranti e’ stato pari a 20 milioni di persone in tutto il Vecchio Continente.
Il numero medio annuo di ingressi e’ stato intorno ai 2-3 milioni. Il rinnovamento della popolazione di un continente di oltre 700 milioni di abitanti e’ stato dovuto dunque, in questo periodo, alla nascita di 116 milioni di bambini (molti figli di immigrati) e all’arrivo di 20 milioni di nuovi migranti […]
In caso di porte chiuse all’immigrazione, 33 dei 40 paesi europei (e 22 dei 27 paesi dell’Unione) subirebbero ulteriori e consistenti perdite di popolazione e un forte invecchiamento demografico, come abbiamo visto in dettaglio per il caso italiano

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858139868
http://www.avantionline.it/la-spirale-del-sottosviluppo-pesa-sul-futuro-dellitalia/

Europa/Piketty

Thomas Piketty – Capitale e ideologia. Ogni comunita’ ha bisogno di giustificare le proprie disuguaglianze – La Nave di Teseo (2020)

Nel 2008, il debito europeo non era superiore a quello degli Stati Uniti, del Giappone o del Regno Unito.
Ma la pessima organizzazione collettiva e l’incapacita’ dei paesi europei di creare un titolo di debito comune spiegano gli scarsi risultati macroeconomici della zona euro dopo la crisi del
2008.
E’ incredibile come – facendo tutto da sola – l’Europa sia riuscita a trasformare un collasso finanziario nato nel settore della finanza privata statunitense in una solida crisi del debito pubblico dei suoi paesi membri. Con conseguenze drammatiche per i paesi europei in termini di aumento della disoccupazione e di crescita dei movimenti antiimmigrati, mentre prima del 2008 l’Unione Europea invece si caratterizzava per la notevole capacita’ d’integrazione: la disoccupazione e l’estrema destra erano in calo, e i flussi migratori erano piu’ elevati che negli Stati Uniti.

Info:
https://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2020/06/24/thomas-piketty-capitale-ideologia
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/capitale-e-ideologia-intervista-a-thomas-piketty/
https://www.ilmessaggero.it/libri/capitale_e_ideologia_il_nuovo_saggio_di_piketty_star_dell_economia_pop-5299153.html
http://temi.repubblica.it/micromega-online/piketty-il-capitalismo-non-e-piu-in-grado-di-giustificare-le-sue-disuguaglianze/
https://www.huffingtonpost.it/2018/09/08/lincubo-social-nativista-italiano-potrebbe-molto-rapidamente-riguardarci-da-vicino-piketty-avverte-le-democrazie-europee_a_23520935/

Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Dal 1999 al 2008, in Germania, il costo unitario del lavoro nel settore manifatturiero (trainato dalle esportazioni) e’ diminuito del 9 per cento.
Tra il 2000 e il 2005 la domanda interna tedesca e’ addirittura diminuita in termini reali. Com’era prevedibile, nello stesso periodo il tasso medio annuo di crescita nominale dei ricavi delle importazioni tedesche dagli altri paesi dell’Eurozona e’ a sua volta bruscamente diminuito.
L’approccio tedesco si e’ tradotto in una vera e propria svalutazione interna, effettuata nell’arco di un decennio e resa possibile da un ampio consenso sociale. I sindacati dei lavoratori hanno scelto la moderazione salariale per salvaguardare il numero assoluto dei posti lavoro, accettando un calo delle retribuzioni. E le imprese ne hanno raccolto i risultati, in termini di aumento dei ricavi.
L’opinione pubblica tedesca si e’ pavoneggiata per i successi della propria macchina dell’export, ammirata in tutto il mondo.
E le leggi dell’Unione europea, che vietano l’erogazione di sussidi a singole aziende, non proibivano questa strategia di assistenza su larga scala a chi e’ in situazioni di bisogno.
E’ stato questo sostegno a spianare la strada alle riduzioni di salari e redditi. Ma queste ultime hanno avuto ripercussioni anche fuori della Germania. Il fatto che il governo offrisse alla societa’ un cuscinetto per attutire le conseguenze peggiori dovute ai salari e ai redditi bassi produceva effetti non molto lontani da quelli che sarebbero risultati dall’erogazione di puri e semplici sussidi alle imprese, che sarebbero stati tacciati di concorrenza sleale e forse perfino vietati dalle regole europee sugli aiuti di Stato.
Le profonde spaccature nell’Eurozona erano praticamente preordinate. L’atteggiamento tedesco era una riedizione delle politiche di beggar-thy-neighbor [impoverisci il tuo vicino] che avevano afflitto il sistema delle valute in Europa negli anni novanta (e il mondo dopo lo scoppio della Grande depressione).
Anziche’ deprezzare la propria moneta per promuovere le esportazioni, la Germania ora svalutava una variabile che, nonostante l’euro, poteva ancora controllare direttamente: il prezzo del proprio lavoro.

Info:
https://www.linkiesta.it/2020/05/nobel-stigliz-come-riscrivere-economia-europea/
http://temi.repubblica.it/micromega-online/al-capezzale-dell-europa/
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Europa/Kelton

Stephanie Kelton – Il mito del deficit. La Teoria Monetaria Moderna per un’economia al servizio del popolo – Fazi (2020)

La politica italiana negli ultimi anni ha continuato a essere dominata dallo spettro dello “spread“ – il differenziale tra i tassi di interesse dei titoli di Stato italiani e quelli dei titoli di Stato tedeschi –, in base all’assunto errato secondo cui i tassi di interessi sono fissati dai mercati, i quali necessitano di essere “rassicurati“ dai governi per mezzo di politiche fiscali “responsabili“, quando in realta’ […] i tassi di interesse sui titoli di Stato sono una variabile che dipende sempre dalla politica monetaria della banca centrale (anche quando quest’ultima sceglie, per ragioni politiche, di lasciare che siano i mercati a determinare i tassi,come ha spesso fatto la BCE in passato).
La risposta della BCE alla crisi determinata dalla pandemia lo ha reso ampiamente evidente.
Da marzo, la BCE ha intensificato il suo programma di acquisto titoli e oggi sta effettivamente finanziando il disavanzo pubblico dell’Italia, acquistando praticamente tutte le obbligazioni italiane di nuova emissione; di conseguenza, nonostante un significativo aumento del deficit e del debito pubblico, i tassi di interesse sulle obbligazioni italiane sono scesi a livelli record.
Cio’ dimostra, al di la’ di ogni dubbio, che la BCE puo’ sempre impedire che l’aumento del deficit (o dei livelli del debito) spinga all’insu’ i tassi di interesse.
Se lo avesse voluto, la BCE avrebbe potuto scegliere di stabilizzare i tassi di interesse italiani durante le turbolenze politiche del 2018-2019, consentendo cosi’ il regolare svolgimento del processo democratico, invece di lasciare che i mercati obbligazionari influenzassero l’agenda politica […]
Allo stesso modo, proprio come la BCE sta oggi creando denaro per sostenere gli sforzi nazionali per combattere la pandemia, avrebbe potuto fare lo stesso in passato per aiutare i governi a combattere la disoccupazione e altre piaghe sociali invece di insistere affinche’ riducessero i loro livelli di deficit e di debito.

Info:
http://osservatorioglobalizzazione.it/recensioni/il-mito-del-deficit-kelton/
https://www.lafionda.org/2020/09/27/il-mito-del-deficit/
https://fazieditore.it/catalogo-libri/il-mito-del-deficit/
https://sinistrainrete.info/articoli-brevi/19308-brian-cepparulo-il-mito-del-deficit-stephanie-kelton-e-la-nuova-frontiera-della-mmt.html

Europa/Stiglitz

Joseph E. Stiglitz – Riscrivere l’economia europea. Le regole per il futuro dell’Unione – il Saggiatore (2020)

Nel 2008 una crisi finanziaria, inizialmente quasi impercettibile e poi inarrestabile, ha innescato in Europa quella che e’ diventata una crisi prima economica e poi sociale.
Tutte le crisi prima o poi passano: ma, nel valutare un sistema economico, cio’ che conta non e’ che la crisi sia finita, ma il tempo che ci vuole per arrivare a una completa ripresa, le sofferenze inflitte tanto a lungo ai cittadini e la vulnerabilita’ del sistema a un’altra crisi.
In Europa le conseguenze della crisi finanziaria e della recessione sono state inutilmente gravi, lunghe e dolorose. Il divario tra la condizione attuale dell’economia e quella in cui si sarebbe trovata in assenza di crisi si misura ormai in trilioni di euro. E ancor oggi, un decennio dopo lo scoppio della crisi, la crescita rimane anemica e fragile.
Il fenomeno che meglio di ogni altro compendia gli effetti della crisi finanziaria del 2008 e’ la disoccupazione, che e’ aumentata in quasi tutti i paesi, e in alcuni di essi ha raggiunto livelli vertiginosi.
Dieci anni dopo, in gran parte dell’Unione la disoccupazione rimane inaccettabilmente alta, ma i leader europei continuano a preoccuparsi degli eventuali costi futuri dell’aumento del debito e del disavanzo in molti paesi, e a disinteressarsi delle conseguenze devastanti della crisi per tanti europei […]
Oggi un gran numero di giovani non ha alcuna possibilita’ di trovare un lavoro sicuro o gratificante in linea con le proprie capacita’ e aspirazioni: tra coloro che hanno meno di 25 anni, e quelli che non hanno completato gli studi secondari superiori, il tasso di disoccupazione medio europeo e’ il doppio di quello complessivo: rispettivamente 18,5 e 17 per cento.
E’ stato un decennio di occasioni perdute, nel corso del quale la disoccupazione di massa e’ diventata causa e al tempo stesso effetto della disuguaglianza. Molti lavoratori anziani che avrebbero potuto continuare a dare un contributo alla societa’ non ne hanno avuto la possibilita’; i giovani hanno dovuto fare a meno di quella prima fase di sviluppo delle competenze che e’ essenziale per la loro formazione e che incidera’ sulla loro crescita.

Info:
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Europa/Aresu

Alessandro Aresu – Le potenze del capitalismo politico. Stati Uniti e Cina – La Nave di Teseo (2020)

Cosa ci siamo bevuti?
Un archivista del futuro potra’ classificare la letteratura del primo decennio del XXI secolo sulla potenza dellʼEuropa nellʼambito della fantascienza tragica, comica o comico-pastorale […]
Si tratta di un breve passaggio nella storia dellʼumanita’ […]
Eppure, anche questo intervallo fa parte della storia e non possiamo fare finta che non sia esistito solo per via della sua ridicolaggine.
Negli stessi anni in cui i cinesi hanno fatto uscire centinaia di milioni di persone dalla poverta’, noi abbiamo creduto che un non ben definito “primato europeo” avrebbe resistito indefinitamente. La potenza europea avrebbe domato gli schiaffi della fortuna, grazie ad azioni incisive come la citazione del Manifesto di Ventotene, lʼallargamento dellʼUnione Europea, i fondi strutturali.
Non se lo ricorda più nessuno,
ma il 15 febbraio 2003 si svolgono manifestazioni imponenti a Londra, a Roma, a Madrid, a Barcellona, a Berlino, a Parigi e nelle altre grandi città europee. Manifestazioni candidate, secondo Jürgen Habermas e Jacques Derrida, a “entrare nei libri di storia come segnale della nascita di unʼopinione pubblica europea”. I cittadini europei, facendosi sentire, indicano una strada ambiziosa: “LʼEuropa deve gettare sulla bilancia il suo peso, sul piano internazionale e nellʼambito dellʼONU, per controbilanciare lʼunilateralismo egemonico degli Stati Uniti.” […]
Non se lo ricorda più nessuno,
ma nel 2004 esce un libro di Jeremy Rifkin, The European Dream […] “Mentre lo spirito americano si trascina nel passato, un nuovo sogno europeo sta nascendo. E’ un sogno molto piu’ adatto alla prossima tappa dellʼavventura umana, un sogno che promette di condurre lʼumanita’ a una coscienza globale adatta a una societa’ sempre piu’ interconnessa e globalizzante.” […]
Non se lo ricorda più nessuno,
ma nel 2005 esce un libro di Mark Leonard, Why Europe Will Run the 21st Century.” […] lʼobiettivo dellʼUnione Europea puo’ essere la creazione di una “Unione delle unioni”, che metta insieme le varie aggregazioni regionali al mondo. Con la crescita inevitabile di queste aggregazioni, anche “le grandi potenze come gli Stati Uniti saranno inevitabilmente risucchiate nel processo di integrazione”. Esiste gia’ una Eurosfera, che secondo Leonard coinvolge ben 109 Paesi e che dara’ vita –inevitabilmente– a un “Nuovo secolo europeo” […]
Non se lo ricorda più nessuno,
ma nel 2006 esce un libro di Jan Zielonka, Europe as Empire. […] Propone “un sistema di governance economica e democratica che corrisponda alle sfide sempre piu’ grandi della modernizzazione, dellʼinterdipendenza, della globalizzazione” […]
Non se lo ricorda più nessuno,
ma nel 2008 esce un libro di Parag Khanna, The Second World. Qualcuno forse ne ricorda la pubblicazione, ma potrebbe ignorare un aspetto non secondario del contenuto, evidente nel titolo italiano (I tre imperi). […] in effetti vi sono “tre grandi imperi mondiali: gli Stati Uniti, lʼUnione Europea, la Cina”.

Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/le-potenze-del-capitalismo-politico-di-alessandro-aresu/
https://www.letture.org/le-potenze-del-capitalismo-politico-stati-uniti-e-cina-alessandro-aresu
http://osservatorioglobalizzazione.it/interviste/aresu-capitalismo-politico/