Economia di mercato/Fana

Marta Fana, Simone Marta – Basta salari da fame – Laterza (2019)

Sono gli anni delle grandi privatizzazioni, che iniziano nel 1992, quando il governo Amato vara il decreto Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica, avviando la trasformazione di Eni, Enel, Iri e Telecom in societa’ per azioni.
Vengono svendute anche Italsider (cioe’ l’Ilva), Nuovo Pignone e molto altro.
Dietro questo processo c’e’ l’idea che il privato, guidato dal mercato, e’ sempre preferibile alla gestione pubblica; ma c’e’ anche la convinzione che vendendo i gioielli di Stato si sarebbe potuto ridurre l’“elevato” stock di debito pubblico.
Oltre alla miopia nella scelta di (s)vendere pezzi altamente redditizi per il breve e lungo periodo del sistema produttivo in favore di un consolidamento di bilancio – tutto da dimostrare – di breve termine, le privatizzazioni saranno la causa del processo di sbilanciamento tra redditi e profitti.
L’aumento della quota profitti si concentra in pochissimi settori: energia, trasporti, comunicazioni e bancario, guarda caso proprio quelli appena privatizzati. I nuovi proprietari privati possono godere contemporaneamente del blocco dei salari e della posizione di monopolio che lo Stato ha loro trasferito […]
La possibilita’ di estrarre saggi di profitto piu’ elevati senza dover ricorrere ad aumenti produttivi sia in termini quantitativi che qualitativi poggia su un’altra strategia: il decentramento produttivo con e senza il ricorso al sistema di appalti e subappalti. Utilizzato non solo in Italia, e’ uno tra gli espedienti attraverso cui i processi produttivi si dispiegano concretamente, rendendo sempre piu’ variabile il fattore lavoro utilizzato.
In Italia il sistema degli appalti e dei subappalti ha radici storiche ben sedimentate fin dagli anni Sessanta […]
I casi di esternalizzazione delle fasi produttive, di ricorso al sistema degli appalti e subappalti sono all’ordine del giorno, cosi’ come i 
casi di delocalizzazione della produzione. I due fenomeni, esternalizzazione e delocalizzazione, rientrano entrambi nella sfera delle ristrutturazioni capitalistiche nonostante si sviluppino lungo direttrici geografiche differenti: mentre la delocalizzazione fa riferimento alla produzione oltre i confini nazionali, l’esternalizzazione puo’ avvenire sia dentro che fuori tali confini.

Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/

Capitalismo/Deneault

Alain Deneault – La mediocrazia – Neri Pozza (2017)

Al marchio e all’azienda viene riservato un vero e proprio culto. Del resto la religione – come suggerisce l’etimologia stessa della parola – lega, coalizza.
Diventata imprenditrice, la religione unisce le pecorelle – non soltanto gli impiegati, ma anche i fornitori e i clienti della ditta – in una reale comunione, sotto forma di puntuali adunate, saloni pubblici o cerimonie. Il motociclista che venera un determinato marchio fino al feticismo e socializza con i suoi simili in occasione di grandi raduni, ne e’ un esempio perfetto.
Insomma, la religione s’impone come una formidabile modalita’ di manipolazione […]
Questa teologia d’impresa si riassume con un grafico ascensionale che testimonia il passaggio della merce dal semplice status di «prodotto» a quello, salvifico, della «religione del marchio» (brand religion).
Secondo questo approccio, un «prodotto» smette di essere designato come tale – un dolciume, un maglione, una consolle per videogiochi, un tavolo… – e viene piuttosto assimilato al suo «concetto di marchio».
Una volta etichettato, il prodotto genera una sensazione o, in gergo tecnico, un «valore emozionale aggiunto». Non e’ piu’ un fazzoletto, non e’ piu’ un orologio, non e’ piu’ un semplice te’, perche’ il fazzoletto, l’orologio e il te’ – una volta associati ai marchi Kleenex, Rolex e Lipton –, irradiano calore, sicurezza familiare, garanzia di fiducia, persino sentimento materno.

Info:
https://www.repubblica.it/venerdi/interviste/2017/01/25/news/il_trionfo_della_mediocrazia_spiegato_dal_filosofo_canadese_alain_deneault-156837500/
http://blog.ilgiornale.it/franza/2018/05/27/la-mediocrazia-un-libro-magistrale-del-canadese-alain-deneault-ne-traccia-il-pensiero-e-spiega-come-i-mediocri-hanno-preso-il-potere/

Lavoro/Harvey

David Harvey – L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza – Feltrinelli (2011)

Uno dei maggiori ostacoli all’accumulazione sostenuta del capitale e al consolidamento della classe capitalista negli anni sessanta e’ stato il lavoro.
In Europa come negli Stati Uniti c’era penuria di manodopera; i lavoratori erano ben organizzati, ragionevolmente ben retribuiti e avevano peso politico.
Il capitale aveva bisogno di attingere a bacini di manodopera meno cara e piu’ docile, e c’erano vari espedienti per farlo. Uno era incoraggiare l’immigrazione […]
Alla fine degli anni sessanta il governo francese sovvenzionava l’importazione di manodopera dal Nord Africa, i tedeschi accoglievano i turchi, gli svedesi incoraggiavano l’immigrazione degli iugoslavi e i britannici attingevano agli abitanti del loro antico impero.
Un altro modo per accedere a bacini di manodopera a basso costo era quello di sviluppare tecnologie a bassa intensita’ di lavoro, come la robotizzazione nella fabbricazione di automobili, che creavano disoccupazione […]
Se tutto cio’ non avesse sortito gli effetti desiderati, c’erano comunque persone come Ronald Reagan, Margaret Thatcher e il generale Augusto Pinochet pronte a intervenire, armate della dottrina neoliberista, determinate a ricorrere al potere dello Stato per schiacciare le organizzazioni dei lavoratori. Pinochet e i generali argentini lo fecero con la forza militare; Reagan e la Thatcher ingaggiarono uno scontro frontale con i grandi sindacati, sia direttamente – come quando Reagan mise in atto una prova di forza con i controllori del traffico aereo e la Thatcher si scontro’ violentemente con i sindacati dei minatori e dei lavoratori editoriali –, sia indirettamente, attraverso la creazione di disoccupazione […]
Il capitale aveva anche la possibilita’ di recarsi direttamente la’ dove si trovava l’eccedenza di manodopera […] Inondate di un’eccedenza di capitale, le grandi imprese statunitensi avevano cominciato a trasferire la produzione all’estero gia’ alla meta’ degli anni sessanta, ma questo movimento ha preso slancio soltanto un decennio piu’ tardi […]
Il capitale aveva ormai accesso ai bacini di manodopera a basso costo del mondo intero. Quel che e’ peggio, il crollo del comunismo, avvenuto bruscamente nell’ex blocco sovietico e gradualmente in Cina, ha poi aggiunto circa due miliardi di persone alla forza lavoro salariata global.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2012/05/recensione-david-harvey-l%E2%80%99enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-feltrinelli/
http://contropiano.org/contropianoorg/aerosol/vetrina-pubblicazioni/2011/07/05/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-02315
http://www.millepiani.org/recensioni/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza

Finanziarizzazione/Galli

Giorgio Galli, Francesco Bordicchio – Arricchirsi impoverendo – Mimesis (2018)

La classifica dei cento maggiori gruppi mostra l’evoluzione dal capitalismo manifatturiero a quello finanziario: al primo posto per fatturato (926.837 miliardi di euro) e’ Unicredit; al secondo Intesa Sanpaolo (673.4729); al terzo la pur in difficoltà Montepaschi (218.882); al quarto Ubibanca (132.433). Eni (energia) e’ solo al quinto posto (127.220), seguita da Enel, pure energia (84.889). La Fiat e’ solo settima, anche se al primo posto per numero di dipendenti (205.112), con Unicredit comunque seconda (con 164.938) […]
Un altro fenomeno che, insieme alla finanziarizzazione, caratterizza il capitalismo italiano nel corso della crisi, cioe’ la deindustrializzazione: dal 2007 al 2015, l’Italia perde quasi un quarto della propria produzione industriale, a seguito delle grandi aziende vendute o portate all’estero, dalla Pirelli (diventata cinese nel 2015), all’Alitalia (passata agli Emirati nel 2014), all’Ansaldo, a Indesit, Italcementi, Ferrari, Parmalat […] oltre a marchi di prestigio, dalla moda a Bulgari.
Insomma, le multinazionali italiane, al cui vertice si collocano i detentori di ricchezza per novemila miliardi di cui si è detto, si finanziarizzano e si delocalizzano, in un Paese che si sta impoverendo.

Info:
https://www.unilibro.it/libro/galli-giorgio-bochicchio-francesco/arricchirsi-impoverendo-multinazionali-capitale-finanziario-crisi-infinita/9788857543932

Economia di mercato/ Boitani

Andrea Boitani – Sette luoghi comuni sull’economia – Laterza (2017)

Per capire il «declino» dell’Italia bisogna dare almeno uno sguardo a come vanno le cose nei servizi, un settore complesso e variegato, che conta ormai per oltre il 70% del PIL.
A spiegare la relativa debolezza del sistema industriale italiano serve osservare come molti imprenditori abbiano colto l’occasione delle privatizzazioni degli anni Novanta e primi Duemila per spostare risorse e investimenti dai settori industriali piu’ esposti alla concorrenza ai piu’ protetti settori dei servizi pubblici (energia, telecomunicazioni, autostrade) e delle banche, dove una regolazione abbastanza accomodante consentiva di praticare prezzi (commissioni e margini di interesse per gli istituti di credito) elevati e ottenere, cosi’, alti profitti, senza doversi dannare troppo l’anima con l’innovazione e la produttivita’, oltre che con la concorrenza.
Il migliore di tutti i profitti di monopolio […] e’ la vita tranquilla. Ma la vita tranquilla delle imprese (e dei loro lavoratori) non fa crescere la produttivita’ e quindi l’economia e il reddito di tutti.

Info:
https://www.anobii.com/books/Sette_luoghi_comuni_sull%27economia/9788858124581/012e4b7607f103e80f
https://www.lavoce.info/archives/tag/i-sette-luoghi-comuni-sulleconomia/
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858124581

Capitalismo/Harvey

David Harvey – L’enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza – Feltrinelli (2011)

L’importanza dell’illimitatezza del potere del denaro non potra’ mai essere sottolineata abbastanza.
I gestori dei maggiori hedge fund di New York nel 2005 hanno rastrellato 250 milioni di dollari a testa in compensi individuali; nel 2006 il principale gestore ha guadagnato 1,7 miliardi di dollari, e nel 2007, un anno disastroso per la finanza globale, cinque di loro (incluso George Soros) hanno realizzato circa 3 miliardi di dollari ciascuno.
Ecco cosa intendo quando affermo che il denaro e’ una forma di potere sociale illimitato […]
Non c’e’ un limite intrinseco ai miliardi di dollari che il singolo individuo puo’ accumulare.
L’illimitatezza del denaro, e l’inevitabile desiderio di impossessarsi del potere sociale che questo conferisce, creano una vasta gamma di incentivi sociali e politici ad accumularne quantita’ sempre maggiori; e una maniera essenziale di ottenere sempre piu’ denaro e’ quella di reinvestire parte dell’eccedenza di fondi guadagnati ieri per generare altra eccedenza domani […]
Il denaro e’ una forma di potere sociale di cui ci si puo’ appropriare e che, per di piu’, non presenta un limite intrinseco, a differenza della quantita’ di terreni che si possono possedere o alla quantita’ di risorse fisiche che si possono controllare.

Info:
http://www.spazioterzomondo.com/2012/05/recensione-david-harvey-l%E2%80%99enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-feltrinelli/
http://contropiano.org/contropianoorg/aerosol/vetrina-pubblicazioni/2011/07/05/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza-02315
http://www.millepiani.org/recensioni/l-enigma-del-capitale-e-il-prezzo-della-sua-sopravvivenza

Economia di mercato/Magatti

Mauro Magatti – Cambio di paradigma. Uscire dalla crisi pensando il futuro – Feltrinelli (2017)

Il contrasto alla tendenziale stagnazione della domanda interna, che, come abbiamo visto, e’ stata una conseguenza della crescente irrilevanza economica dei salari, ha portato a due principali modelli di crescita compensativa: quello debt-lead [trainato dal debito] tipico di Stati Uniti e Gran Bretagna e quello export-lead [trainato dalle esportazioni], seguito da Germania e Cina.
Nel primo modello, la domanda e’ stata direttamente sostenuta dal consumo a debito e dal boom immobiliare: in questo modo la finanza ha annullato temporaneamente l’effetto della crescente disuguaglianza sulla domanda.
Nel secondo caso – in qualche modo speculare al primo – la crescita dei consumi globali e’ stata vista come un’opportunita’ economica conquistata attraverso l’aumento della produttivita’ e il contenimento salariale […]
Il caso dell’Italia, simile a quello di altri paesi del Sud Europa, si pone in modo originale in questo contesto.
Il momento in cui il sistema finanziario comincia la sua espansione, negli anni ottanta, coincide con il decennio in cui il debito pubblico passa dal 60 per cento al 110 per cento del Pil.
Si tratta dell’esito della lotta di potere che si scatena nel sistema politico italiano, dove Dc e Psi, alleati di governo, cercano di sottrarsi reciprocamente il consenso mediante l’aumento della spesa pubblica, spesso inefficiente e clientelare, garantendo peraltro in modo consociativo una quota di risorse anche al Pci.
Mentre i mercati finanziari cominciavano la loro stagione espansiva, come una specie di buco nero, i bot pubblici hanno finito per assorbire i risparmi degli italiani accumulati nei decenni precedenti, assicurando cosi’ ai politici risorse illimitate per la conquista del consenso elettorale (e purtroppo, come mostrato da Tangentopoli, dell’arricchimento personale), alle imprese mercati protetti ad alta profittabilita’ e alle famiglie una rendita finanziaria sicura per sostenere i consumi.
Un’interpretazione dello scambio finanziario-consumerista molto provinciale che, garantendo nel breve periodo un’ampia convergenza di interessi attorno a forme diverse di rendita, ha minato le basi della crescita di mediolungo periodo.
Da li’, il paese non e’ piu’ riuscito a riprendersi, rimanendo per i vent’anni successivi – e fino a oggi – intrappolato nella spirale del debito accumulato.

Info:
https://www.aggiornamentisociali.it/articoli/cambio-di-paradigma/
http://www.culturaesviluppo.it/wordpress/wp-content/uploads/2018/01/Magatti.pdf
https://www.corriere.it/cultura/17_ottobre_13/magatti-mauro-sociologo-insicurezza-risentimento-nuovo-paradigma-societa-feltrinelli-23fb8884-b044-11e7-9acf-3e6278e701f3.shtml?refresh_ce-cp

Lavoro/Bauman

Zygmunt Bauman – Lavoro, consumismo e nuove poverta’ – Citta’ Aperta (2004)

La flessibilita’ e’ diventata la nuova parola d’ordine, che sta a significare vivere nell’incertezza con poche regole, che possono per giunta essere cambiate unilateralmente durante il gioco.
Su queste sabbie mobili non si puo’ certo costruire nulla di duraturo. E la prospettiva di fondare sul lavoro un’identita’ permanente e’ semplicemente esclusa per la stragrande maggioranza delle persone (salvo forse, almeno per il momento, nel caso di quei pochi che svolgono attivita’ altamente qualificate e privilegiate).
Cio’ non di meno, questo grande cambiamento non e’ stato vissuto come uno sconquasso o una minaccia proprio perche’ comporta una ridefinizione dell’identita’ individuale sganciata ormai da ogni ancoraggio alle vecchie attivita’ professionali[…]
Le tendenze oggi in atto in tutto il mondo spingono le economie verso la produzione di beni e servizi effimeri, destinati a breve vita, in un quadro generale di precarieta’ dove prevale il lavoro interinale, flessibile e a tempo parziale.
Al pari dell’attuale mercato del lavoro, qualunque modello di vita prescelto non deve essere duraturo, bensi’ variabile in breve tempo o senza preavviso e aperto a tutte le opzioni o quasi.
Il futuro e’ destinato a riservarci molte sorprese.

Info:
http://www.inattuale.paolocalabro.info/2009/04/z-bauman-lavoro-consumismo-nuove.html

Finanziarizzazione/Canfora

Luciano Canfora, Gustavo Zagrebelsky – La maschera democratica dell’oligarchia – Laterza (2015)

Vorrei richiamare l’attenzione su questo punto, che secondo me e’ il segno piu’ caratteristico dell’epoca in cui viviamo.
In altri tempi, si poteva dire che potere e denaro fossero mezzi, non fini.
La politica serviva ad altre cose, per esempio a rovesciare i rapporti di classe o a equilibrarli, a promuovere la cultura, ad alleanze e guerre di espansione, alla conquista di altri paesi e alla «civilizzazione» del proprio o di altri popoli.
Il denaro, a sua volta, veniva considerato uno strumento, per cose buone o per cose cattive, ma in ogni caso era finalizzato a qualcos’altro; gli Stati drenavano denaro con il prelievo tributario per fare guerre, per espandere i confini, per la gloria delle case regnanti, per alimentare lo splendore delle corti regie, e cosi’ via.
Il denaro che produce denaro, come accade tipicamente nell’usura, e’ stato nei secoli oggetto di condanna o, almeno, di sospetto.
Ma con la finanziarizzazione dell’economia, per di piu’ in dimensione mondiale, il meccanismo del denaro che produce se stesso, il denaro investito al fine di produrre altro denaro, come nell’albero degli zecchini di Collodi, ha finito d’essere un mezzo ed e’ diventato un fine […]
C’e’ da osservare che – rispetto a tutte le altre possibili materie dell’esperienza umana – denaro e potere hanno questa caratteristica, in qualche modo diabolica: che non bastano mai. La tendenza e’ accumulare all’infinito: accumulare denaro, accumulare potere, finche’ ce n’e’. E quando non ce n’e’ piu’, produrlo per accumularlo.

Info:
http://www.nuovomille.it/cultura-e-societa/la-maschera-democratica-delloligarchia
https://www.gruppolaico.it/2015/09/16/la-maschera-democratica-delloligarchia/
http://tempofertile.blogspot.com/2015/03/luciano-canfora-gustavo-zagrebelsky-la.html

Capitalismo/Fazi

Thomas Fazi, Guido Iodice – La battaglia contro l’Europa. Come un’elite ha preso in ostaggio un continente. E come possiamo riprendercelo – Fazi (2016)

Il movimento Occupy Wall Street, insomma, ha visto giusto: gli stessi processi che hanno portato la ricchezza a concentrarsi nelle mani dell’1 per cento piu’ ricco della societa’ sono alla base della crisi.
Un fenomeno non nuovo e che ha un precedente evidente anche nella crisi del 1929.
Cosa vuol dire cio’? Che se e’ vero che la crisi e’ stata originata dallo scoppio della bolla subprime negli Stati Uniti, le cause strutturali sono pero’ da individuare negli enormi squilibri economici causati da trent’anni di politiche neoliberiste, non certo negli eccessi del settore pubblico.
I dati mostrati fin qui dimostrano chiaramente che il problema in Europa non e’ certo il fatto che “mancano i soldi” – il PIL complessivo dell’UE e’ superiore a quello degli Stati Uniti, e l’Europa e’ da anni la regione con la maggiore quantita’ di ricchezza privata al mondo, insieme agli USA – quanto il fatto che il grosso di quella ricchezza e’ concentrato nelle mani di una frazione della popolazione.
L’Europa e’ infatti la regione con il maggiore rapporto ricchezza privata netta – PIL – al mondo in cima alla classifica dei paesi europei figura l’Italia, ed e’ la seconda regione al mondo, dopo gli USA, per numero di milionari, la maggior parte dei quali e’ concentrata in Francia, Regno Unito, Germania, Italia e Svizzera.

Info:
https://fazieditore.it/catalogo-libri/la-battaglia-contro-leuropa/
https://keynesblog.com/2016/07/08/michele-salvati-recensisce-la-battaglia-contro-leuropa-di-thomas-fazi-e-guido-iodice/