Lavoro/Aloisi

Il tuo capo e’ un algoritmo. Contro il lavoro disumano – Antonio Aloisi, Valerio De Stefano – Laterza (2020)

La tecnologia ha un ruolo tutt’altro che neutrale poiche’ puo’ determinare un logoramento lento, profondo e pressoche’ invisibile a danno dei salari.
Puo’ succedere che, proprio agendo come forza che immiserisce il contenuto delle attivita’ umane (accrescendo le potenzialita’ invasive dei sistemi di sorveglianza, parcellizzando le mansioni per favorirne l’esternalizzazione, adottando selvaggiamente processi decisionali automatizzati), lo sviluppo digitale finisca per accelerare il processo di sostituzione robotica di ruoli e mansioni e, alla lunga, segni l’estinzione definitiva di un particolare tipo di lavoro: quello di qualita’.
Il guaio, tra l’altro, e’ che la trasformazione assunta a piccole dosi sembra avere effetti paralizzanti sulle risposte dei governi e delle parti sociali nei confronti di ultimi, penultimi e vulnerabili.
Precarizzazione, ribasso e automazione rischiano cosi’ di diventare le tappe forzate di un viaggio lento al termine del lavoro dignitoso.
Contemporaneamente, l’impoverimento contrattuale, il caos normativo e la debolezza dei meccanismi di controllo stanno spianando la strada alla non convenienza del lavoro sicuro, dignitoso e distintivo, e quindi alla sua potenziale sostituzione con infinite opzioni low cost.

Info:
https://www.laterza.it/images/stories/pdf/9788858141298_ALOISI%202.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-8.pdf

https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-10.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-10.pdf
https://www.pandorarivista.it/articoli/il-tuo-capo-e-un-algoritmo-di-antonio-aloisi-e-valerio-de-stefano/

Economia di mercato/Kurz

Il capitale mondo. Globalizzazione e limiti interni del moderno sistema produttore di merce – Robert Kurz. – Meltemi (2022)

A partire dai primi anni Novanta la maggior parte degli attori aziendali, cosi’ come dei loro consulenti e leader di opinione, cerca sempre piu’ apertamente di trasformare il mantello giuridico-formale dell’impresa in un “mantello di fedelta’” e in un riferimento globale, non piu’ incastrato nel contesto nazionale, con un proprio simbolismo e una propria “cultura” (o persino una propria “filosofia”).
Solo per fare un esempio, gia’ all’inizio degli anni Novanta il tradizionale “Made in Germany” dovette cedere il passo a “Made by Mercedes”; da quel momento la “coscienza del marchio” e la “cultura del marchio” (che sono l’oggetto della critica culturale di Naomi Klein) hanno conosciuto uno sviluppo impetuoso non solo nella direzione del feticismo del consumo, caratteristico delle masse addomesticate dal capitalismo, ma anche in quella di una “cultura imprenditoriale”, curata fin nei minimi particolari, in cui si esprime la visione del mondo e il narcisismo del management […]
Suscitando i malumori della Bundesbank, Deutsche Bank ha trasferito la sua divisione specializzata nell’investment da Francoforte a Londra, Mercedes-Benz non rende piu’ pubblici i suoi bilanci a Stoccarda bensi’ a New York, mentre il direttivo di Siemens si e’ riunito gia’ una volta, a titolo dimostrativo, a Singapore.
“Siamo costretti a risolvere i nostri problemi aziendali a spese dell’economia nazionale” – dovette ammettere l’allora capo di BMW Eberhard von Kuenheim.
E in quegli stessi anni anche il presidente di Sony, Nobuyuki Idei, dichiarava con franchezza: Noi non siamo un’impresa giapponese. Siamo un’impresa globale la cui sede e’ in Giappone, ma solo per ragioni storiche. Solo il 30% del nostro volume di affari viene realizzato in Giappone.

Info:
https://sinistrainrete.info/marxismo/22910-massimo-maggini-introduzione-a-il-capitale-mondo.html
https://anatradivaucanson.it/introduzioni/introduzione-a-il-capitale-mondo
https://www.ambienteweb.org/2022/05/21/sinistrainrete-joe-galaxy-il-capitale-mondo-sguardo-su-globalizzazione-complottismi-e-dintorni/
https://ilmanifesto.it/se-la-critica-di-valore-e-denaro-conta-piu-della-lotta-di-classe

Capitalismo/Franzini

Disuguaglianze. Quante sono, come combatterle – Maurizio Franzini, Mario Pianta – Laterza (2016)

Una disuguaglianza che viene alimentata dal forte aumento dei redditi piu’ elevati presenta caratteristiche che ricordano l’ancien regime precedente alla rivoluzione francese.
La nuova ‘aristocrazia del denaro’ concentra la ricchezza in proporzioni che erano state a lungo dimenticate.
Il mantenimento e l’estensione della massa di questa ricchezza hanno la priorita’ sulla crescita dei flussi di reddito. Il risultato – come ha mostrato Piketty (2013) – e’ un crescente rapporto capitale/reddito e una maggiore concentrazione dei rendimenti del capitale, soprattutto in economie caratterizzate da una piu’ lenta crescita del Pil.
Il modo in cui tale ricchezza viene ottenuta e’ sempre meno il risultato di processi competitivi, innovazioni schumpeteriane, successi sul mercato. Ha sempre piu’ a che vedere con rendite monopolistiche, protezioni dalla concorrenza, bolle immobiliari e finanziarie.
I ‘super ricchi’ hanno sempre piu’ le caratteristiche di oligarchi, la cui ricchezza proviene dal potere e dal privilegio – protezioni politiche, posizioni monopolistiche, acquisizioni di imprese pubbliche privatizzate – piuttosto che dal successo economico.

Info:
https://www.rivisteweb.it/doi/10.7384/84410
https://www.pandorarivista.it/articoli/il-mercato-rende-diseguali-di-franzini-e-raitano/
https://www.ilperiodista.it/post/disuguaglianze-cause-e-soluzioni-intervista-a-maurizio-franzini
https://sbilanciamoci.info/disuguaglianze-quante-sono-come-combatterle/

Lavoro/Dardot

La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista. Nuova edizione – Pierre Dardot, Christian Laval – Derive Approdi (2019)

«Non ci sono diritti senza nulla in cambio», dicono per obbligare i disoccupati ad accettare un impiego degradato, per far pagare malati e studenti per un servizio il cui beneficio e’ considerato strettamente individuale, per condizionare i sussidi per le famiglie alle forme considerate piu’ opportune di percorsi formativi per genitori.
L’accesso ad un certo numero di beni e di servizi non e’ piu’ legato ad uno statuto che comporta determinati diritti, ma e’ il risultato di una transazione tra una prestazione e un comportamento conforme alle aspettative, o un costo diretto per l’utente.
La figura del «cittadino» investito di una responsabilità immediatamente connessa con la vita collettiva lascia poco a poco la scena all’uomo imprenditoriale. Questi non e’ solo il «consumatore sovrano» della retorica neoliberista, ma e’ anche il soggetto a cui la societa’ non deve niente, che non riceve «nulla per nulla» e che deve «lavorare di piu’ per guadagnare di piu’».
Il riferimento dell’azione pubblica non e’ piu’ il soggetto di diritto, ma un soggetto auto-imprenditore che stringe i contratti privati piu’ diversi con altri auto-imprenditori.
Le modalita’ di transazione negoziate caso per caso per «risolvere i problemi» tendono cosi’ a rimpiazzare le regole di diritto pubblico e le procedure di decisione politica legittimate dal suffragio universale.
Lungi dall’essere «neutra», la riforma manageriale dell’azione pubblica attenta direttamente alla logica democratica della cittadinanza sociale: aggravando le disuguaglianze sociali nella distribuzione delle prestazioni e nell’accesso alle risorse in materia di occupazione, sanita’ e istruzione, essa consolida al tempo stesso le logiche sociali di esclusione che producono sempre piu’ «sotto-cittadini» e «non-cittadini».

Economia di mercato/Fraser

Capitalismo. Una conversazione con Rahel Jaeggi – Nancy Fraser – Meltemi (2019)

Ironia della sorte, lo stato e’ stato utilizzato in questo regime per costruire strutture di governance transnazionali che incoraggiassero il capitale a disciplinare i cittadini e le istituzioni di cui il potere pubblico dovrebbe essere responsabile!
Organizzazioni come il FMI, l’OMC e il TRIPS (regime di proprieta’ intellettuale legato al commercio) ora stabiliscono molte delle regole guida, globalizzando e liberalizzando l’economia mondiale negli interessi del capitale.
Inoltre, il debito ricopre un ruolo importante nella governance del capitalismo finanziarizzato. In questo regime, e’ in gran parte attraverso il debito che il capitale espropria le popolazioni nel centro e nella periferia e impone ai cittadini misure di austerita’, indipendentemente dalle preferenze politiche da loro espresse attraverso le elezioni […]
A queste [organizzazioni] dovremmo aggiungere le banche centrali e le agenzie di rating delle obbligazioni.
Nessuna di queste istituzioni e’ politicamente responsabile. Eppure tutte sono attivamente impegnate nel costruire regole autorevoli su vasta scala. Le regole che hanno stabilito consolidano le peculiari interpretazioni neoliberali della proprieta’ privata e del libero mercato, che ora sono dominanti in vari ambiti di interazione sociale in tutto il mondo.
Portati a un livello superiore, e in grado di scavalcare le leggi nazionali, essi stabiliscono stretti vincoli su cio’ che gli stati possono o non possono fare in relazione a questioni come i diritti dei lavoratori e le protezioni ambientali; e questi vincoli non possono essere cambiati dall’azione politica a livello statale.

Info:
https://kriticaeconomica.com/letture-kritiche/finalmente-siamo-tornati-a-parlare-di-capitalismo-nancy-fraser/
https://www.meltemieditore.it/wp-content/uploads/fazio-jaeggi-manifesto-capitalismo-fraser.pdf
https://www.meltemieditore.it/wp-content/uploads/fazi-manifesto-capitalismo-fraser.pdf
http://www.linterferenza.info/contributi/nancy-fraser-capitalismo-conversazione-rahel-jaeggi/
https://jacobinitalia.it/il-capitalismo-si-infiltra-nelle-nostre-vite-quotidiane/

Capitalismo/Chomsky

Minuti contati: Crisi climatica e Green New Deal globale – Noam Chomsky, Robert Pollin – Ponte alla Grazie (2020)

Il neoliberismo e’ il motore che alimenta la crisi climatica.
Questo perche’ il neoliberismo e’ una variante del liberalismo classico, e il liberalismo classico si fonda sull’idea che a tutti dovrebbe essere concessa massima liberta’ di perseguire il proprio interesse personale nella cornice del capitalismo di mercato.
Il neoliberismo, tuttavia, si discosta sostanzialmente dal liberalismo classico, e quindi anche dalla premessa di base dell’economia ortodossa secondo cui il libero mercato, lasciato a se’ stesso, produrra’ risultati superiori agli interventi del governo.
E qui veniamo al problema del neoliberismo, quando lo si confronta con il modello di mercato puramente libero celebrato dall’ortodossia economica: quello che di fatto avviene, nel neoliberismo, e’ che i governi permettono alle grandi aziende di perseguire liberamente le opportunita’ di profitto nella massima misura possibile.
Se non che, ogni qual volta i profitti delle grandi aziende sono minacciati, entrano in scena i manovratori del governo che si occupano di mettere le cose a posto e salvare le aziende. Questo non e’ altro che socialismo per i capitalisti e spietato capitalismo del libero mercato per tutti gli altri.
Info:

Lavoro/Aloisi

Il tuo capo e’ un algoritmo. Contro il lavoro disumano – Antonio Aloisi, Valerio De Stefano – Laterza (2020)

Da qualche anno, le strade dei centri urbani sono invase da fattorini che, muniti di voluminosi zaini colorati, scorrazzano a bordo di bici o, piu’ raramente, di scooter e utilitarie.
In contemporanea, gli smartphone si sono riempiti di nuove app congegnate per reintermediare una vasta gamma di servizi: consegne di cibo, medicinali e alcolici, lavanderia pret a porter, piccoli lavori di manutenzione, servizi di pulizie […]
A voler fare un bilancio provvisorio, il lavoro tramite piattaforma rappresenta una nicchia in cui si tollerano forme di deregolamentazione ad opera dagli attori del mercato.
Il risultato e’ gramo: orari instabili e bassi guadagni, ben al di sotto dei salari del settore (commercio, logistica, servizi, a seconda dei casi); niente malattia, ferie o straordinario; spazi risicati per la contrattazione collettiva; rischi connessi all’attivita’ di impresa che transitano in capo agli stessi lavoratori.
Pur creando potenziali nuove opportunita’ per categorie in difficolta’, le piattaforme impoveriscono il lavoro e realizzano un modello di competizione al ribasso: il punto di forza rispetto ai rivali commerciali deriva dall’abilita’ di aggirare le regole del diritto del lavoro, ma anche dal mancato rispetto degli obblighi assicurativi e previdenziali.
In pratica, il vantaggio distintivo si fonda su una formula evasiva delle cui conseguenze avverse finisce per farsi carico l’intera collettività (concorrenti, lavoratori, ma anche clienti che non possono contare su regole certe in fatto di divieto di discriminazione e sicurezza dei mezzi).
Questa strategia aggressiva, al vaglio di autorita’ e tribunali, e’ replicata con pertinacia su scala globale. Cambiano le formule contrattuali, gli inquadramenti e le prassi, ma salvo rare eccezioni il modello resta lo stesso.

Info:
https://www.laterza.it/images/stories/pdf/9788858141298_ALOISI%202.pdf
https://www.laterza.it/images/stories/pdf/9788858141298_ALOISI%203.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-8.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-10.pdf
https://www.laterza.it/wp-content/uploads/recensioni/ALOISI-10.pdf
https://www.pandorarivista.it/articoli/il-tuo-capo-e-un-algoritmo-di-antonio-aloisi-e-valerio-de-stefano/

Economia di mercato/Rodrik

Dirla tutta sul mercato globale. Idee per una economia mondiale assennata – Dany Rodrik – Einaudi (2019)

La storia dell’economia e’ in larga misura la lotta tra due scuole di pensiero opposte, il liberismo e il mercantilismo.
Il liberismo economico, che pone l’accento su impresa privata e liberi mercati, rimane tuttora la dottrina dominante.
La sua vittoria sul fronte intellettuale, pero’, ci ha reso ciechi al grande fascino – e ai frequenti successi – delle pratiche mercantiliste. In realta’ il mercantilismo e’ assolutamente vivo e vegeto e ci sono buone probabilita’ che il suo costante conflitto con il liberismo si trasformi in una forza determinante per plasmare il futuro dell’economia globale […]
Il modello liberista concepisce lo Stato come un’entita’ dall’indole inevitabilmente predatoria e il settore privato come qualcosa votato per natura alla ricerca di rendite (rent-seeking). Dunque invoca una netta separazione fra Stato e impresa privata.
Il mercantilismo, invece, propone una visione corporativa in cui Stato e impresa privata sono alleati e collaborano per raggiungere obiettivi comuni, come la crescita economica interna o il potere nazionale […]
Una seconda differenza tra i due modelli dipende dal fatto che venga data la priorita’ agli interessi del consumatore o del produttore.
Per i liberisti i consumatori sono sacri. L’obiettivo finale della politica economica e’ quello di accrescere i consumi potenziali dei nuclei familiari, e questo richiede di offrir loro un accesso privo di vincoli ai beni e ai servizi meno costosi possibili.
I mercantilisti, invece, si concentrano sulla parte produttiva dell’economia. Per loro un’economia solida richiede una solida struttura produttiva, percio’ il consumo deve essere sostenuto da un alto livello di occupazione e salari adeguati.
Questi due modelli hanno implicazioni prevedibili per le politiche economiche internazionali.
La logica dell’approccio liberista e’ che i benefici economici del commercio nascano dalle importazioni: piu’ a buon mercato saranno meglio e’, anche se il risultato fosse un deficit commerciale.
I mercantilisti, invece, vedono nel commercio un mezzo per sostenere la produzione e l’occupazione nazionale, e preferiscono incentivare le esportazioni piu’ che le importazioni.

Info:
https://ilmanifesto.it/la-vocazione-globale-del-capitalismo/
https://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2019-02-04/temperare-l-iperglobalizzazione-162827.shtml?uuid=AFhMOTC&refresh_ce=1
https://www.arcipelagomilano.org/archives/51755

Capitalismo/Severino

Il tramonto della politica – Emanuele Severino – Rizzoli (2018)

Si obietta spesso (lo si e’ obiettato anche a me) che il capitalismo ha una pluralita’ di forme: il capitalismo anglo-americano non e’ quello tedesco, non e’ quello giapponese, italiano eccetera.
Pero’ il comun denominatore di queste forme e’ il loro scopo: l’incremento all’infinito del profitto privato.
Certo, secondo la teoria marginalista lo scopo del ciclo economico e’ il consumo. Ma con questo si vuol dire forse che lo scopo del capitalismo e’ di dar da mangiare agli affamati e di vestire gli ignudi?
Se l’intrapresa capitalistica produce merci che sfamano e vestono e’ perche’ altrimenti resterebbero invendute. Si producono merci consumabili dagli acquirenti, e quindi vendibili, per incrementare il profitto privato.
Questo e’ lo scopo «naturale» del capitalismo.
Se all’intrapresa capitalistica si assegna uno scopo diverso, essa non e’ piu’ capitalistica.
E’ quanto sta accadendo. Si puo’ parlare di crisi del capitalismo quando si fa avanti una serie di forze che intendono imporre al capitalismo scopi diversi da quello che gli e’ proprio.
E queste forze si sono fatte innanzi. [Oltre alla democrazia] si pensi all’Islam, ai nazionalismi, alle varie forme di umanesimo.
Ma poi il conflitto esiste all’interno stesso del mondo capitalistico. Si chiama «concorrenza». Senza concorrenza non c’e’ capitalismo; ma essa conduce all’eliminazione dei concorrenti deboli e tende verso il monopolio planetario, ossia a un’economia che non e’ piu’ capitalistica. Non c’e’ bisogno della critica marxiana per scorgere – sia per questo motivo, sia per quanto avremo modo di rilevare – che il capitalismo e’ una gigantesca contraddizione. Non solo ha dei nemici, ma e’ nemico di se stesso.

Info:
https://www.researchgate.net/publication/362871888_Bruno_Cortesi_-_Emanuele_Severino_-_Il_tramonto_della_politica_-_recensione
https://emanueleseverino.com/2017/05/03/emanuele-severino-il-tramonto-della-politica-considerazioni-sul-futuro-del-mondo-rizzoli-2017-p-284/

Lavoro/Feltri

10 Rivoluzioni nell’economia globale (che in Italia ci stiamo perdendo) – Stefano Feltri – Utet (2024)

Il lato oscuro del mondo del lavoro […]
Nel 2022 su 8,1 milioni di assunzioni, soltanto il diciassette per cento e’ stato a tempo indeterminato. Vuol dire che il restante ottantatre per cento e’ fatto di precari che non sanno se saranno mai stabilizzati.
Secondo i dati dell’Istat, soltanto un quinto dei 3,2 milioni di lavoratori a termine ha una speranza di vedere il proprio contratto convertito in un tempo indeterminato.
Se sommiamo 2,5 milioni di lavoratori atipici non stabilizzati, due milioni di disoccupati e gli inattivi disponibili al lavoro, che sono 2,4 milioni di persone ormai sfiduciate, arriviamo a una cifra considerevole: sette milioni di persone che dal lavoro non possono ottenere altro che un reddito, spesso basso, ma non certo una dignita’ sociale o una qualche forma di protezione dalle incertezze della vita […]
Il problema e’ che il mercato del lavoro e’ diventato sempre piu’ difficile e i lavori sempre meno pagati, e quindi molte famiglie restano a rischio poverta’ anche se non sono composte soltanto da disoccupati.
Sempre secondo l’Istat, poi, i redditi delle famiglie italiane al netto dell’inflazione sono molto piu’ bassi rispetto a prima della grande crisi finanziaria del 2008.
In quindici anni l’Italia non si e’ mai del tutto ripresa e poi e’ arrivato il Covid.
I redditi familiari da lavoro autonomo sono piu’ bassi del 20,9 per cento in termini reali rispetto al 2007, quelli da lavoro dipendente del nove per cento. Se queste sono le prospettive, non c’e’ da stupirsi che in Italia ormai ben poche persone si considerino rassicurate dal proclama contenuto nel primo articolo della Costituzione, in base al quale l’Italia e’ una repubblica fondata sul lavoro.
Quella che sembrava una posizione di principio, una promessa di diritti, oggi – vista la qualita’ del lavoro disponibile – suona quasi come una minaccia.