Negli anni Settanta, in particolare con lo Statuto dei lavoratori, si e’ finalmente portata la Costituzione in fabbrica e si e’ realizzato cosi’ un accettabile compromesso tra democrazia e capitalismo.
Con la fine dei Trenta gloriosi inizia tuttavia la parabola discendente del lavoro, il moto per cui esso viene ridotto a una relazione di mercato qualsiasi, con il punto di arrivo ben rappresentato dal lavoro nell’ambito dell’economia on demand, che a tal fine si pretende di ritenere privo del requisito della subordinazione […]
Il lavoro on demand realizza l’aspirazione neoliberale a ridurre la relazione di lavoro all’osso, priva di tutele e obbligazioni accessorie a carico della parte datoriale: non costituisce dunque il moto verso un futuro radioso, come pure suggerisce una retorica fraudolenta, bensi’ un ritorno all’Ottocento […]
Gli anni Ottanta avviarono il lento ma inesorabile prevalere di un punto di vista neoliberale nella disciplina dell’ordine economico, e che questo ha portato alla flessibilizzazione e precarizzazione della relazione di lavoro: alla sua progressiva identificazione con una relazione di mercato qualsiasi. Il tutto per attrezzare le imprese a competere in un mondo retto dalla libera circolazione dei capitali, ovvero per consentire loro di assumere «le caratteristiche delle tende da campeggio: facili da montare» per poi «essere rapidamente smontate e rimontate altrove».
Occorreva insomma incoraggiare «la destrutturazione dell’impresa» alimentando «la volatilita’ del personale occupato», secondo schemi risolutamente avallati dal legislatore a partire dalla legge Biagi del 2003:
Secondo cui, siamo gia’ o diventeremo presto un popolo di giovani in bilico tra inoccupazione e disoccupazione di massa, di casalinghe che a qualunque eta’ accetterebbero l’inserimento in qualunque lavoro sotto-retribuito, di studenti che si socializzano svolgendo attivita’ di giardinaggio o accompagnando cani altrui durante la passeggiata quotidiana, di uomini e donne tra i 18 e i 29 anni in condizioni di estremo disagio economico pronti ad adattare ai piu’ svariati contesti lavorativi non tanto inesistenti o mediocri competenze professionali quanto piuttosto la stessa dignita’ della loro persona, di co.co.co. che sono stati suicidati per rinascere in qualita’ di lavoratori a progetto con una manciata di diritti in piu’ tra i quali – udite, udite! – quello di vedersi riconosciuta la paternita’ delle invenzioni fatte in occasione del rapporto, di soggetti a rischio di esclusione sociale disposti a rinunciare al pranzo di Natale o alla gita del Lunedi’ di Pasqua se saranno chiamati sul cellulare per qualche petit boulot, di uomini e donne il cui tempo di vita si confonde col tempo di lavoro perche’ a modico prezzo e’ espropriabile dal datore di lavoro con un preavviso di ventiquattr’ore.
Info:
https://www.ildiariodellavoro.it/abolire-il-lavoro-povero-per-la-buona-e-piena-occupazione-di-alessandro-somma-edizioni-laterza/
https://www.glistatigenerali.com/lavoro-autonomo_dipendenti/abolire-il-lavoro-povero-il-lavoro-non-e-finito-checche-ne-dica-la-politica/
https://www.recensionedilibri.it/2024/02/03/somma-abolire-il-lavoro-povero/
https://www.sinistrainrete.info/lavoro-e-sindacato/27701-lelio-demichelis-lavoro-povero-con-vita-digitale-o-vita-povera-con-lavoro-digitale.html