Fin dall’avvento della societa’ industriale si diffuse la convinzione che il numero di lavoratori era destinato a crescere incessantemente e l’intero edificio sociale avrebbe assunto la fisionomia di una fabbrica gigantesca, dove ogni uomo valido avrebbe svolto un’utile funzione produttiva.
Il pieno impiego divenne pertanto la norma, il fine ultimo a cui tendere […]
Nella prima fase dell’epoca industriale, il lavoro era concepito dunque, al tempo stesso, come il fulcro della vita individuale e di quella collettiva, oltre a essere considerato l’indispensabile strumento di riproduzione dell’intero sistema sociale.
Sul piano individuale, esso garantiva la possibilita’ di sopravvivenza. Ma il “tipo” di attivita’ svolta definiva anche la posizione che si poteva raggiungere nell’ambito della propria comunita’ e del mondo esterno piu’ in generale.
Da questo punto di vista, era il principale fattore di identita’ sociale e di autostima […]
Per la maggior parte della popolazione maschile in crescita, il lavoro, nella moderna società industriale – che apprezzava soprattutto la capacita’ di scelta e di autoaffermazione degli individui – era la condizione indispensabile per sviluppare e difendere la propria identita’. I progetti di vita potevano derivare da molteplici ambizioni, tutte pero’ condizionate dal tipo di attivita’ professionale che si intendeva abbracciare o che si era costretti a svolgere. Quest’ultima, scandiva l’intera esistenza; determinava non solo i diritti e i doveri direttamente inerenti a essa, ma anche le aspettative riguardanti lo stile di vita, il modello di famiglia, la vita sociale e il tempo libero, il senso delle convenienze e la routine quotidiana.
Era, insomma, l’unica «variabile indipendente» che consentiva di organizzare e prevedere tutto il resto.
Info:
http://www.inattuale.paolocalabro.info/2009/04/z-bauman-lavoro-consumismo-nuove.html
https://sociologia.tesionline.it/sociologia/libro.jsp?id=1714