«Non ci sono diritti senza nulla in cambio», dicono per obbligare i disoccupati ad accettare un impiego degradato, per far pagare malati e studenti per un servizio il cui beneficio e’ considerato strettamente individuale, per condizionare i sussidi per le famiglie alle forme considerate piu’ opportune di percorsi formativi per genitori.
L’accesso ad un certo numero di beni e di servizi non e’ piu’ legato ad uno statuto che comporta determinati diritti, ma e’ il risultato di una transazione tra una prestazione e un comportamento conforme alle aspettative, o un costo diretto per l’utente.
La figura del «cittadino» investito di una responsabilita’ immediatamente connessa con la vita collettiva lascia poco a poco la scena all’uomo imprenditoriale. Questi non e’ solo il «consumatore sovrano» della retorica neoliberista, ma e’ anche il soggetto a cui la societa’ non deve niente, che non riceve «nulla per nulla» e che deve «lavorare di piu’ per guadagnare di piu’».
Il riferimento dell’azione pubblica non e’ piu’ il soggetto di diritto, ma un soggetto auto-imprenditore che stringe i contratti privati piu’ diversi con altri auto-imprenditori.
Le modalita’ di transazione negoziate caso per caso per «risolvere i problemi» tendono cosi’ a rimpiazzare le regole di diritto pubblico e le procedure di decisione politica legittimate dal suffragio universale.
Lungi dall’essere «neutra», la riforma manageriale dell’azione pubblica attenta direttamente alla logica democratica della cittadinanza sociale: aggravando le disuguaglianze sociali nella distribuzione delle prestazioni e nell’accesso alle risorse in materia di occupazione, sanita’ e istruzione, essa consolida al tempo stesso le logiche sociali di esclusione che producono sempre piu’ «sotto-cittadini» e «non-cittadini» […]
E’ interessante constatare fino a che punto la revisione dei diritti sociali sia legata alla discussione pratica sui fondamenti culturali e morali (e non solo politici) delle democrazie liberali. Il cinismo, la menzogna, il disprezzo, il filisteismo, il rilassamento del linguaggio e dei gesti, l’ignoranza, l’arroganza del denaro e la brutalita’ della dominazione sono i titoli per governare nel nome della sola «efficienza».
Quando la prestazione e’ il solo criterio di una politica, che importa il rispetto delle coscienze, della liberta’ di pensiero e di espressione? Che importa il rispetto delle forme legali e delle procedure democratiche? La nuova razionalita’ promuove i propri criteri di valutazione che non hanno nulla a che fare con i principi morali e giuridici della democrazia liberale.
Info:
https://www.pandorarivista.it/articoli/la-nuova-ragione-del-mondo-di-pierre-dardot-e-christian-laval/
https://ilmanifesto.it/la-trappola-del-capitale-umano
https://www.dianoia.it/public/rcs/rcs_21_34.pdf
https://www.leparoleelecose.it/?p=13014