Le innovazioni possono essere “di processo” quando tendono a modificare i processi produttivi e la loro organizzazione attraverso l’adozione di nuove tecniche o di nuove macchine prodotte in altri settori.
Si tratta di un tipo d’innovazione che riguarda principalmente la possibilita’ di competere abbattendo i costi del lavoro e non a caso gli effetti principali comportano non soltanto l’emergere di disoccupazione, ma anche salari piu’ bassi attraverso le riorganizzazioni interne e il processo di svalutazione della professionalita’ dei lavoratori.
Si parla invece di “innovazione di prodotto” quando nuovi prodotti (beni o servizi) vengono introdotti nel mercato.
Puo’ anche essere il caso che i nuovi prodotti generino un mercato fino ad allora inesistente: l’introduzione dei cellulari portatili, ad esempio.
Non significa che le innovazioni di prodotto non estraggano conoscenze umane a netto vantaggio dei profitti, ma esiste qualcosa oltre questo aspetto.
Generalmente le due strategie si intersecano e non necessariamente si escludono: molto spesso convivono nelle politiche aziendali […]
In generale, le innovazioni di processo sono quelle piu’ largamente diffuse e la loro gestione politica non ha nulla di realmente innovativo. Essa infatti risponde a un principio sviluppato e diventato egemonico agli inizi del Novecento: l’organizzazione scientifica del lavoro, detta “taylorismo”
dal nome del suo storico esponente, Frederick W. Taylor. Secondo questo principio il lavoro deve essere organizzato nel modo piu’ efficiente possibile e questo, nella visione di Taylor, significa esplicitamente controllarlo e dirigerlo, sostenendo laddove necessario anche i costi relativi all’introduzione di tecniche e metodi produttivi nuovi.
Le sue applicazioni sono infinite e non si limitano al vecchio sistema di fabbrica. L’esempio forse piu’ attuale o sicuramente piu’ discusso negli ultimi anni e’ quello della gia’ citata gig economy, in cui lo svolgimento della prestazione lavorativa attraverso tecnologie digitali non fa altro che migliorare le funzioni di supervisione e controllo dell’azione lavorativa.
Ma la capacita’ di sfruttare una nuova tecnica, quella digitale, per svolgere un’attivita’ per nulla nuova ne’ innovativa dal punto di vista del prodotto scambiato sul mercato produce non una novita’ tecnologica in se’ bensi’ una nuova organizzazione del lavoro in cui la maggior parte dei costi fissi sono a capo del lavoratore e non rappresentano piu’ costi di produzione per l’impresa. Quest’ultima impone ai lavoratori lo status di fornitori di servizi piuttosto che di dipendenti. Non sono questioni che attengono a singoli luoghi di lavoro e di produzione.
Info:
https://www.laterza.it/index.php?option=com_laterza&Itemid=97&task=schedalibro&isbn=9788858138878
http://www.leparoleelecose.it/?p=37065
https://www.pandorarivista.it/articoli/basta-salari-da-fame-marta-fana-simone-fana/